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venerdì 27 ottobre 2017

Chiara Ferragni, la blogger diventata un brand

Un successo strepitoso che la fa diventare più che una persona, un vero e proprio brand.

Chiara Ferragni. Non aver mai sentito questo nome è davvero difficile, perché come la definisce Forbes, è l'influencer di moda più potente al mondo. Viene strapagata per indossare vestiti bellissimi, gioielli fighissimi, mangiare e bere cose buonissime e viaggiare in alberghi bellissimi.

Un'italiana ha inventato qualcosa che prima non c'era, tanto che l'Harvard Business School l'ha studiata come "case history". Inoltre il fatto che sia testimonial di Amazon Moda, Swarovsky e Pantene fa di lei non una persona, ma un brand.

Negli anni Ottanta, più o meno hanno raggiunto gli stessi risultati le supermodelle o le star di Hollywood, oggi c'è riuscita la figlia di un dentista di Cremona. Così Chiara ha un Co che amministra la sua azienda di scarpe, che nel 2016 ha fatturato 20 milioni di euro. Tutto ciò che la riguarda ha cifre stratosferiche, come i 7 milioni di followers e ha persino creato un personale "Macaron di Laduree" (fragola e vaniglia).

E come se non bastasse la realizzazione sul piano professionale, a quasi 30 anni ha anche un promesso sposo famosissimo, il cantante Fedez, e da lui aspetta un maschietto che chiameranno Leone.

Naturalmente, verrà tutto rigorosamente postato  su Instagram. La proposta di matrimonio è stata fatta su un palcoscenico davanti a milioni di persone all'Arena di Verona, e così, anche il matrimonio sarà tutto per i fans. Tutto sarà in mostra, tutto social e tutto postato in rete. Il guadagno c'è, ma non dev'essere poi così facile.

Arrivare a questi livelli significa, non poter più uscire di casa senza essersi apparecchiate da star, anche con un jeans strappato e i capelli sfatti ma stylish, perché ci fosse anche un'unica foto varrebbe migliaia di euro per il fotografo e la caduta rovinosa del personaggio per lei.

Chiara Ferragni è, e dev'essere sempre "ChiaraFerragni" tutto attaccato, non può mai smettere i panni o decidere un giorno di starsene per cavoli suoi e non a postare su Instagram. Così, con un po' di cinismo ci si rende conto che oltre alla pesonalità di ferro, ad un ego notevole e alla forza di carattere, c'è anche una capacità imprenditoriale ed una tenacia che pochi hanno.

A Torino, la prima cattedra in "Storia dell'omosessualità"

L'università piemontese apre i battenti ad un corso sulle tematiche Lgbt e come esse siano state trattate dalla fine del Settecento in poi, per gli studenti del Dams.

L'anno accademico per gli studenti dell'Università di Torino si apre con la possibilità di frequentare un nuovo corso: "Storia dell'omosessualità". Per la prima volta in Italia, un ateneo dedica una cattedra a questo tema. Il corso sarà tenuto dalla docente a contratto Maya De Leo, avrà il valore di 6 crediti formativi, sarà facoltativo e sarà offerto dal Dipartimento di Studi Umanistici attraverso il Dams.

Obiettivo della nuova materia è quello di "proporre una storia culturale dell'omosessualità che ne ricostruisce le trasformazioni in età contemporanea (dalla fine del XVIII secolo al tempo presente) tra Europa e Stati Uniti, restituendo esperienze, narrazioni e rappresentazioni collocate in diversi contesti sociali".

Il corso si articolerà in 18 lezioni, che parleranno, per esempio, delle rappresentazioni dell'omosessualità tra Settecento e Ottocento, "dell'omosessualità moderna" ottocentesca e dei primi tentativi di emancipazione, delle prime comunità "Lgtb", fino ad arrivare ad un'analisi di come oggi viene affrontato il tema anche dal punto di vista cinematografico o nelle serie tv.

Il corso avrà inizio a fine Aprile e proseguirà fino a inizio Giugno. Ieri, durante l'annuncio ufficiale, non sono mancati i momenti di tensione. Dei militanti di Forza Nuova, un movimento politico di destra, hanno appeso uno striscione omofobo sulla cancellata di Palazzo Nuovo. La frase riportata era alquanto sconcertante: "La storia è una cosa seria, l'omosessualità no".

Se aprire un nuovo corso didattico di studi in università fa così tanto scalpore e suscita questo tipo di protesta, allora è proprio il momento di farlo. Questo nuovo percorso, almeno in Italia, sembra davvero necessario. Potrà aiutare a gettar luce su un argomento così osteggiato e davvero poco conosciuto e rispettato.

giovedì 26 ottobre 2017

Le donne, più altruiste degli uomini

È una questione di cervello. Il sistema della ricompensa le spingerebbe ad atteggiamenti meno egoistici. Ed è una questione più di apprendimento di modelli sociali che di natura.

I cervelli femminili e maschili reagiscono diversamente. E lo fanno anche dinanzi a scelte egoistiche o altruistiche, mentre nelle donne il sistema della ricompensa si attiva di più quando viene presa una decisione prosociale, ovvero condivisione e aiuto, negli uomini lo stesso circuito neuronale lavora con maggiore intensità quando si compie una scelta egoistica.

Lo rivela uno studio pubblicato su Nature Human Behaviour condotto da neuroscienziati del Dipartimento di Economia dell'Università di Zurigo. Per la prima volta si dimostra che maschi e femmine rispondono in modo neurobiologicamente differente ai comportamenti che implicano, oppure no, la generosità.

Gli studiosi si sono avvalsi di neuro-immagini per monitorare uomini e donne con risonanza magnetica funzionale mentre venivano sottoposti a decisioni che coinvolgevano la scelta di condividere o di non farlo una somma di denaro. In questo modo hanno verificato che il corpo striato, la struttura cerebrale che si attiva di fronte alle decisioni ed è coinvolta nel meccanismo della ricompensa, in soldoni: il circuito neuronale delle scelte e della gratificazione che ne deriva segue un comportamento legato al genere: si accendeva molto quando le donne sceglievano di condividere il denaro. E quando gli uomini decidevano invece di non farlo.

In un secondo test i ricercatori hanno somministrato ai partecipanti allo studio una molecola che interferisce con la dopamina, il neurotrasmettitore con il quale i neuroni del sistema della ricompensa comunicano tra loro. Si è visto che in condizioni farmacologicamente modificate le donne prendevano a comportarsi più egoisticamente, viceversa gli uomini. Alexander Soutschek uno dei ricercatori spiega così: "I nostri risultati dimostrano che il cervello delle donne e degli uomini elabora la generosità in maniera differente, a livello chimico".

Ma secondo i neuroscienziati la questione è complessa e più di carattere culturale. "I sistemi di ricompensa e apprendimento lavorano nel nostro cervello in stretta collaborazione. Studi empirici indicano che le ragazze vengono lodate e quindi gratificate in particolare quando assumono comportamenti prosociali, il che implica che i loro sistemi della ricompensa imparano ad aspettarsi una ricompensa quando assumono comportamenti altruistici anziché egoistici. Le differenze di genere che abbiamo osservato nei nostri studi si potrebbero attribuire alle diverse aspettative culturali che abbiamo nei confronti degli uomini e delle donne".

Di vero c'è che le donne sono più abituate a dare, e più generose in tutto. Ma forse più che una questione di apprendimento è una questione d'essere capaci di provare empatia, di sentire le emozioni e i bisogni dell'altro e per un enorme atto di umanità, sono più propense ad aiutare.

Viva la pasta! Rende felici, aiuta a dormire e fa dimagrire

All'indomani della Giornata Internazionale della Pasta, che si svolge il 25 Ottobre, sono tante le voci che esaltano le buone qualità di questo piatto.

È il piatto simbolo e più amato degli italiani, il primo alleato contro tante malattie cardiovascolari. La pasta fa bene al cuore e all'umore. E a quanti l'accusano di far ingrassare, la nutrizionista ed endocrinologa Serena Missori e il provider ECM 2056 Sanità in Formazione, dichiara: "Basta con i falsi miti sulla pasta: non è vero che non si può mangiare la sera, e perché mai privarsi di una bella carbonara? Stimola la tiroide e fa bene anche all'umore".

Finalmente una buona notizia ed una lancia a favore di un piacere gastronomico che in molti guardano come ad un nemico giurato della linea. Naturalmente però, i dietologi danno in merito anche dei suggerimenti. Per esempio, è opportuno prediligere la pasta di grano duro, meglio se trafilata al bronzo e anche integrale. Meglio ancora gli spaghetti, che hanno l'indice glicemico inferiore e sono adatti anche ai diabetici e a chi deve perdere peso.

Vietata la pasta scotta: deve essere assolutamente al dente perché dà più sazietà e ha un indice glicemico più basso. Se capita di distrarsi, la si può raffreddare sotto un getto d'acqua corrente. Sì, ad una bella spaghettata saltata in padella con olio extravergine d'oliva e spezie, e ogni tanto è ammessa anche una carbonara con uova e pancetta, per aggiungere delle proteine. Soprattutto perché, quest'associazione stimola la tiroide, mentre accompagnarla con della verdura amara riduce la ritenzione idrica.

La pastasciutta può essere consumata anche di sera, soprattutto se si è stressati, se si soffre d'insonnia o se si è in menopausa e si hanno le vampate o se si soffre di sindrome premestruale. Questo perché la pasta favorisce la sintesi di serotonina e di melatonina facendo assorbire maggiormente il triptofano e quindi fa rilassare e favorisce il sonno. Quando ci si rilassa si riducono gli ormoni dello stress, fra cui il cortisolo, che favoriscono l'aumento di peso.

Il biotipo nervoso cerebrale può concedersi una bella spaghettata a ogni pasto, il biotipo linfatico che deve perdere peso è meglio che non la mangi proprio tutte le sere, il biotipo biliare e sanguigno con moderazione e associando la pasta al consumo di verdure, può mangiarla sempre.

Invece, per chi è celiaco o sensibile al glutine, la permeabilità intestinale, o soffre di colite o di malattie infiammatorie intestinali, dovrebbe preferire pasta di riso integrale, di quinoa e di grano saraceno, cercando sempre di consumarla al dente e associata a delle verdure amare, prima o dopo il pasto.

Nella Giornata Mondiale dedicata alla Pasta, non potevano che arrivare buone notizie al riguardo. Casomai ce ne fosse stato bisogno. E poi, un elemento celebrato il 25 Ottobre, come avrebbe potuto non avere effetti benefici?

mercoledì 25 ottobre 2017

Kim Philby la spia che tradì la Corona per aiutare il Cremlino

Mosca celebra con una mostra il doppiogiochista Philby che tradì, la sua patria di origine per aiutare i russi.

Sembrano storie così lontane, di quelle sentite attraverso un film o lette su qualche libro giallo. Ma le spie esistono davvero. E a quasi trent'anni dalla morte, il Cremlino celebra Kim Philby uno dei suoi assi nella manica in fatto di doppiogioco.

Lui era una spia britannica volto poi alla causa russa a cui passò quasi mille documenti top secret e altre informazioni su nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

In questi giorni Mosca rende omaggio al suo eroe in una mostra che ha il chiaro intento di mettere in buona luce la Russia e la sua storia nella versione edulcorata promossa dalle autorità. Esaltare quindi anche il kgb, di cui lo stesso Putin è stato per anni un ufficiale, e con esso gli attuali servizi segreti russi che ne sono gli eredi. Non sembra un caso, infatti, che a organizzare l'esposizione è la Società Russa di Storia diretta da Sergey Naryshkim, il capo dei servizi di intelligence russi all'estero (Sur).

La mostra è stata impiantata su materiale personale, vecchie foti, oggetti e soprattutto una serie di documenti che Philby girò abilmente al Kgb sfruttando il suo ruolo nell'M16. Tutto preparato per omaggiare la figura del più celebre tra i menbri del "Cinque di Cambridge", un gruppo di personaggi dell'alta società britannica che furono per anni spie del Kgb senza che nessuno sospettasse minimamente di loro.

Kim Philby rimane un personaggio interessantissimo. La cui storia avvincente e complessa cerca ancora un lieto fine. Cominciò a lavorare per i servizi segreti sovietici nel 1934, mentre Stalin faceva strage di dissidenti veri o presunti. Forse Philby non sapeva cosa avveniva nell'ex Urss di quel periodo, ma aveva abbracciato il sogno di un mondo dominato dal Socialismo dopo essersi innamorato a Vienna di una giovane comunista austriaca. La spia divenne un agente dei Servizi di Sua Maestà nel 1940 e poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale fu addirittura nominato responsabile della "sezione sovietica". Mentre alle spalle di Londra passava di continuo all'ex Unione Sovietica i segreti più delicati e riservati. Spedì a Mosca quasi mille documenti top secret, compreso il rapporto di un ambasciatore nipponico che nel 1944 riferiva di fallito attentato a Hitler di cui gli aveva raccontato Mussolini.

Philby era l'infiltrato eletto per la Russia, lavorando perfino a Washington ufficialmente come diplomatico. Rimase fedele al Cremlino per tutta la vita, nonostante il Patto Ribbentrop-Molotov tra la Germania nazista e l'Urss e le invasioni sovietiche di Ungheria (1956) e Cecoslovacchia (1968). Nel 1963 seguì altri "colleghi" del "Cambridge Spyring" e si rifugiò a Mosca.

È sua l'affermazione: "Possiamo noi tutti vivere per vedere la bandiera rossa sventolare su Buckingham Palace e sulla Casa Bianca", scritta nel 1977.

Philby svento' anche un piano anglo-americano per addestrare gli albanesi anticomunisti a Malta e Corfù. Dopo, visse gli ultimi 23 anni della sua vita a Mosca istruendo le giovani reclute del Kgb a spiare gli occidentali e purtroppo a guardare ormai con disillusione il Comunismo e a bere.

Insomma, con questa mostra, Mosca celebra Kim Philby, un suo figlio adottivo, che ha sposato gli ideali socialisti molto di più di quanto abbiano poi fatto in realtà gli altri russi.

martedì 24 ottobre 2017

Energia per tutti grazie ad una centrale eolica nell'oceano

L'avveniristica proposta di uno studio di Stanford. Produrrebbe l'energia annuale per tutta l'umanità, secondo i ricercatori: "Dovrebbe essere grande come l'India e piazzata nell'Atlantico Settentrionale".

Alcuni sogni sono semplicemente delle rappresentazioni, altri hanno la forma di progetti scentifici. Alla seconda categoria appartiene sicuramente la futuristica proposta, di alcuni studiosi, di creare un'infinita distesa di pale eoliche, piazzate nell'Oceano Atlantico Settentrionale per una superficie grande quanto tutta l'India e con il vento catturato da esse si potrebbe alimentare una centrale capace di produrre l'energia annua sufficiente per tutta l'umanità.

Ad esserne convinti sono i ricercatori Anna Passner e Ken Caldeira dell'Università di Stanford, in California, che sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences hanno pubblicato uno studio le cui proiezioni dimostrano che "con l'energia eolica disponibile nell'Atlantico Settentrionale potremo alimentare con fonti rinnovabili tutto il mondo".

In effetti è una proposta innovativa, poiché cerca di dare una risposta pulita alla costante domanda di energia. Il parco eolico piazzato nell'oceano sarebbe in grado, rispetto alle centrali terrestri, di immagazzinare molta più energia. Secondo lo studio è stato calcolato che le centrali eoliche a terra forniscono 1,5 watt di potenza per metro quadrato mentre quelle dell'oceano "potrebbero produrre più di 6 watt per metro quadrato".

Nelle simulazioni gli scienziati sostengono che mentre a terra si verificano un maggior numero di dispersioni e resistenze alle turbine, sull'oceano, grazie al calore del mare e all'assenza di interferenze, lo sfruttamento dell'energia cinetica dell'intera treposfera (lo strato più basso di atmosfera terrestre) è decisamente maggiore. In sostanza, un'enorme centrale oceanica potrebbe generare "tre volte l'energia dell'eolico terrestre".

Per rispondere concretamente alla domanda annuale globale di energia, pari a 18 terawatt, andrebbe però realizzato un sito massiccio, su circa 3 milioni di Km quadrati di oceano, di diversi miliardi di dollari, un impegno che dovrebbe chiaramente essere "realizzato" con una "cooperazione internazionale e una volontà globale nel trovare soluzioni ai combustibili fossili".

Un progetto affascinante, futuristico ma ancora troppi punti in sospeso tra cui anche la sua utilità stagionale, poiché i venti oceanici sono legati alle stagioni e gli studiosi puntualizzano che "se fosse realizzata una centrale del genere nell'Oceano Atlantico Settentrionale potrebbe coprire le esigenze energetiche dell'intera umanità in inverno, mentre in estate la stessa centrale coprirebbe solo quelle, per esempio, di Europa o Stati Uniti".

Potrà una centrale eolica soddisfare il bisogno annuo dell'intero pianeta? Se fosse costruita in quel luogo, sicuramente nessuno potrà aver da ridire sull'impatto paesaggistico.

Boom degli Agriturismo

Quest'anno +8%. Coldiretti annuncia: "Supereremo ampiamente i 12 milioni di presenze nel 2016.

Il 2017 è l'anno della grande ripresa del turismo, merito di questo risultato si deve anche agli agriturismo. Le presenze in questo settore, di cui l'Italia è leader mondiale, sono aumentate dell'8%.

La Coldiretti stessa lo annuncia in un rapporto, dove si rivela che il Belpaese vanta ben 22.661 aziende autorizzate a qualificarsi come centri di agriturismo, con 12,1 milioni di presenze nel 2016 e un numero atteso in significativo aumento quest'anno.

Un momento florido per il settore, il cui successo è giustificato anche dalla diversificazione dell'offerta. Oltre la consolidata qualità della tradizione enogastronomica, l'agriturismo Made in Italy cresce con un'offerta di servizi innovativi per sportivi, curiosi e ambientalisti, come l'equitazione, il tiro con l'arco, il trekking o attività culturali come la visita di percorsi archeologici o naturalstici, e i corsi di cucina e di wellness.

Inoltre, la Coldiretti può ulteriormente vantarsi del fatto che "L'Italia è l'unico Paese al mondo che alla bellezza del paesaggio può aggiungere 292 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario, e in più ha conquistato il primato "green" in Europa con il maggior numero di aziende biologiche".

Spiegato il motivo per cui il servizio degli Agriturismo è una peculiarità soprattutto nostrana. Spesso sono degli "alberghetti" a conduzione familiare nati sopra le strutture dell'azienda di casa. Dove l'accoglienza del luogo fa da sfondo a quella delle persone. E dove la storia di un territorio viene narrata soprattutto ed ancora, a tavola.

lunedì 23 ottobre 2017

Le donne vittime di "violenza ostetrica"

Un'indagine Doxa rivela come un milione di persone siano state vittime di trattamenti ingiustificati al momento del parto.

Se ne parla sempre troppo poco o quasi per niente. Eppure la violenza ostetrica è una realtà, purtroppo, ben radicata anche in Italia. Nel nostro Paese, circa un milione di mamme hanno subito "violenza ostetrica", definita come "l'appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale medico".

Praticamente, sono mamme costrette ad accettare un cesareo non necessario, a subire un'episiotomia non necessaria, a partorire sdraiata con le gambe sulle staffe, a esporsi nude di fronte ad una molteplicità di soggetti, a separarsi dal bambino senza una ragione medica, a non essere coinvolte nei processi decisionali che riguardano il proprio corpo e  il proprio parto. Sono donne umiliate verbalmente e fisicamente prima, durante e dopo il parto. A portare alla luce il fenomeno in Italia, è stata la ricerca "Le donne e il parto". Ideata dell'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia, condotta dalla Doxa e finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus.  

Le cifre delle vittime di violenza ostetrica fanno rabbrividire: per ben 4 donne su 10 (41%) l'assistenza del parto è stata per certi aspetti lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. Spiegato così anche quell'11% delle madri che ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un'ulteriore gravidanza, con conseguenze significative sulla fertilità a livello nazionale. Mentre, per il 6% del totale il trauma è stato così forte da decidere di non avere più altri figli.

In particolare, la principale esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è la pratica dell'episiotomia, subita da oltre la metà (54%) delle mamme intervistate. Nel nostro Paese 3 partorienti su 10 negli ultimi 11 anni, vale a dire 1,6 milioni di donne ( il 61% di quelle che hanno subito un'episiotomia) dichiara di non aver dato il consenso informato per autorizzare l'intervento. L'episiotomia è, a tutti gli effetti, un intervento chirurgico che consiste nel taglio della vagina e del perineo per allargare il canale del parto nella fase espulsiva. Rispetto alle lacerazioni naturali che spesso si verificano durante il parto, questa pratica necessita di tempi più lunghi per il recupero con rischi anche d'infrazioni ed emorragie. Per questo, oggi, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la definisce pratica "dannosa tranne in rari casi". In Italia, l'episiotomia è tutt'altro che sparita, l'ha subita 1 donna su 2. A riguardo, il 15% delle vittime, la vede come una menomazione genitale, il 13% la vede come un tradimento della loro fiducia da parte del personale ospedaliero.

Altro esempio di violenza ostetrica è quella di donne lasciate sole e tagliate fuori dalle decisioni sul parto. Circa il 27% delle intervistate hanno dichiarato di essersi sentite non seguite dall'equipe medica.

Poi c'è la pratica dei parti cesarei non necessari a conseguenza di carenze di sostegno e informazione. In Italia, il 32% delle partorienti ricorre al parto cesareo. Il 15% di esse dichiara che si è trattato di un cesareo d'urgenza. Nel 14% dei casi era un'operazione programata e solo il 31% delle donne ne avevano fatto esplicita richiesta.

Ancora il 27% delle madri lamentavano una carenza di sostegno e di informazione nell'avvio dell'allattamento, il 19% la mancanza di riservatezza in varie fasi e momenti della loro permanenza nell'ospedale. Il 12% delle donne afferma che gli è stata negata la possibilità di avere vicino una persona di fiducia durante il travaglio, il 13% non è stata concessa un'adeguata terapia per il dolore.

Allarmante è anche quel 4%, nel 2017, che afferma di aver vissuto una trascuratezza nell'assistenza con insorgenza di complicazioni ed esposizioni a pericolo di vita. L'Istituto Superiore della Sanità stima che in Italia, ogni anno, ci sono oltre 1.529 casi di "near miss" (quasi infortuni) ostetrici documentati, mentre le morti materne sono sottostimate del 60%.

Dati allarmanti e ancora più agghiaccianti sono i racconti riportati dalle tante, numerose, vittime di violenza ostetrica. Quelle per cui il momento più bello della vita, è diventato anche quello più traumatico.

Oche alla riscossa!

Un progetto tutto italiano. Per la prima volta si è sperimentato oche in vigna e polli tra gli ulivi: è il momento dell'agroforesty.

Oche alla riscossa, ma non solo...anche galline ed anatre. Dunque si sta riscoprendo l'interesse e l'importanza dei nostri amici animali bipedi.  È tutto nostrano il progetto One Goose Revolution coordinato dall'Università di Perugia dove si sperimenta la coabitazione tra piante ed animali.

 I luoghi eletti sono soprattutto vigne e uliveti, pascoli ideali per animali da cortile come oche,anatre e polli. Queste specie allevate allo stato brado hanno l'oneroso compito di salvaguardare le uve per grandi vini bianchi e rossi da invecchiamento.

L'idea sperimentata inizialmente sulle colline dell'Umbria dall'Università di Perugia, è stata presentata nei primi giorni di Ottobre durante la convention Fa' la cosa giusta!. L'appuntamento fisso con il consumo consapevole che si tiene da quattro anni nel capoluogo umbro.

Cesare Castellini, coordinatore del progetto e docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali dell'Università di Perugia, ammette: "In realtà abbiamo solo recuperato una millenaria pratica contadina. A oche e anatre sono riservate le vigne mentre polli e tacchini prediligono i terreni aridi dell'uliveto. In entrambi i casi i benefici per le piante e animali sono reciproci. Le carni di oche e anatre allevate in vigna, per esempio, hanno una qualità di grassi decisamente superiore perché contengono quantità significative di sostanze antiossidanti come gli Omega3. Grazie all'azione "pascolatrice" degli animali, al contrario, le vigne sono libere da piante infestanti, parassiti e vengono concimate in forma del tutto naturale e con un notevole risparmio economico".

In loco, tra i primi ad appoggiare il progetto sono stati quelli della cantina Di Filippo. A guardia dei loro quattro ettari di vigna, c'è oggi un allevamento di 400 esemplari di oche, che l'hanno reso una punta per la produzione biologica di qualità.

Lo stesso Roberto di Filippo commenta: "La quantità di oche che può essere ellevato in un ettaro senza che siano troppi danni è circa 100 individui. Per otto mesi all'anno gli animali passono in media 8 ore un vigna per poi ritornare, quasi sempre da sole, nei recinti". Nei quattro loro ettari di vigne, oltre le oche che fanno pulizia tra i filari ci sono anche 14 cavalli da lavoro utilizzati durante la vendemmia e durante i lavori di manutenzione della vigna.

Un ritorno al passato? Forse, ma è un'ottima soluzione se si considera che l'abolizione dei mezzi meccanici riduce lo stress sul terreno, permette alle radici dell'uva di respirare meglio e azzera l'uso dei combustibili fossili.

Ha dato ottimi risultati anche "l'impiego" di allevamenti di polli e tacchini negli uliveti. Poiché essendo animali insettivori, svolgono anche una funzione di pulizia dei parassiti che attaccano le piante.

Il progetto agroforesty umbro sarà presentato poi a Novembre anche in una lezione magistrale alla prestigiosa UPem, l'Università della Pennsylvania a Lancaster, negli Stati Uniti.

Un vecchio adagio popolare, più o meno recita che: "Una donna e una papera possono rivoltare un regno". Immaginate quindi che rivoluzione possono fare un esercito di oche.

domenica 22 ottobre 2017

Postcrossing, lo scambio di cartoline tra sconosciuti

È una community che conta 700 mila iscritti, l'Italia è 22esima per numero di messaggi spediti in tutto il mondo. "L'obiettivo è la condivisione", ma tra Cap, indirizzi e francobolli c'è chi ga incontrato l'anima gemella.

Le cartoline! Com'erano belle! Rigide, colorate e ognuna arrivava da un posto lontano del mondo a dire "anche qua ti sto pensando...". Se ne sente quasi la nostalgia, se non fosse che anche nell'epoca delle mail e delle chat, c'è chi continua a scambiarsi cartoline. Preferibilmente all'indirizzo di sconosciuti che vivono dall'altra parte del mondo.

Così funziona Postcrossing, comunità globale che conta oltre 700 mila iscritti e oltre 43 milioni si cartoline scambiate. Mentre in Italia i partecipanti sono 3.780.

Gli organizzatori del progetto tengono a precisare che: "Non è una comunità di collezionisti, ma un gruppo di persone che vogliono comunicare con il mondo. L'obiettivo è  la condivisione". Il gruppo Facebook Postcrossing italiano, a Novembre, festeggerà i 3 anni della nascita. E dopo il terzo raduno nazionale a Padova, si sta organizzando il prossimo incobtro a Pordenone. Sui social network gli iscritti sono già 225, ma la pagina non è che un'appendice del sito Internet.

Postcrossing.com include gli scambi tra 248 Nazioni. L'Italia è 22esima per attività epistolare. Nelle cassette della posta sparse sulla penisola sono state imbucate 385 mila cartoline. Quasi 400 mila quelle recapitate. Il meccanismo è semplice. Si crea un profilo accompagnato da un indirizzo postale, poi si clicca sul tasto "sena a postcard". Il sistema estrae in modo casuale un indirizzo, a cui il postcrosser potrà spedire fisicamente la cartolina. "Funziona in modo casuale, permettendo di mandare una cartolina reale a una persona che non abbiamo mai visto e forse non incontreremo mai". Anche se, in qualche caso, galeotto fu il francobollo. Due postcrosser, lui francese, lei svizzera, dopo un lungo scambio di cartoline hanno finito per sposarsi.

La community che ha visto la luce nel 2005, fondata dal portoghese Paulo Magalhaes, oggi è cresciuta. Nel mondo viaggiano 43 milioni di cartoline e il progetto coinvolge appassionati di tutte le età. Dai bambini che hanno appena imparato a scrivere fino alla più longeva, una signora olandese di quasi 100 anni.

Michele Bondesan amministratore del gruppo Facebook Italia dice: "Scambiarsi cartoline è un ottimo antidoto contro la solitudine. Dà sensazioni che una mail non può dare: si può toccare, richiede di prendere in mano la penna per scrivere, di cercare francobolli. Ed è un piacere trovare la cassetta della posta piena e sedersi su una poltrona a leggere".

Può scrivere chiunque e gli aneddoti in merito si sprecano. A cominciare da chi iscrive il proprio gatto o la pianta, ad una signora padovana che intratteneva un fitto scambio cpn un cactus russo oppure chi ha rinsaldato amicizie epistolari con Paesi lontanissimi tra loro, oppure chi scrive cartoline per tenersi in contatto con i propri compagni durante le vacanze.

Insomma sarà pure l'epoca di whatsapp e del web, ma volete mettere la bellezza di un cartoncino marchiato con l'inchiostro che arriva per corrispondenza? Un messaggio scritto a mano sulla carta, dietro l'immagine di una città lontana che ci racconta quanto variegata ed interessante può essere la molteplicità umana.

Un composto di funghi è efficace per combattere la depressione

Grazie alla psilocibina usata con successo su pazienti che non rispondevano al trattamento convenzionale.

È il male del secolo che colpisce circa 6 milioni di persone all'anno. Con dispendi umani ed economici non da poco. Ora una nuova risposta per contrastare la depressione viene dalla natura. Alcune settimane dopo l'inizio del "nuovo trattamento", grazie a una sorta di "reset" dell'attività cerebrale, i sintomi della depressione erano ridotti. Un ottimo risultato considerando, che è stato ottenuto non attraverso un innovativo farmaco, ma usando il principio attivo dei "funghi allucinogeni", la psilocibina. 

Questi sono i sorprendenti risultati di uno studio condotto dai ricercatori dell'Imperial College di Londra, in cui hanno usato il composto psicoattivo che si trova naturalmente nei funghi magici per trattare un piccolo numero di pazienti con depressione, in cui il trattamento convenzionale era fallito.

La ricerca è stata pubblicats sulla rivista Scientific Reports, e gli studiosi descrivono i benefici riferiti da 20 pazienti a cui sono state somministrate due dosi di psilocibina ( 10 mg e 25 mg), la seconda una settimana dopo la prima.

A sorpresa, i pazienti sperimentali hanno riferito sintomi migliorati fino a 5 settimane dopo il trattamento. Stando ai risultati il "composto psichelelico" può effettivamente reimpostare l'attività dei circuiti chiave del cervello che svolgono un ruolo importante nella depressione.

Inoltre, il confronto tra le immagini della risonanza magnetica dei cervelli dei pazienti prima, e un giorno dopo l'inizio della cura ha rivelato cambiamenti nell'attività cerebrale che sono stati associati a rivoluzioni significative e durature dei sintomi depressivi. Gli autori notano che i risultati iniziali della terapia sperimentale sono sì emozionati ma limitati dalla piccola dimensione del campione, così come dall'assenza di un gruppo di controllo.

Robin Corhart- Harris, responsabile dello studio aggiunge: " Lo studio ha mostrato per la prima volta chiari cambiamenti nell'attività cerebrale in persone depresse trattate con psilocibina. Alcuni dei nostri pazienti hanno descritto la sensazione di essersi "resettati" dopo il trattamento e spesso usavano questa analogia con il linguaggio dei computer perché quello che provavano e che il loro cervello fosse stato "deframmentato e riavviato" pronto a nuova vita".

Anche se tratta dal principio attivo dei "funghi allucinogeni", ben venga questa nuova scoperta che può aiutare nella lotta alla depressione: soprattutto perché i risultati positivi riscontrati (dopo il trattamento), sono realtà e non allucinazioni.

sabato 21 ottobre 2017

Il tè nero, l'alleato vincente per la perdita di peso

Secondo una ricerca, sarebbe in grado di modificare i batteri nell'intestino, aumentando il metabolismo.

Finora si era sentito parlare solo di tè verde. Oggi, si scopre che pure il tè nero aiuta la perdita di peso e porta anche altri benefici alla salute. Grazie alla sua capacità di modificare i batteri nell'intestino, aumentando il metabolismo dell'energia a livello del fegato.

Ha parlato degli effetti benefici di questa bevanda una ricerca della University of California a Los Angeles, pubblicata su European Journal of Nutrition. Secondo gli studiosi sia il tè verde che quello nero promuovono a livello intestinale la presenza di batteri associati alla massa corporea magra, facendo diminuire quelli legati all'obesità e modificano anche il metabolismo in due modi differenti.

Nel tè verde i polifenoli, sostanze famose per la loro azione positiva sulla salute, vengono assorbiti, mentre nel tè nero sono troppo grandi perché ciò accada, perciò avviene un meccanismo che stimola la crescita di batteri intestinali e la formazione di acidi grassi a catena corta, connessi al metabolismo dell'energia.

Susanne Heminy, coordinatrice dello studio, riporta: " I risultati suggeriscono che il tè verde e quello nero sono probiotici, cioè sostanze che inducono la crescita di microrganismi buoni che contribuiscono al benessere".

La dimostrazione sperimentale è stata ottenuta monitorando quattro gruppi di topi a cui sono state somministrate quattro diverse diete.

Due delle quali con molti zuccheri e grassi, sono stati aggiunti estratti di tè verde e nero. Dopo quattro settimane il peso dei topi che avevano assunto estratti dei due tè risultava diminuita come quello di altri che avevano assunto pochi grassi e vi erano nell'intestino più batteri legati alla massa magra. In particolare, col tè nero aumentava la presenza di un batterio delle piracee Lachiospiracee, Pseudobutyrivibrio.

Un valido assist per chi segue diete. Ora perdere peso sarà facile come bicchiere, un bicchiere d'acqua...pardon, di tè nero!

"Pull a pig", il nuovo crudele "gioco" che umilia le ragazze

Lo definiscono "scherzo", ma in realtà è un altro modo di bullizzare. Allarme rosso per gli adolescenti.

Trovare le parole giuste e non indignarsi è difficile. "Pull a pig", che letteralmente significa "inganna un maiale" è una pratica, orribile, che oggi viene erroneamente lanciata come una nuova moda. Praticamente un gruppo di amici fa a gara per riuscire ad avvicinare una ragazza, considerata poco avvenente o meglio la più brutta, con lo scopo di farle credere di essere interessati a lei, conquistarla e magari portarla a letto per poi umiliarla dicendole che si trattava tutto di uno scherzo.

Il fenomeno è balzato agli onori della cronaca dopo la vicenda rilanciata dai media britannici, della ragazza inglese, in realtà adolescente, sedotta ed umiliata da un coetaneo olandese conosciuto a Barcellona. Sophie, la giovane in questione, volata ad Amsterdam per rivedere il suo Jesse si è vista invece arrivare un messaggio con su scritto: "Sei stata pigged".

I giovani lo definiscono un "gioco", ma in realtà è un atto di bullismo orribile. Maura Manca Presidente dell'Osservatorio Nazionale Adolescenza, dichiara: "Ovviamente, raggiunto lo scopo del gioco ci si sente ancora più forti davanti al proprio gruppo di amici complici, si rinforza il proprio ruolo, si ha la sensazione di essere riusciti a dominare l'altra persona e di averle fatto fare tutto ciò che ci si era preposti di farle fare considerandola un oggetto di divertimento, un gioco per ridere, prendendosi gioco di un'altra persona, senza un briciolo d'empatia. È indubbio che chi ha bisogno di sentirsi forte dietro uno scherno, davanti ad un gruppo, con una persona psicologicamente più fragile e con meno strumenti per difendersi, sta mostrando le proprie fragilità, l'assenza di senso morale. Sono vittime anche loro, ma di un fallimento educativo: non ragionano sulle conseguenze delle proprie azioni".

Altro dato che fa riflettere è che vengono prese di mira solo le ragazze più brutte o in sovrappeso, come se questo fosse un motivo per essere maltrattate o umiliate. È come se la vittima presa di mira, non avesse emozioni e sentimenti, ma diventi un oggetto di cui poter fare quello che si vuole, viene valutata solamente per il proprio aspetto estetico, come se tutto il resto perdesse di valore.

Gli adolescenti lo definiscono "gioco", ma si tratta di una prevaricazione, di violazione perché si approfitta dei sentimenti, dell'ingenuità e della sensibilità di un'altra persona. Addirittura si è arrivati a far prendere treni, aerei, a far affrontare viaggi per poi rendersi conto di essere caduti nella rete dei bulli. Tutto questo viene anche documentato o diffuso attraverso le chat e l'umiliazione viene moltiplicata per il numero di condivisioni, di commenti e di offese e voltare pagina diventa più difficile.

La chiamano moda, ma è un nuovo modo di fare cyberbullismo. È un meccanismo che distrugge una persona, intacca profondamente la sua autostima e la sicurezza di sé. Insomma non ne esce un bel quadro per certa gioventù. Superfiale e priva d'empatia e morale.

L'unico "valore", haime', che si riconosce è quello della bellezza. Se si rispecchiano i canoni estetici si è socialmente accettati, altrimenti si rischia di diventare bersaglio di derisioni e sopraffazioni dei compagni. In effetti, per questo, si ritoccano le foto prima di pubblicarle, si cerca di apparire sempre "perfetti" e di omologarsi a quei canoni di sicurezza e si tenta a considerare "diversi" coloro che non rispecchiano questa tendenza.

Ma essere vittime di queste forme di bullismo, significa arrivare a darsi delle colpe, ed odiare il proprio corpo e il proprio aspetto estetico o ci si accusa di essere stupide e credulone per essere cadute nella trappola dei cyberbulli. Per noi parlare delle conseguenze, molto serie sul piano psicologico.

Quindi definire "pull a pig" un "gioco" è davvero fuori luogo. Ma davvero certa profonda cattiveria può appartenere a delle persone così giovani? Forse sarebbe meglio guardarsi un po' indietro e vedere dove si sta sbagliando, perché non può essere accettato che alcuni giovani possano crescere così. Privi di sentimenti, quegli elementi basilari dell'umanità.

venerdì 20 ottobre 2017

Guidare quando si è disidratati fa fare errori come se si fosse bevuto

Pessima idea quella di mettersi al volante quando non si ha bevuto acqua. Due terzi dei conducenti non sono in grado di riconoscere i sintomi della disidratazione, ossia, stanchezza, capogiro, mal di testa, bocca secca e riflessi rallentati.

È l'elemento più importante del Pianeta e della nostra vita. Ha creato proprio la vita. Ora si scopre che bere acqua è fondamentale anche e soprattutto quando si guida. I conducenti, infatti, commettono il doppio degli errori quando sono disidratati e gli errori, ironia dela sorte, sono simili a quelli riscontrati nei conducenti con tasso alcolemico oltre il limite consentito.

L'osservazione è frutto di uno studio iniziato nel 2015, finanziato dall'European Hydration Institute e condotto dall'inglese Loughborough University, che ha rivelato come i conducenti che hanno ingerito soltanto un sorso d'acqua (25 ml) ogni ora, hanno commesso oltre il doppio degli errori in strada rispetto ai conducenti correttamente idratati. Di più, il numero degli errori era equivalente a quello riscontrato in persone con un tasso alcolemico dello 0,08%, l'attuale limite consentito per la guida del Regno Unito.

Manco a dirlo, gli errori più comuni rilevati, sono stati un po' quelli che riguardano i "riflessi". Come, l'azionamento tardivo dei freni, la difficoltà a mantenere la traiettoria all'interno della propria corsia e perfino l'invasione involontaria delle corsie adiacenti.

Altro dato interessante è che oltre due terzi dei conducenti non sono in grado di riconoscere i sintomi della disidratazione, quali la stanchezza, capogiro, mal di testa, bocca secca e riflessi rallentati. Peccato, perché già uno studio del 2013 ha dimostrato che chi consuma mezzo litro d'acqua prima di eseguire attività mentali ha riflessi più veloci del 14% rispetto alle persone che non si idratano.

Spesso le donne vengono accusate, da retaggi di vecchi stereotipi, di non saper guidare. C'è da dire, che però, le donne hanno la buonissima abitudine di portare con sé sempre una bottiglietta d'acqua. Proprio per non lasciare mai disidratato il cervello, anche alla guida, e quindi non commettere troppi errori dovuti alla convinzione.


Arriva la filiera della carne green

La bistecca diventa ancor più ecosostenibile. Presentato alle Bonifiche Ferraresi il progetto per rivoluzionare gli allevamenti: mangimi sani, spazi più confortevoli e una filiera al 100% italiana. Per rilanciare i consumi sani e limitare l'import, che oggi vale il 45%. Coinvolti Coldiretti e Ministero dell'Agricoltura.

Comincia da Jolanda Di Savoia, in provincia di Ferrara, la rivoluzione della carne green. Innanzitutto, la produzione italiana del settore, è già green. Da Nord a Sud gli allevatori fanno molta attenzione e coccolano i propri capi di bestiame e nel frattempo gli addetti e i severi controlli della sanità compiono il resto. Ma, da questo tempio degli allevamenti, dalle stalle con 5 mila bovini da carne, circondato da piramidi di balle di fieno, si annuncia la riscossa della biatecca.

Bovini veri contro "bufale", ossia le fake news che predicano che la carne fa male, che se ne mangia troppa, che gli allevamenti danneggiano animali e ambiente.

Alle Bonifiche Ferraresi, 6.500 ettari, la più grande d'Italia, si sono dati appuntamento con Assocarni (industria) e Coldiretti (allevatori), per dire che la carne buona fa bene, basta produrla con sapienza e consumarla con equilibrio. E come ribadiscono i proprietari dell'azienda: "Qui produciamo la carne green, questa è una stalla 4.0, totalmente ecosostenibile".

Una puntualizzazione importante sottolineata anche dalla presenza e dal pensiero di due ministri. Il ministro dell'Agricoltura Maurizio Martina, che nel menù vorrebbe vedere scritto anche la filiera da dove proviene la carne. E la ministra della Salute Beatrice Lorenzin che esorta a creare un consumo consapevole, preoccupata da certe "mode" alimentari. Poiché col rifiuto delle proteine abbiamo bambini che soffrono di rachitismo.

In Italia si consuma poca carne. Dal 2010 al 2017 le macellazioni dei bovin sono calate da 2,8 milioni a 2,5 milioni e i consumi apparenti sono diminuiti da 25 chili pro capite all'anno a 19,2. "Apparenti" perché non tutto ciò che si compra in macelleria viene effettivamente mangiato. Mentre il dott. Vincenzo Russo, dell'Università di Bologna  chiarisce meglio: "In Italia si consumano 104 grammi di carne al giorno. Tutta la carne, però: polli e ovini, in scatola o surgelati. Il bovino è il 32,9% della carne consumata. Se togliamo gli scarti come le ossa, il grasso, eccetera, si arriva ad un consumo di 24,56 grammi al giorno. Insomma: una bistecca alla settimana, ben sotto la soglia dell'allarme lanciato in questi anni".

Oggi, i bovini sono 5,9 milioni, come nel 1945, quando le stalle erano state svuotate dalla fame e dalla guerra. Poi, oltre il consumo ridotto, il 45% della carne bovina arriva dall'estero, "senza il valore aggiunto di sicurezza e sostenibilità garantite dall'italianità".

Da noi, invece, l'allevamento è già "integrato e sostenibile" dalle stalle. Concepite con piccole tettoie, paglia sul pavimento, spazio per muoversi e coricarsi e mangiatoie con doppi abbeveratoi. E alle Bonifiche Ferraresi vanno addirittura oltre, le stalle sono state progettate da Luigi Cremonini; gli addetti alle stalle, che una volta si chiamavano bovari o bergamini, oggi sono il "management della stalla". Fanno i corsi al Centro Referenza Benessere Animale, così riescono ad evitare fenomeni aggressivi o di conflitto. Lì è difficile addirittura sentir muggire i bovini nelle stalle. Da non dimenticare che anche l'alimentazione dei capi nostrani è ecosostenibile perché spesso prodotta proprio nell'azienda.

Quindi, proteggiamo gli allevamenti 100% italiani. Anche nelle piccole imprese, per creare lavoro e difendere il proprio territorio. Inoltre mangiare bene e sano fa stare tutti meglio, bene e sani.


giovedì 19 ottobre 2017

Jennifer: il fidanzato non vuole sposarla perché grassa, perde 57 kg e diventa Miss

Jennifer Ginley è una giovane donna di 26 anni e, fino a qualche mese fa, era in sovrappeso. Il fidanzato si rifiutava di farle la proposta di matrimonio perché troppo "grassa". Quindi, lei decide di dare una svolta, perde 57 chili e viene pure eletta Miss Sliky del Slimming Word 2017.

La storia di Jennifer a grandi linee, è la storia di tante altre ragazze che nel percorso della loro vita si ritrovano a dover "combattere" con qualche chilo in più, che spesso si sedimentano senza nemmeno volerlo. E così ci si deve "azionare" per perderli, perché senza troppo buonismo ed ipocrisia, poi ci si trova a dover sperimentare, la cattiveria o gli stereotipi di bellezza che anche gli altri ci impongono.

Jennifer Ginley è originaria di Liverpool e fino a poco tempo fa era in sovrappeso. Mangiava solo patatine, cioccolatini, caffè, cibo cinese, alimenti take away, tutto "innafiato" da bibite gassate. Queste abitudini alimentari un po' sbagliate, hanno fatto lievitare il suo peso, tanto che è arrivata a pesare ben 120 chili in pochi mesi. La ragazza ricorda che ormai non poteva più salire sulle montagne russe e, addirittura, aveva bisogno di un'estensione della cintura di sicurezza quando viaggiava in aereo. La situazione le creava un così tale imbarazzo che evitava pure di uscire per non essere giudicata dagli sconosciuti.

Lei aggiunge: "Da piccola non ero in sovrappeso, poi quando sono andata al college è cambiato tutto. Vivevo lontano da casa e ho messo su 30 chili dopo essermi laureata". La scintilla che le ha fatto scattare la molla è stata quando ha capito che il fidanzato con cui stava da ben 11 anni si rifiutava di farle la proposta di matrimonio perché non voleva una sposa grassa.

Quindi la ragazza ha cominciato a seguire una vita sana e a praticare regolarmente attività fisica. Ha perso così, in un solo anno ben 57 chili, arrivando quasi a dimezzare il suo peso iniziale.

Jennifer si sente ora una persona nuova. Grazie al drastico cambiamento è stata nominata Miss Slinky of Slimming World 2017. La notorietà non solo le ha fatto guadagnare 75 mila seguaci su Instagram ma ha anche spinto il fidanzato a compiere il grande passo. La ragazza ha ricevuto finalmente l'anello e presto percorrerà la navata con indosso l'abito dei suoi sogni.

È giusto mettersi in forma soprattutto per sé stessi e poi per gli altri. Innanzitutto per il benessere fisico e psicologico della persona, poi piacere e piacersi è sempre meglio. Eppure, visto che Jennifer ha cambiato tanto della sua vita, forse avrebbe dovuto cambiare pure il fidanzato.

Spaghetti arricchiti con farina d'orzo per proteggere dall'infarto

Si può proteggere il cuore dall'infarto mangiando spaghetti arricchiti con farina d'orzo. Il merito è dei beta-glucani che inducono la formazione di "bypass" materiali.

Mangiare la pasta per aiutare il cuore. A quanto pare la scienza dice sì. Ed è italiana la ricerca che ha scoperto come proteggere il cuore dall'infarto mangiando spaghetti. Diventerà possibile grazie ad una pasta speciale, prodotta nel Belpaese, mescolando la semola di grano duro con una farina d'orzo particolarmente ricca di una fibra alimentare "amica" del cuore, chiamata beta-glucano.

La pasta funzionale è già stata sperimentata, con successo, sui topi in laboratorio. Lo studio ha dimostrato che nutrirsi con gusto alimentare stimola la formazione di "bypass" naturali, che possono continuare ad alimentare il tessuto cardiaco anche quando è "soffocato" dall'occlusione di una coronaria.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports e sono stati ottenuti dalle ricerche dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa.

Il responsabile dello studio, nonché coordinatore dell'Unità di Medicina Critica Traslazionale (Tancri Lab) della Scuola Superiore Sant'Anna, Vincenzo Lionetti spiega: "È la prima volta che si favorisce la formazione di bypass naturali attraverso un alimento funzionale, come la pasta con beta-glucano d'orzo".

Ancora una volta, si scopre che gli spaghetti fanno bene, sono buoni sia per la "pancia" che per il cuore.

mercoledì 18 ottobre 2017

L'intelligenza artificiale che può "scoprire" l'Alzheimer 10 anni prima

È italiana la ricerca che ha messo a punto un algoritmo che potrebbe aiutare ad individuare la patologia prima che si menifestino i sintomi.

Sul Times già se ne parla da tempo e ha riservato alla notizia la prima pagina. Quella su cui è finita la dottoressa Marianna La Rocca dell'Università di Bari per una ricerca che dimostra come l'intelligenza artificiale sia in grado di riscontrare la malattia dieci anni prima che si menifestino i sintomi.

Ha matrice italiana l'algoritmo capace di individuare le caratteristiche dell'Alzheimer su una risonanza magnetica meglio di quanto possano fare gli esseri umani.

Uno studio che potrebbe rivoluzionare la conoscenza del morbo dell'Alzheimer. L'interesse nel campo scientifico riguardo questa scoperta cresce a dismisura, così come si susseguono gli articoli pubblicati in merito sulle varie riviste. Così si passa da chi definisce lo studio italiano in grado di rivoluzionare la conoscenza del morbo di Alzheimer, a chi come il New Scientist (quotidiano londinese) lo definisce "una svolta". Anche perché come riportato dalla dottoressa La Rocca nelle varie interviste, la nuova tecnica ha anche il vantaggio di essere più economica e meno invasiva di altre finora utilizzate.

Il team di studiosi dell'Università pugliese ha meso a punto l'algoritmo e quindi lo ha sperimentato sulle risonanze di 38 pazienti malati di Alzheimer e 29 individui sani. Successivamente l'esperimento è stato ripetuto su 148 persone, di cui 52 sane, 48 malate di Alzheimer e 48 pazienti con minori problemi cognitivi che nel giro di dieci anni hanno poi sviluppato l'Alzheimer.

L'intelligenza artificiale è riuscita a distinguere le risonanze delle persone sane da quelle malate nell'86% dei casi e nell'84%, dato ancora più significativo secondo gli scenziati, è riuscita a diagnosticare il futuro sviluppo della malattia in coloro che ancora non ne soffrivano.

Sebbene ad oggi, ancora non esista una cura per questo terribile morbo, una diagnosi precoce significa che i pazienti possono essere seguiti con largo anticipo e hanno più tempo per prepararsi ai cambiamenti di vita necessari. La scienza medica sta investigando se un trattamento anticipato della malattia può ritardarne i sintomi, ribadendo così, l' importanza della scoperta dei ricercatori baresi.

Nel frattempo, scienziati del Massachusetts Institute of Technology, della Case  Western University dell'Ohio e della McGill University in Canada hanno usato l'intelligenza artificiale per predire lo sviluppo dell'Alzheimer con risultati incoraggianti, ottenendo percentuali simili a quelle della dottoressa La Rocca. Magari questa nuova tecnologia potrà rivelarsi utile anche per identificare in anticipo altre malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson.

Dalla placida Puglia arriva una nuova intuizione a gettar luce sulla predizione del morbo di Alzheimer. Non sarà la cura, ma predirne con così largo anticipo l'insorgenza può aiutare ad affrontare il decorso  della malattia con più serenità.

Il Ferrero Rocher meglio della cioccolata svizzera

Il più venduto in Cina. Sembra che i consumatori locali ne siano particolarmente ghiotti. È il prodotto dell'azienda italiana che va per la maggiore. Il re del momento è l'americano Mars col 40% di quota, ma alla Ferrero va il 20% del mercato.

In effetti l'oro con il rosso si abbina bene. Sarà per questo che mentre il cioccolato svizzero fa fatica ad affermarsi, in Cina, "hanno tutti voglia di qualcosa di buono", (parafrasando un suo vecchio slogan televesivo), hanno tutti voglia dei cioccolatini Ferrero Rocher.

Anche se, da quelle parti, molto apprezzati sono anche i prodotti dell'americana Mars. Quest'ultima, stando a quanto ha reso noto Ben Cavender, dell'Agenzia China Market Research Group, occupa il 40% del mercato locale, mentre la multinazionale di Alba si trova in seconda posizione, con il 25%. In particolare, i consumatori locali sono molto attratti dai Ferrero Rocher, il prodotto dell'azienda italiana che va per la maggiore tra i cinesi. I quali da circa 5 anni sono diventati particolarmente golosi di cioccolato.

Cavender, rappresentante del China Market Group dichiara: "Prima lo consideravano una bizzarria occidentale troppo zuccherata. Oggi, invece, è diventato un prodotto di lusso come vino e profumi".

Affermazioni comprovate dalla cifra d'affari delle vendite di cioccolato, raddoppiate nell'ultimo lustro. Entro il 2020, poi, dovrebbe raggiungere i 59 miliardi di franchi svizzeri, circa 5,2 miliardi di euro. Ad avvicinare i cinesi ai prodotti a base di cacao oltre ai Ferrero Rocher, ci hanno pensato i cioccolatini all'aroma di anice e menta, molto vicini ai gusti locali. Così, oltre a Ferrero e Mars, anche ditte francesi, belghe, britanniche e tedesche, si sono fiondate sul mercato cinese.

Meno congeniali ai palati asiatici sono i marchi svizzeri, che hanno fatto l'errore di investire troppo poco, per promuovere la loro immagine. Anche se Lindt & Sprungli fa sapere di aver incrementato di parecchio la vendita dei suoi Lindor, a Shanghai e Pechino. Mentre Barry Callebout punta tutta sul suo cioccolato rosa, dolce, fruttato e fresco, proprio come dovrebbe piacere ai cinesi.

Invece il Ferrero Rocher viene apprezzato di suo. Piace per quello che è, ed è sempre stato. Senza indagini di mercato. Un autentico scrigno di sapore, un po' come gli italiani, fuori un guscio croccante che racchiude una voluttuosa e avvolgente morbidezza.

martedì 17 ottobre 2017

Urban Nature: le città hanno bisogno di verde

Ci vuole un albero, o forse più di uno per rendere più vivibili le città. Esclusa Matera, la città più green d'Italia, il resto dei grandi agglomerati urbani è ancora lontano dalla quantità di verde necessaria pro capite.

"Ci vuole un albero" per vivere meglio. Soprattutto nelle città italiane. Ma visto che siamo ancora molto lontani, il Wwf lancia l'iniziativa: "C'è ancora molto da fare per rendere vivibili le nostre metropoli". 

Seppure, disseminati qua e là, ce ne sono diversi sparsi nelle zone urbane. Sono più alti di noi, vivono al nostro fianco, sfoggiano enormi chiome verdi, ma spesso passano inosservati, tanto da dimenticarci quanto siano preziosi. Invece, gli alberi nelle città hanno un valore inestimabile.

Lo ribadisce uno studio condotto da un team internazionale, a cui ha partecipato anche il professore Sergio Ulgiati dell'Università di Napoli, secondo cui gli alberi urbani valgono 1,2 milioni di dollari per chilometri quadrato. Una fonte di vantaggio non solo per ossigenare e decorare, ma un vero e proprio pacchetto benessere composto da servizi "ecosistemici" che apportano benefici, eppure si continua a considerarli un costo e non una risorsa.

Le previsioni europee indicano che entro il 2050, il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città, ma in quelle stesse aree urbane i piani per aumentare la quantità di verde, vanno a rilento. E l'Italia si appaia al meglio a questo poco onorevole trend. L'Istat rivela che ogni italiano ha a disposizione, in media, 31 metri quadrati di verde urbano, ma nelle metropoli italiane lo spazio dedicato alla natura è inferiore a 20 metri quadrati e ci sono perfino una ventina di città che non raggiungono la soglia dei 9 metri obbligatori per legge.

La più "green" delle rappresentati italiane, è Matera, mentre Milano e Roma, seppur si classificano ai primi posti per quantità di alberi, sono rispettivamente al 73° e 74° nella lista pro capite. Ovvero, la proporzione tra numero di cittadini e verde presente è ancora ben lontana dall'essere soddisfatta.

Il Wwf e altre associazioni propongono di adottare una strategia per riportare al centro natura e biodiversità cittadina. Perché gli alberi offrono quotidianamente una serie di servizi ecosistemici, quali: la regolazione del microclima, la rimozione degli inquinanti atmosferici, l'assorbimento del carbonio, i beni di consumo, l'aumento del valore immobiliare o della conservazione dell'ecosistema.

La presidente Donatella Bianchi, aggiunge: "Una siepe o il balcone in fiore di una casa possono ospitare insetti per l'impollinazione, un polmone verde può essere casa di pipistrelli mangia zanzare: ogni cosa s'incastra, se investiamo sulle funzioni della natura".

E investire in alberi sarebbe davvero una bella assicurazione per il futuro. Un futuro rigoglioso di benefici e speranze, finalmente verde!

Il QI sempre più basso

L'intelligenza è in calo. Il Quoziente Intellettivo è sempre più basso.

Un pochettino se ne aveva il sentore. Quando vedi persone che camminano come automi ubriachi, con lo sguardo spaesato, persi nello schermo del proprio smartphone, tanto intelligenti, in effetti non sembrano. Può sembrare triste ma è così!

Per quasi un secolo il punteggio medio del QI (Quoziente Intellettivo), nelle Nazioni benestanti è cresciuto al ritmo di circa 3 punti ogni 10 anni. Un effetto spiegato dagli esperti con le migliori condizioni socio-economiche, una dieta più sana e un livello culturale della popolazione più elevato. Ma dal 2004 i ricercatori hanno notato un'inversione di tendenza, con il QI medio in calo nel corso degli anni. Un arretramento stimabile in 7-10 punti in meno per secolo. Così afferma il ricercatore Micheal Woodley della Free University of Bruxelles, con un articolo pubblicato su "New Scientist".

Le spiegazioni di tale preoccupante fenomeno sono state curate dal prof. Robin Morris al King's College di Londra, che con il suo team ha esaminato le caratteristiche di oltre 1.750 diversi tipi di test per misurare il QI utilizzato fin dal 1972. Secondo il team di ricerca, il calo dell'intelligenza è legato all'invecchiamento progressivo della popolazione.

In barba a chi aveva pensato di dare la colpa a telefonini super intelligenti, o ricerche internet pronte a risolvere ogni problema.

L'intelligenza, fra i tanti fattori, è composta anche dalla memoria a breve termine e la memoria di lavoro. Quando gli scienziati hanno valutato i risultati totalizzati in questi due tipi di test nel tempo, hanno rilevato uno schema: il punteggio della memoria a breve termine è salito, in linea con quanto asserito finora, ma a ridursi era quello dei test sulla memoria di lavoro, l'abilità di trattenere informazioni necessarie per analizzare, ragionare e prendere decisioni. Inoltre, negli anni sono aumentati i candidati che si sono sottoposti al test a 60 anni o più. La memoria di lavoro declina con l'età, mentre quella a breve termine in genere si conserva, dunque il team di Morris ritiene che l'aumento degli over 60 sia in parte responsabile del calo del punteggio al test sulla memoria di lavoro. E quindi del calo del QI medio.

L'intelligenza è la forma più caratteristica del cervello umano. A molti l'idea potrà far storcere il naso, ma come gli altri "organi" anche il Sistema Nervoso Centrale (SNC) funziona meglio con l'allenamento e soprattutto con l'elasticità portata soprattutto dalla giovinezza.

lunedì 16 ottobre 2017

Tanto caldo pochi tartufi

Il caldo eccessivo non fa crescere i tartufi. Così i prezzi salgono alle stelle.

Fra i tanti disagi che questa torrida estate si è portata dietro, rientrano anche quelli di non aver fatto crescere i tartufi. Ad Ottobre inoltrato, sarebbe dovuta cominciare la stagione, ma il re delle tavole scarseggia. Lo sanno bene alla più importante Fiera del settore che si tiene ad Alba, la sua capitale piemontese.

L'annata del tartufo 2017 non promette bene. Non se ne trova e i prezzi sono molto alti. Alla Borsa del Tartufo Bianco d'Alba si parla di 3500 euro al chilo, con punte di 4500 euro per le pezzature più pregiate, ovvero i massimi degli anni negativi.

Eppure si aspettava l'autunno proprio per celebrare il re delle tavole nel modo migliore, dopo che era stata lanciata dall'Associazione Nazionale Città del Tartufo (in tutto 50 iscritti), la candidatura all'Unesco per il riconoscimento della Cultura del Tartufo come patrimonio immateriale dell'umanità. Invece, la direttrice del gruppo, Brancadoro, a malincuore dichiara: "Si profila una delle peggiori stagioni degli ultimi anni, a causa dell'estate siccitosa che non ne ha favorito la crescita e l'insolito caldo che ancora caratterizza il mese di Ottobre".

Mentre Liliana Allena, Presidente della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d'Alba, la più prestigiosa piazza del mercato internazionale, aggiunge: "Però quelli che abbiamo sono asciutti, sani e profumati. Nei nostri territori l'autunno un po' si sente, la mattina presto e la sera è fresco e umido, e questa è già una consolazione in attesa delle piogge. Intanto la Fiera d'Alba archivia il primo weekend della manifestazione con il solito bilancio record: più di diecimila ingressi, e un interesse crescente verso tutto ciò c'è dietro il piatto e un buon bicchiere di vino".

Inoltre, se al Nord, dove qualche pioggia comunque s'è vista tra fine Settembre e i primi di Ottobre, il tartufo si fa desiderare, al Centro e Sud Italia, la situazione è ancor più preoccupante. Lo rivela sempre la Brancadoro che sta girando l'Italia nei vari territori del tartufo per aggiornare il dossier di una candidatura che riguardando un bene immateriale, come la storia e la cultura legata al tartufo, deve essere sempre "rinfrescato" per dimostare la sua vitalità presso i validatori dell'Unesco.

Per il momento, non resta che attendere la pioggia, attesa per Novembre. Intanto, i prezzi continuano a crescere e già si prevedono quotazioni altissime intorno al periodo natalizio.

Il tartufo è sempre stato considerato il più pregiato e costoso ingrediente delle tavole, vero e proprio oro nero, soprattutto per i grandi estimatori che non ci rinunceranno nemmeno se poi dovesse costare quanto un diamante.

"Lettering da"

Raccolta fotografica di tutte le più belle scritte che un tempo componevano le insegne. "Così recuperiamo gli alfabeti scomparsi".

Personalmente, quando mi capita di vedere una vecchia foto o un vecchio video, vengo sempre colpita dalle insegne, ormai ingiallite, che capeggiavano sopra i negozi.

 Sarà per nostalgia, sarà perché ora, quei punti  di riferimento inconfondibili sono quasi spariti dai passeggi cittadini e così come molti degli stili con cui venivano coniate le lettere che poi andavano a comporle.

 In questi giorni, sta spopolando il progetto di un gruppo di giovani graphic designer esperti di type designer che "cacciano" vecchie insegne in giro per l'Italia e hanno raggruppato le tante foto su una pagina online.
 Ognuno di questi ragazzi ha la propria pagina e poi tutte le foto vengono analizzate per ricostruire caratteri ormai dimenticati.

È un modo per raccontare la storia. Il tempo che passa. 

Perché, sbiadite dal tempo o incastonate in una lunetta. Incise, dipinte a mano o a led. Rigide e composte nel loro stampatello o in corsivo morbido ed elegante. Qualunque sia la forma, le insegne fanno parte del racconto di una città. Piccoli gioielli di tipografia urbana.

Così, è nato il progetto "Lettering da", raccolta fotografica online di tutte le più belle scritte che compaiono in dodici città italiane.

 L'idea è partita da Torino, nel 2012, scaturito dalla graphic designer Silvia Virgillo, poi si è espansa fino a Milano, Genova, Matera, Venezia, Roma, Faenza, Jesi, Trieste e Lecce, Modena e Parma.

L'ideatrice commenta: "Ho iniziato dalla città in cui sono nata e lavoro, reduce da corsi di design a Milano e workshop mirati all'esplorazione in senso tipografico della città. 

Rientrata a Torino ho visto la gran quantità di insegne e iscrizioni per le strade e ho aperto la prima pagina Facebook". Oggi ogni città coinvolta ne ha una dedicata. Sui social, Lettering da Torino è arrivata a 4.947 likes.

Silvia grazie alla sua passione e la macchina fotografica sempre a portata di mano, ha collezionato 585 foto tra insegne di vecchi negozi, iscrizioni sulle facciate dei palazzi e antiche indicazioni dei nomi delle strade.

Lettering da, però non è solo una galleria fotografica. È un modo per conoscere forme inedite, caratteri tipografici ormai scomparsi.

 Le scritte più interessanti dal punto di vista grafico vengono analizzate e ridisegnate. Oppure come si usa nel gergo del type design, vengono vettorializzate, ovvero, si riporta sul pc ciò che il più delle volte è solo dipinto a mano. Correggendo quindi eventuali imperfezioni o ciò che il tempo ha cancellato. Si tenta di ricostruire, a partire da una manciata di caratteri, alfabeti completi.

Lettering da non è solo il lavoro certosino di appassionati del settore che vagano per le città alla ricerca dell'insegna perduta. È un modo per creare una memoria collettiva delle insegne. Molte di esse sono oggi scomparse portando con sé, parti di città sconosciute.

La nostalgia è un filo sottile che lega tra loro persone, luoghi e tempi ormai perduti. In effetti, da sempre, le insegne sono l'appiglio più palese che lega l'uomo alla contemporaneità del suo tempo.




domenica 15 ottobre 2017

La Danimarca, il Paese delle nozze express

In riva al Baltico fiorisce il business dei matrimoni. Il sì anche solo dopo 36 ore dalla richiesta.

È noto che il luogo dove sposarsi, deve essere bello, ideale, praticamente da sogno. Sempre più giovani, ma anche meno giovani, scelgono come posto ideale l'isola AERO.

La verde Danimarca nasconde questo tesoretto fatto di poco più di 6 mila abitanti, 230 chilometri di piste ciclabili, un'infinità di pittoresche casette col tetto di paglia e la più grande centrale fotovoltaica del Nord Europa.

Ma i motivi che hanno spinto ben 3799 coppie di fidanzati etero ed omosessuali, provenienti da ogni angolo d'Europa e del mondo, è il poter dirsi sì di fronte ai dipendenti dell'Ufficio delle Stato Civile dell'isola del Mar Baltico. E farlo anche abbastanza velocemente. Spesso chi si sposa qui, ha delle richieste sobrie, solitamente gli sposini non vogliono pranzi particolarmente lunghi, prediligono pochi fiori e invitati, spesso nemmeno i due testimoni, forniti per l'occasione da wedding planner dell'isola.

Tutto è cominciato qualche anno fa, quando l'avvocato Leslie Rabuchin, alla ricerca di una nuova attività lavorativa, decise di aprire l'agenzia matrimoniale "Global Express Weddings". La Danimarca era già nota per le sue leggi molto liberali e poco burocratiche in materia di Diritto Civile e attirava ogni anno migliaia di coppie gay o di coppie miste formate da persone di diversa nazionalità e provenienza nel Paese intenzionate a sposarsi.

Quasi per gioco, parlando con un dipendente del Municipio, gli propose di dar vita a una nuova forma di business molto lucrativa.

L'avvocato propose di semplificare ulteriormente le formalità burocratiche necessarie per le nozze civili ed accelerare i tempi per ottenere un appuntamento di fronte ai dipendenti dello Stato Civile.
L'episodio ha segnato un nuovo inizio. Ad AERO per sposarsi non serve più un certificato di nascita, uno di residenza o un documento ufficiale che convalidi di essere celibi o nubili. È necessario un semplice documento d'identità e il Comune organizza un appuntamento per il compimento delle nozze, non più tardi di tre settimane e in casi estremi, anche entro 36 ore.

Grazie a questa pratica, in 10 anni il numero di nozze celebrate sull'isoletta sono aumentate a livello esponenziale da 124 a 3.799 (lo scorso anno). I motivi sono sostanzialmente due. La "fretta" e l'inclinazione per i ricevimenti di nozze non troppo pomposi. Niente grandi cene, pochi fiori e pochissimi invitati. Capita addirittura che non ci siano i testimoni, allora provvedono i dipendenti delle agenzie matrimoniali.

Gli abitanti dell'isola sono ormai abituati ai piccoli ingorghi di sposini che sfrecciano giornalmente sull'isola. Tanto da far diventare la moda delle nozze "fast" un vero e proprio affare, sono molte le agenzie che ormai offrono pacchetti all inclusive.

Non male l'idea di andare a sposarsi in Danimarca. In effetti, quando c'è l'amore cos'altro serve per sposarsi?


Tombe super lusso in vendita

A Venezia. Si parte dalla più economica, 192 mila euro, per arrivare perfino a 335 mila euro, rilanci inclusi. La concessione ha una durata di 99 anni.

Totò, attore partenopeo, scriveva in una sua poesia "A livella" che la morte è uguale per tutti e così dovrebbero essere anche le tombe. I veneziani non la pensano così. Lanciano addirittura un investimento per "l'eternità". L'unico requisito è quello di dover essere benestanti e di voler disporre come ultimo giaciglio dopo la morte, di un piccolo angolo di Paradiso: una delle isole della laguna di Venezia, tra la Serenissima e Murano.

Il sindaco-manager Luigi Brugnaro, per valorizzare il patrimonio pubblico, ha pensato di mettere all'asta dei "luoghi" spesso inutilizzati per decenni, se non addirittura completamente abbandonati; non ci passava anima viva! Metterà in vendita tombe super lusso. L'occasione giunge da diciassette concessioni cimiteriali che sono decadute nell'ultimo periodo: i manufatti sono appena rientrati nella disponibilità del Comune per scadenza dei termini o per inadempienze manutentive.

Sei di queste sono già alienabili e sono dei veri e propri scrigni artistici, belli da morire. Sono cappelle private del cimitero di San Michele, con vetrate e mosaici d'epoca di straordinario valore storico e artistico. Appartenevano a famiglie nobili che le avevano fatte ereggere per ospitare tutto il casato.

La tombe in vendita non sono accessibili a tutti. Il loro costo sarà deciso con aste pubbliche. Ma si parte dalla più economica da 192 mila euro; si può arrivare anche a 335 mila euro più i rilanci. La concessione ha durata di 99 anni, prorogabili. La perizia ha tenuto conto del valore di concessione, di costruzione, con punte di 10 mila euro al metro quadrato: il doppio di quanto oggi il borsino immobiliare attribuisce a Piazza San Marco.

Naturalmente, in questo prezzo è compresoa la bonifica delle cappelle, prima di essere cedute sotto l'egida della Soprintendenza. Alcune tombe versano in condizioni critiche, attorno sembra tutto un po' senza vita, ma gli elementi artistici e architettonici invece si sono mantenuti benissimo. Il sindaco precisa che il ricavato dell'asta sarà interamente utilizzato per la manutenzione e il ripristino dei cimiteri comunali veneziani. E si stima di guadagnare circa 2 milioni di euro.

I bandi sono aperti, non resta che aspettare gli acquirenti. Sembra una cosa poco carina, ma comprare una tomba lì, è un vero investimento. D'altronde Venezia è patrimonio dell'Unesco. E in questa città già tanti vip hanno comprato casa, anche se più per viverci . San Michele, invece, è già stata scelta come "dimora eterna", da tanti artisti e personaggi illustri. Qui riposano: il compositore russo Igor Stravinskij, il poeta e saggista Ezra Pound e Helenio Herrera condottiero della Grande Inter.

Le tombe super lusso, saranno pure un affarone, permetteranno anche di riposare in un angolo di Paradiso, ma dal momento che si è morti, non sarebbe meglio cercare di arrivarci davvero in Paradiso, magari comportandosi bene quandi si era vivi?

sabato 14 ottobre 2017

Harry Potter Mania

Londra si prepara a rendere omaggio ai primi vent'anni del celeberrimo maghetto. Tanti gli eventi tra British Library e alberghi magici.

Un successo che non sopisce e un amore che non tramonta. Dopo vent'anni la saga di Harry Potter continua ad attirare proseliti e Londra si prepara ad ospitare i migliaia di estimatori da tutto il mondo. Era il 20 Ottobre del '97 quando "Harry Potter e la Pietra Filosofale" per la prima volta fece capolino sugli scaffali delle librerie inglesi, d'allora il mondo magico dell'allievo maghetto continua a conquistare generazioni di lettori. Per l'anniversario, la British Library of London aprirà i battenti ad una mostra celebrativa che approfondirà i miti e le leggende magiche che ruotano attorno alle storie del maghetto e dei suoi colleghi. La mostra avrà luogo dal 20 Ottobre 2017 al 28 Febbraio 2018.

"Harry Potter: A History of Magic" offrirà ai tanti estimatori documenti storici e bozzetti disegnati dalla stessa J. K. Rowling e tanto altro materiale, per far meglio conoscere le tradizioni di magia e folklore che sono al centro delle vicissitudini di Harry Potter. I visitatori avranno così la possibilità di ammirare rari libri, manoscritti e oggetti magici della collezione della British Library, e di assistere addirittura alla spiegazione su come "creare" una pietra filosofale e di perdersi con lo sguardo a cercare Sirio nel cielo notturno.

Un successo di pubblico annunciato che potrà proseguire nei Warner Bros Studios, a soli 20 minuti dalla capitale britannica. L'atmosfera già sa di magia. All'ingresso danno il benvenuto ai visitatori gli enormi scacchi che Harry e Ron fronteggiano nel primo film della saga. Poi c'è la Sala Grande: con i Tavoli delle Cose e il lungo tavolo dei professori davanti al quale troneggia Silente con il suo leggio.

Il percorso si articola poi attraverso varie sale che esplorano i lati pi ù interessanti della storia e i suoi retroscena. Particolarissime sono le lezioni di magia ed incantesimi, lezioni di volo su scope magiche ed l'imperdibile assaggio della BurroBirra! Ci si potrà poi intrufolare nello Studio del Professor Silente, e passeggiare per le vie acciottolate di Diagon Alley o fermarsi ad ammirare l'inquietante struttura della Banca Gringott e le buffe insegne dei vari negozietti fra cui spicca Olivender, il negozio di bacchette magiche.
Dopo questo "percorso formativo", i più temerari potranno testare le proprie abilità magiche in veri scontri contro i Mangiamorte, i più fedeli servitori di Colui Che Non Deve Essere Nominato.

Tante le iniziative e tanti i servizi che la città mette a disposizione per i tanti appassionati attesi. Tra cui la disponibilità per l'occasione con prezzi più contenuti, degli hotel limitrofi alle zone calde del "viaggio a tema".

Sono passati vent'anni dall'esordio, ed Harry Potter continua a fare magie. La prima fra tutte è quella di mantenere inalterato l'interesse dei suoi tanti estimatori.

Il cervello dei Neanderthal non era poi così "primitivo"

Si è sviluppato in modo simile a quello dell'uomo moderno, ma più lentamente.

Rivalutato il cervello dei Neanderthal. Il loro cranio e il loro cervello si sono sviluppati in modo molto simile a quanto avvenuto nell'uomo moderno, con un ritmo di crescita più lungo ed uniforme di quanto si ritenesse. Cade quindi un altro pregiudizio. E le capacità degli antichi cugini dell'uomo moderno ancora una volta vengono rivalutate.

La ricerca ha ricevuto il plauso della rivusta Science ed è stata condotta nel Dipartimento di Paleobiologia del Consiglio Superiore delle Ricerche Spagnole (CSIC), dal gruppo coordinato da Antonio Pasos. Gli studiosi si sono concentrati sullo scheletro di un bambino Neanderthal vissuto 49 mila anni fa, trovato in Spagna e ribattezzato El Sidron J1, dal nome del sito nel quale è stato trovato.

L'analisi dei denti, perfettamente conservati come parte dello scheletro, ha permesso di scoprire che al momento della morte il bambino aveva circa 7 anni, mentre quella delle ossa indica che alcune di esse non avevano raggiunto il grado di maturazione che nell'uomo moderno raggiungono nell'età compresa fra i 4 e i 6 anni.

I ricercatori hanno quindi preso in esame il cranio del bambino, scoprendo che le sue dimensioni corrispondevano a quelle di uno sviluppo del cervello pari all'87,5%, rispetto a quelle di un Neanderthal adulto. Invece, nell'uomo moderno, il cervello dei bambini della stessa età di El Sidron J1 è pari al 95% del cervello di un adulto.

La scoperta è sensazionale per il mondo scientifico e storico. Rivoluziona l'immagine dei Neanderthal che ci avevano presentato le ricerche condotte nel passato e che avevano portato a stabilire che il grande cervello di quell'antica popolazione fosse il risultato di un processo di crescita particolarmente rapido. L'analisi di El Sidron J1 smentisce decisamente questa ipotesi e nello stesso tempo ci permette di considerare in modo nuovo la nostra storia biologica.

Insomma, le due specie crescevano seguendo un ritmo diverso, ma entrambe regolavano il loro sviluppo in modo da adattarsi alle diverse caratteristiche dell'ambiente in cui vivevano.

Forse, gli studiosi del passato avevano tracciato un quadro dell'uomo di Neanderthal troppo frettolosamente, allora in ogni modo l'antica specie fa pervenire nuove tracce di sé, affinché li si possa comprenderli meglio.