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mercoledì 27 febbraio 2019
Boom di casi in cui l'emoji ti porta in tribunale
Nelle Corti Usa decine di sentenze in cui i pittogrammi digitali finiscono fra le prove o gli indizi portati in aula.
Nel secolo delle emoji, un emoji può essere considerato una prova o un indizio all'interno di procedimenti giudiziari. È quanto è stato sancito, per esempio, dai giudici di un tribunale della Baia di San Francisco, che sostengono che una serie di messaggi privati scambiati attraverso Instagram, spedito da un uomo a una donna, costituiscono appunto la prova del fatto che il primo fosse lo sfruttatore sessuale della seconda.
In uno di essi, dopo la frase "Team work make the dream work" (il lavoro di squadra consente di raggiungere ogni sogno), si vedono le emoji di una scarpa col tacco a spillo e un sacchetto di denaro.
Per l'accusa, il messaggio implica una relazione lavorativa fra i due mentre la difesa cercava di puntare sul romanticismo, sarebbe stato solo un modo per iniziare la relazione.
Questo è solo un esempio di come le emoji, le immaginette che spopolano in ogni comunicazione tramite i dispositivi digitali, stiano esplodendo all'interno delle cause legali.
Secondo uno studio condotto da Eric Goldman, professore di Legge all'Università di Santa Clara, fra il 2004 e il 2019 si è passati da cifre insignificanti ad oltre 50 giudizi l'anno.
La cifra inoltre sarebbe solo indicativa poiché considerati gli impedimenti pratico-butocratici, non può essere fatto un censimento completo. Altrimenti, la cifra andrebbe vista decisamente in rialzo.
Le emoji "finite" in tribunale poi, riguardano i casi più disparati, si parte dallo stalking sessuale, per trattare argomenti anche come furti ed omicidi.
Il più delle volte si osservano "emoji più frequentemente quando i casi coinvolgono le persone e il loro rapporto l'una con l'altra".
Da fenomeno sociale, le emoji almeno in questo caso, fungono d'ausilio per il sociale, aiutando a risolvere i casi giudiziari.
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