"Strozzati dai debiti e discriminati da tutti". I cinesi arrivati lì con la fine dell'apartheid, vengono cacciati dalla nuova classe media. Intanto Pechino continua a investire miliardi in miniere e infrastrutture.
La chiamano "Nazione Arcobaleno", ma ultimamente il Sudafrica è tutt'altro che accogliente o aperto alla diversità, almeno per quanto riguarda il suo rapporto con i cittadini cinesi. La comunità orientale è vittima di attacchi xenofobi e discriminazioni varie, tanto che molti cinesi si sono visti costretti a tornare in patria.
L'immagine del "Dragone conquistatore" capace di imporre i suoi prodotti sul mercato africano sembra ormai un ricordo lontano. A pochi giorni dalle celebrazioni del Capodanno cinese, gli oltre 500 negozi del centro commerciale "China Mall" di Am algam, a sud di Johannesburg, sono quasi vuote, così pure come il negozio di casalinghi "Forever Helen" di Zhu Jianying, arrivata nel Sudafrica nel 2000 e parte dei 500 mila cinesi presenti nello Stato.
Zhu Jianying cambiò in Helen il suo nome du battesimo quando approdò in Sudafrica e racconta che rispetto al 2015 vende meno della metà dei prodotti mentre sono aumentati la crisi e gli attacchi xenofobi, in modo così esponenziale da farle ritenere opportuno ritornare in Cina. E mentre Pechino continua ad investire miliardi di dollari in progetti di estrazione mineraria, infrastrutture e istruzione, i commercianti cinesi di prima generazione, arrivati subito dopo la fine dell'Apartheid hanno le valigie pronte per tornare a casa.
Le cause sono da ricondurre alla burocrazia più complessa, al protezionismo e la crescita esponenziale di imprenditori locali capaci di stabilire relazioni commerciali dirette con il "Gigante Asiatico". Fattori che costringono i cinesi a migrare nei Paesi africani limitrofi, sebbene molti di essi, prima di lasciare il Sudafrica devono saldare i debiti contratti per avviare le proprie attività.
Inoltre la crescita della classe media sudafricana ha messo in crisi il sistema di importazione di merci a basso costo da rivendere sul mercato locale. Inoltre la decisione del governo di inserire i cinesi nati prima del 1994 tra i fruitori degli incentivi della politica a supporto della classe nera (Bbe) non è bastato a generare uno sviluppo duraturo.
E pensare che il boom dei primi anni 2000 aveva portato alla costruzione di 18 enormi centri commerciali cinesi tra Johannesburg, Durban e Città del Capo, senza considerare i piccoli negozi sorti anche nelle township e nelle città di frontiera. Molte di queste strutture sono oggi chiese o semi abbandonati, poiche molti cinesi sono ritornati in patria e gli africani vanno più volentieri a spendere direttamente in Cina che non in questi negozi in Sudafrica.
La legge dell'economia si dimostra più forte e spietata di qualsiasi buon proposito di accoglienza o integrazione. Anche dove la discriminazione è stata di casa, purtroppo e si sarebbe dovuta evitare per sempre.
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