Politronica, una startup torinese, ha progettato Q3D, una lampada da tavolo capace di stampare oggetti tridimensionali. Distribuita nella catena danese Flying Tiger.
Q3D è una lampada da tavolo capace di stampare oggetti tridimensionali. È nata dalla collaborazione di una startup torinese, Politronica e la multinazionale danese Flying Tiger Copenhagen.
È un dispositivo hi-tech, ma dai costi contenuti che può essere distribuita nei punti vendita FlyingTiger anche in Italia. Il prezzo al pubblico è di 100 euro. Proprio per renderne possibile la grande distribuzione soprattutto per i giovani. Lo scorso Dicembre era già possibile preordinarla online e a metà Febbraio le prenotazioni erano già 250.
La stampante si basa sul processo di modellazione a deposizione fusa, gli estrusori non emettono una comune resina, bensì una tipologia di polimero capace di solidificarsi in presenza della luce bianca emessa da lampadine a led. Può stampare oggetti della dimensione massima di 80×80×120 millimetri. La lampadina a led è utilizzata da Q3D anche per illuminare, rendendo il prototipo una normale lampada da studio.
Politronica ha tratto spunto per la sua lampada dal lavoro del designer statunitense Alexander Colder, per la sua lampada Luxo L-1. Politronica è una società formata da 8 ricercatori che hanno all'attivo 3 brevetti e 4 riconoscimenti internazionali per la ricerca e sviluppo, raccogliendo 1,2 milioni di euro di finanziamenti per l'innovazione, e dal 2013 collabora con l'Istituto Italiano di Tecnologia.
Invece FlyingTiger si è occupata di rendere il progetto fruibile. Con loro, Q3D è venduta in un kit da montare, facilmente, a cui si potranno affrancare anche cartucce di ricarica e altri oggetti utili.
Ora all'inventiva di tanti studenti e giovani maker italiani arriva Q3D a gettar un po' di luce e rendere concreta ogni idea.
Notizie curiose, psicologia, cultura, arte ed attualità,articoli interessanti e mai pesanti.
giovedì 29 marzo 2018
mercoledì 28 marzo 2018
La Gibson, storica casa delle chitarre del rock rischia la chiusura
La regina delle chitarre, fondata nel 1894 che con le sue corde ha dato il suono a Jimmy Page, B.B. King, Santana, Slash e tanti altri rischia la chiusura per bancarotta.
La crisi sta per abbattersi come una mannaia su un altro marchio storico La Gibson, tra i produttori di chitarre più famosi al mondo, è sommersa dai debiti e rischia la bancarotta.
Il comunicato è stato emanato da Businesswire sull'analisi dell'accreditata Nashville Post, la Gazzetta del Tennessee, sede del produttore e per questo uno dei luoghi di culto per gli amanti delle sei corde.
Eppure queste chitarre sono state imbracciate e d'ispirazione per le leggende della musica rock, passando da Led Zeppelin, Santana e B.B. King fino ad arrivare ai Gun's' Roses, AC/DC e Foo Fighters.
Secondo il Nashville Post, la situazione della Gibson non è poi così rosea. Nonostante l'azienda fatturi più di un miliardo di dollari l'anno e ha appena un pagamento di 16,6 milioni di dollari ai possessori delle sue obbligazioni, entro il 23 Luglio deve versare un debito di 375 milioni di dollari. Inoltre se non dovesse rispettare tale data ci sarebe un ulteriore aggravio di 145 milioni.
Una brutta tegola per la casa fondata nel 1894 e che negli anni ha acquisito oltre cento marchi ben noti, tra cui Epiphona, Dobro, Valley Arts, Kramer, Steinbery e Maestro.
Le sue chitarre più famose sono: Les Paul (dal 1952), Es-335 (dal 1958) e SG "diavoletto" (nata nel 1961), tuttora in produzione. Mentre le altre, quelle d'annata sono diventate preziosi oggetti di collezioni, anche perché il legno di cui sono costituite nel tempo, ha subito una maggiore stagionatura che ne determina maggiori qualità sonore.
Negli anni non sono mancati nemmeno i tentativi di imitazione o modelli derivati prodotti da altri marchi, ispirati dalle versioni originali.
Il tempo passa e pure le mode, ma alcuni mostri sacri come può essere una chitarra Gibson rimangono. Peccato che oggi tutto si debba piegare alle spietate regole del mercato.
La crisi sta per abbattersi come una mannaia su un altro marchio storico La Gibson, tra i produttori di chitarre più famosi al mondo, è sommersa dai debiti e rischia la bancarotta.
Il comunicato è stato emanato da Businesswire sull'analisi dell'accreditata Nashville Post, la Gazzetta del Tennessee, sede del produttore e per questo uno dei luoghi di culto per gli amanti delle sei corde.
Eppure queste chitarre sono state imbracciate e d'ispirazione per le leggende della musica rock, passando da Led Zeppelin, Santana e B.B. King fino ad arrivare ai Gun's' Roses, AC/DC e Foo Fighters.
Secondo il Nashville Post, la situazione della Gibson non è poi così rosea. Nonostante l'azienda fatturi più di un miliardo di dollari l'anno e ha appena un pagamento di 16,6 milioni di dollari ai possessori delle sue obbligazioni, entro il 23 Luglio deve versare un debito di 375 milioni di dollari. Inoltre se non dovesse rispettare tale data ci sarebe un ulteriore aggravio di 145 milioni.
Una brutta tegola per la casa fondata nel 1894 e che negli anni ha acquisito oltre cento marchi ben noti, tra cui Epiphona, Dobro, Valley Arts, Kramer, Steinbery e Maestro.
Le sue chitarre più famose sono: Les Paul (dal 1952), Es-335 (dal 1958) e SG "diavoletto" (nata nel 1961), tuttora in produzione. Mentre le altre, quelle d'annata sono diventate preziosi oggetti di collezioni, anche perché il legno di cui sono costituite nel tempo, ha subito una maggiore stagionatura che ne determina maggiori qualità sonore.
Negli anni non sono mancati nemmeno i tentativi di imitazione o modelli derivati prodotti da altri marchi, ispirati dalle versioni originali.
Il tempo passa e pure le mode, ma alcuni mostri sacri come può essere una chitarra Gibson rimangono. Peccato che oggi tutto si debba piegare alle spietate regole del mercato.
La Transumanza candidata a patrimonio dell'umanità
La richiesta di candidare la Transumanza a patrimonio culturale dell'umanità Unesco è stata presentata ufficialmente a Parigi dall' Italia.
La Transumanza (dei capi di bestiame) da un luogo ad un altro, magari in autunno per trovare posti più adatti a "svernare", è un rito affascinante quanto antico. Ne fa un quadro perfetto il poeta Gabriele D'Annunzio, che nella poesia "Pastori" descrive proprio questa tradizione della sua terra natia l'Abruzzo.
Sì, perché l'Abbruzzo già dall'antichità, grazie alla sua conformazione geografica è proprio la terra madre dei grandi allevamenti, e poi a Settembre diviene scenario di questo atavico rito. Nella poesia, l'arrivo dell'autunno riporta alla memoria del poeta le immagini della Transumanza, ossia quella migrazione stagionale dei pastori che conducono le greggi dai pascoli montani verso la pianura. Nella realtà è proprio così, ci sono pastori che accompagnano a piedi, poggiandosi di tanto in tanto sui bastoni, le mandrie nel loro cammino, sono ore, a volte giorni di cammino cadenzato da brevi pause per permettere agli animali di riposarsi, bere e foraggiarsi. Così camminando per sentieri o tratturi, si attraversa a piedi gran parte della regione.
Questo meraviglioso rito è stato presentato ufficialmente a Parigi per diventare patrimonio culturale immateriale dell'umanità Unesco. L'Italia è il Paese capofila, ma hanno fatto richiesta anche Grecia e Austria; avviando un processo di valutazione internazionale che porterà alla decisione, da parte del Comitato di Governo Unesco, nel Novembre 2019.
Sarebbe una bella "tappa" da conquistare per la migrazione stagionale di greggi, mandrie e pastori che insieme a cani e cavalli si spostano in cerca di differenti zone climatiche percorrendo le vecchie vie semi-naturali battute anticamente dagli avi. La pratica tradizionale che è ancora viva nel Centro e Sud Italia, partendo da Amatrice e Ceccano nel Lazio ad Anversa degli Abbruzzi e Pescocostanzo in Abbruzzo, da Frosolone in Molise al Gargano in Puglia. Una pratica tradizionale fondata sul rapporto stretto tra umano e natura che consente ancora un'economia sostenibile.
Il mondo, l'Italia hanno tante piccole meraviglie tutte meritevoli di diventare patrimonio immateriale dell'umanità; ma la Transumanza arriva da lontano. Ci parla di vecchi riti e antenati che a piccoli passi ci fanno conoscere quanto festoso e autentico sia il percorso uomo-natura.
La Transumanza (dei capi di bestiame) da un luogo ad un altro, magari in autunno per trovare posti più adatti a "svernare", è un rito affascinante quanto antico. Ne fa un quadro perfetto il poeta Gabriele D'Annunzio, che nella poesia "Pastori" descrive proprio questa tradizione della sua terra natia l'Abruzzo.
Sì, perché l'Abbruzzo già dall'antichità, grazie alla sua conformazione geografica è proprio la terra madre dei grandi allevamenti, e poi a Settembre diviene scenario di questo atavico rito. Nella poesia, l'arrivo dell'autunno riporta alla memoria del poeta le immagini della Transumanza, ossia quella migrazione stagionale dei pastori che conducono le greggi dai pascoli montani verso la pianura. Nella realtà è proprio così, ci sono pastori che accompagnano a piedi, poggiandosi di tanto in tanto sui bastoni, le mandrie nel loro cammino, sono ore, a volte giorni di cammino cadenzato da brevi pause per permettere agli animali di riposarsi, bere e foraggiarsi. Così camminando per sentieri o tratturi, si attraversa a piedi gran parte della regione.
Questo meraviglioso rito è stato presentato ufficialmente a Parigi per diventare patrimonio culturale immateriale dell'umanità Unesco. L'Italia è il Paese capofila, ma hanno fatto richiesta anche Grecia e Austria; avviando un processo di valutazione internazionale che porterà alla decisione, da parte del Comitato di Governo Unesco, nel Novembre 2019.
Sarebbe una bella "tappa" da conquistare per la migrazione stagionale di greggi, mandrie e pastori che insieme a cani e cavalli si spostano in cerca di differenti zone climatiche percorrendo le vecchie vie semi-naturali battute anticamente dagli avi. La pratica tradizionale che è ancora viva nel Centro e Sud Italia, partendo da Amatrice e Ceccano nel Lazio ad Anversa degli Abbruzzi e Pescocostanzo in Abbruzzo, da Frosolone in Molise al Gargano in Puglia. Una pratica tradizionale fondata sul rapporto stretto tra umano e natura che consente ancora un'economia sostenibile.
Il mondo, l'Italia hanno tante piccole meraviglie tutte meritevoli di diventare patrimonio immateriale dell'umanità; ma la Transumanza arriva da lontano. Ci parla di vecchi riti e antenati che a piccoli passi ci fanno conoscere quanto festoso e autentico sia il percorso uomo-natura.
martedì 27 marzo 2018
Cameriere licenziato perché scortese, si difende: "Non sono sgarbato, sono francese"
In Canada. Il cameriere Guillaume Rey è stato allontanato dal ristorante dove lavorava perché accusato di essere sgarbato nei confronti dei clienti. Fa ricorso al Tribunale di Vancouver giustificandosi: "I francesi sono più diretti ed espressivi".
Il cliente non ha sempre ragione. E soprattutto se chi lo serve è di nazionalità francese. Almeno questa è la giustificazione (in sua difesa) usata da Guillaume Rey, cameriere francese, che ha citato in giudizio i suoi ex datori di lavoro per "discriminazione" verso la sua "cultura". Infatti, il rivolgersi ai clienti in maniera poco carina, non sarebbe questione di educazione, ma di cultura nazionale:" i francesi sono più diretti ed espressivi".
Così il signor Rey nella denuncia presentata al Tribunale dei Diritti Umani della British Columbia contro il ristorante gestito da Cara Operations, ha sostenuto di essere licenziato per la sua personalità "diretta, onesta e professionale" acquisita durante la sua formazione nel settore alberghiero francese. Mentre i suoi ex datori di lavoro gli hanno rimproverato di aver violato i codici di condotta e di aver mostrato un atteggiamento "sgarbato e aggressivo", nonostante gli innumerevoli richiami scritti e a voce. Per il giudice Deiyn Cousineau, Rey "dovrà spiegare" questa differenza culturale, affinché la denuncia possa approdare in Tribunale. Il cameriere ha così la possibilità di chiarire "che cosa è questo retaggio francese che porterebbe ad un comportamento che la gente interpreta erroneamente come una violazione degli standard di comportamento accettabile sul luogo di lavoro".
Stando alle argomentazioni del signor Rey, da oggi in poi se qualcuno si dovesse rivolgere a noi in modo scortese, lo dovremmo perdonare poiché non è "sgarbato", ma francese!
Il cliente non ha sempre ragione. E soprattutto se chi lo serve è di nazionalità francese. Almeno questa è la giustificazione (in sua difesa) usata da Guillaume Rey, cameriere francese, che ha citato in giudizio i suoi ex datori di lavoro per "discriminazione" verso la sua "cultura". Infatti, il rivolgersi ai clienti in maniera poco carina, non sarebbe questione di educazione, ma di cultura nazionale:" i francesi sono più diretti ed espressivi".
Così il signor Rey nella denuncia presentata al Tribunale dei Diritti Umani della British Columbia contro il ristorante gestito da Cara Operations, ha sostenuto di essere licenziato per la sua personalità "diretta, onesta e professionale" acquisita durante la sua formazione nel settore alberghiero francese. Mentre i suoi ex datori di lavoro gli hanno rimproverato di aver violato i codici di condotta e di aver mostrato un atteggiamento "sgarbato e aggressivo", nonostante gli innumerevoli richiami scritti e a voce. Per il giudice Deiyn Cousineau, Rey "dovrà spiegare" questa differenza culturale, affinché la denuncia possa approdare in Tribunale. Il cameriere ha così la possibilità di chiarire "che cosa è questo retaggio francese che porterebbe ad un comportamento che la gente interpreta erroneamente come una violazione degli standard di comportamento accettabile sul luogo di lavoro".
Stando alle argomentazioni del signor Rey, da oggi in poi se qualcuno si dovesse rivolgere a noi in modo scortese, lo dovremmo perdonare poiché non è "sgarbato", ma francese!
Sperimentato il "salario giovanile" per andarsene presto di casa
In Svizzera il progetto di uno psicologo e terapeuta familiare diventa un marchio brevettato. La "paghetta" utile per responsabilizzare i ragazzi.
A Lugano la semplice sperimentazione della classica "paghetta" diventa un brevetto sociale effettivo. Si chiama "salario giovanile" e si traduce nella somma tra gli 80 e i 160 euro versati ai figli dai 12 anni affinché si responsabilizzino ed imparino fin da piccoli il valore dei soldi e come gestire le proprie spese. Riscontrate anche la diminuzione delle tensioni familiari.
La soluzione della "paghetta" corrisposta in modo rigoroso dai genitori ai figli è stata proposta e brevettata da UrS Abt, psicologo e terapeuta familiare che ne ha fatto un vero e proprio marchio depositato. Il progetto è stato poi approvato dai servizi di prevenzione dell'indebitamento del Comune di Zurigo, a cui ora collabora pure attivamente e a cui si è unito anche la fondazione Pro Juventate.
Praticamente il "salario giovanile" consiste nel versare ai figli dai 100 ai 200 franchi mensili, che in euro corrispondono a circa 80-160 euro, a condizione che si assumano buona parte delle loro spese, esclusi vitto e alloggio. Secondo l'Università di Lucerna il progetto sta funzionando. Da uno studio effettuato con un sondaggio online su 944 genitori, la maggior parte ha ammesso che "i figli imparano a gestire i soldi che ricevono, arrivando a comprare in modo autonomo alcuni oggetti essenziali. Soprattutto dimostrano di aver compiuto passi avanti in autonomia e senso di responsabilità, in tutto ciò che ha a che fare con il denaro".
Inoltre, è stato rilevato che il "salario giovanile" aiuta a ridurre nelle famiglie le tensioni legate ai soldi.
Sicuramente il sistema è ancora da definire meglio. Bisognerà ovviare a diversi problemi, tra cui quello di non dare una paga troppo esosa ai figli e una volta dato il salarietto non abbandonarli alle proprie scelte, ma mostrarsi comunque presenti.
Particolare quest'iniziativa proposta nel "Paese del culto del denaro per eccellenza", bisognerà vedere a lungo termine gli effetti provocati e considerare che ogni Paese e famiglia ha una realtà a sé. Per esempio, in Paesi dove la crisi è stata più forte, i giovani hanno dovuto comprendere autonomamente, sulle loro spalle, il significato del denaro, e che può comportare sacrifici e rinunce.
A Lugano la semplice sperimentazione della classica "paghetta" diventa un brevetto sociale effettivo. Si chiama "salario giovanile" e si traduce nella somma tra gli 80 e i 160 euro versati ai figli dai 12 anni affinché si responsabilizzino ed imparino fin da piccoli il valore dei soldi e come gestire le proprie spese. Riscontrate anche la diminuzione delle tensioni familiari.
La soluzione della "paghetta" corrisposta in modo rigoroso dai genitori ai figli è stata proposta e brevettata da UrS Abt, psicologo e terapeuta familiare che ne ha fatto un vero e proprio marchio depositato. Il progetto è stato poi approvato dai servizi di prevenzione dell'indebitamento del Comune di Zurigo, a cui ora collabora pure attivamente e a cui si è unito anche la fondazione Pro Juventate.
Praticamente il "salario giovanile" consiste nel versare ai figli dai 100 ai 200 franchi mensili, che in euro corrispondono a circa 80-160 euro, a condizione che si assumano buona parte delle loro spese, esclusi vitto e alloggio. Secondo l'Università di Lucerna il progetto sta funzionando. Da uno studio effettuato con un sondaggio online su 944 genitori, la maggior parte ha ammesso che "i figli imparano a gestire i soldi che ricevono, arrivando a comprare in modo autonomo alcuni oggetti essenziali. Soprattutto dimostrano di aver compiuto passi avanti in autonomia e senso di responsabilità, in tutto ciò che ha a che fare con il denaro".
Inoltre, è stato rilevato che il "salario giovanile" aiuta a ridurre nelle famiglie le tensioni legate ai soldi.
Sicuramente il sistema è ancora da definire meglio. Bisognerà ovviare a diversi problemi, tra cui quello di non dare una paga troppo esosa ai figli e una volta dato il salarietto non abbandonarli alle proprie scelte, ma mostrarsi comunque presenti.
Particolare quest'iniziativa proposta nel "Paese del culto del denaro per eccellenza", bisognerà vedere a lungo termine gli effetti provocati e considerare che ogni Paese e famiglia ha una realtà a sé. Per esempio, in Paesi dove la crisi è stata più forte, i giovani hanno dovuto comprendere autonomamente, sulle loro spalle, il significato del denaro, e che può comportare sacrifici e rinunce.
lunedì 26 marzo 2018
Dall'altare al Tribunale
Sposi fuggono senza pagare il pranzo nuziale. A Settimo Torinese.
Che simpatica trovata quella di due attempati sposini Filippo Infisino 62 anni e Vittoria Mosca 56 anni, entrambi di Settimo Torinese che hanno onorato le loro nozze, con un, seppur modesto, banchetto nuziale con amici e parenti senza pagare il conto alla fine.
La vicenda risale al 4 Maggio 2013, giorno del loro sì, in una trattoria di Inverso, frazione di Vico Canavese in Val Chiusella. Oggi, l'ennesima udienza del processo che si protrae da ormai 5 anni.
Doveva essere un pranzo low-cost e così in effetti è stato soprattutto per gli sposi che si sono dileguati prima di saldare il conto, poco più di mille euro. Infatti, i due avevano organizzato un "ricevimento" modesto, un pranzo nuziale a cui erano stati invitati circa una quarantina di invitati per un menù di 25 euro a testa.
Tutto sembrava essere andato per il meglio, fino a quando gli sposi si sono rifiutati di pagare il conto. La giustificazione è stata alquanto originale, lo sposo ha lamentato lo stato non proprio perfetto della torta nuziale.
Il matrimonio dovrebbe essere un giorno di festa e di condivisione per tutti anche per i ristoratori, che hanno lavorato.
Ammesso che questa torta non fosse stata poi così buona, non potevano pensarci prima di mangiarla?
Che simpatica trovata quella di due attempati sposini Filippo Infisino 62 anni e Vittoria Mosca 56 anni, entrambi di Settimo Torinese che hanno onorato le loro nozze, con un, seppur modesto, banchetto nuziale con amici e parenti senza pagare il conto alla fine.
La vicenda risale al 4 Maggio 2013, giorno del loro sì, in una trattoria di Inverso, frazione di Vico Canavese in Val Chiusella. Oggi, l'ennesima udienza del processo che si protrae da ormai 5 anni.
Doveva essere un pranzo low-cost e così in effetti è stato soprattutto per gli sposi che si sono dileguati prima di saldare il conto, poco più di mille euro. Infatti, i due avevano organizzato un "ricevimento" modesto, un pranzo nuziale a cui erano stati invitati circa una quarantina di invitati per un menù di 25 euro a testa.
Tutto sembrava essere andato per il meglio, fino a quando gli sposi si sono rifiutati di pagare il conto. La giustificazione è stata alquanto originale, lo sposo ha lamentato lo stato non proprio perfetto della torta nuziale.
Il matrimonio dovrebbe essere un giorno di festa e di condivisione per tutti anche per i ristoratori, che hanno lavorato.
Ammesso che questa torta non fosse stata poi così buona, non potevano pensarci prima di mangiarla?
Funghi usati contro l'inquinamento del terreno
Brevettata in Piemonte una proteina per pulire il terreno dall'inquinamento. In particolare le colture si concentrano su Penicillium, uno dei funghi che produce penicillina, in diversi terreni colturali in capsula; e l'Aspergillius in piastra, già conosciuto come fornitore dell'acido citrico presente in bevande gassate e aspirina.
I funghi! Tanto semplici quanto indispensabili. A confermarlo, ora c'è anche un esperimento tutto torinese. Infatti nell'Orto Botanico dell'Università, con il sostegno della Fondazione Crt c'è una delle più grandi collezioni di funghi d'Italia.
I funghi! Tanto semplici quanto indispensabili. A confermarlo, ora c'è anche un esperimento tutto torinese. Infatti nell'Orto Botanico dell'Università, con il sostegno della Fondazione Crt c'è una delle più grandi collezioni di funghi d'Italia.
Dove la cosa più importante è che in questa Micoteca si crescono funghi utili per combattere l'inquinamento del terreno.
Lo spiega una delle coordinatrici del progetto, la professoressa Giovanna Cristina Varese.
Nel particolarissimo "caveau" (assicurato per 12 milioni di euro) a cui si può accedere solo attraverso codici segreti che aprono le porte, ci sono oltre 6 mila funghi, conservati in boccette di vetro dopo essere stati liofilizzati, congelati o trapiantati a -150 gradi.
Parte della "collezione" risale agli anni '60 quando nella capitale piemontese era stato fondato il primo istituto in Italia per lo studio della micologia. Qui i funghi arrivano da tutto il mondo e si scopre che hanno un enorme valore economico. E che i funghi sono dappertutto, nell'aria, nell'acqua e nel suolo.
Si possono trovare in molti cibi, pane, formaggi, vino e birra, e hanno applicazioni in campo medico o in campo ambientale, come per il riciclo di rifiuti.
Ma il pezzo forte del caveau sono i funghi che mangiano gli inquinanti. Uno studio sperimentale messo in pratica a Fidenza, nel parmense, si propone di bonificare dei terreni avvelenati dall'industria pesante e dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale, proprio attraverso l'uso di queste muffe.
Il progetto è stato finanziato dall'Unione Europea con quasi 1 milione di euro che dovrebbero bastare per la sperimentazione di un anno.
La bonifica iniziale, senza ricorrere ai microrganismi, doveva rendere il terreno, di nuovo utilizzabile almeno a fini industriali. Invece, usando i funghi e i batteri sarà possibile anche coltivare pomodori.
Quindi la sperimentazione ha dato i suoi primi frutti, nel senso che questi funghi si sono rivelati davvero ottimi per combattere l'inquinamento dei suoli.
Parte della "collezione" risale agli anni '60 quando nella capitale piemontese era stato fondato il primo istituto in Italia per lo studio della micologia. Qui i funghi arrivano da tutto il mondo e si scopre che hanno un enorme valore economico. E che i funghi sono dappertutto, nell'aria, nell'acqua e nel suolo.
Si possono trovare in molti cibi, pane, formaggi, vino e birra, e hanno applicazioni in campo medico o in campo ambientale, come per il riciclo di rifiuti.
Ma il pezzo forte del caveau sono i funghi che mangiano gli inquinanti. Uno studio sperimentale messo in pratica a Fidenza, nel parmense, si propone di bonificare dei terreni avvelenati dall'industria pesante e dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale, proprio attraverso l'uso di queste muffe.
Il progetto è stato finanziato dall'Unione Europea con quasi 1 milione di euro che dovrebbero bastare per la sperimentazione di un anno.
La bonifica iniziale, senza ricorrere ai microrganismi, doveva rendere il terreno, di nuovo utilizzabile almeno a fini industriali. Invece, usando i funghi e i batteri sarà possibile anche coltivare pomodori.
Quindi la sperimentazione ha dato i suoi primi frutti, nel senso che questi funghi si sono rivelati davvero ottimi per combattere l'inquinamento dei suoli.
venerdì 23 marzo 2018
Affronta il bullo che lo tormentava nella scuola dov'è soprintendente
In una scuola del Texas, Stati Uniti. Questa è la storia di Greg Barrett che ha affrontato il suo vecchio bullo diventato un dirigente scolastico in quella stessa scuola.
Il bullismo è un fenomeno orrendo, in ascesa, esistente da sempre. Ora, sull' onda delle tristi vicende che la cronaca riporta minutamente, se ne parla di più. Anche i più giovani e soprattutto le vittime di soprusi, di ridicolizzazioni o di atti di violenza, le vittime di bullismo, appunto, trovano finalmente e con più frequenza, il coraggio di denunciare. Giustamente!
Così ha fatto Greg Barrett che dopo oltre 30 anni ha avuto il coraggio di affrontare il suo vecchio bullo. Alcuni giorni fa, è intervenuto al consiglio scolastico di distretto della Katy Independent School, in Texas. Ha raccontato la sua storia e ha ricordato come i suoi anni a scuola furono terribili a causa del suo nome legale: Greg Gay (ora l'uomo usa il cognome della madre). Insegnanti e compagni lo bullizzavano.
L'uomo ha spiegato cosa significhi essere vittima di bullismo riportando un episodio che in particolare ha segnato la sua permanenza nell'istituto.
Un giorno a pranzo i compagni lo assalirono e gli ficcarono la testa in un orinatoio. Insegnanti e preside non mossero un dito. Continua: "Sono andato a casa, ho estratto la 45 di mio padre e me la sono messa in bocca. Perché nessuno all'interno della scuola mi voleva aiutare". Poi, Barrett voltandosi verso il soprintendente scolastico Lance Hindt, ha proseguito: "Te lo ricordi Lance? Perché sei tu quello che mi ha ficcato la testa nell'orinatoio".
Hindt ha rigettato ogni accusa e tramite un comunicato stampa afferma di essere andato nella stessa scuola media di Garrett ma non alla stessa scuola superiore e che quindi non c'entra con quella storia.
Garrett non voleva mettere in crisi la "carriera" di Hindt, ma voleva soltanto delle scuse pubbliche o smascherare un bullo qualsiasi. Questa vicenda insegna che presto o tardi che sia, l'importante è denunciare. Magari prima ha ancora più efficacia.
Il bullismo è un fenomeno orrendo, in ascesa, esistente da sempre. Ora, sull' onda delle tristi vicende che la cronaca riporta minutamente, se ne parla di più. Anche i più giovani e soprattutto le vittime di soprusi, di ridicolizzazioni o di atti di violenza, le vittime di bullismo, appunto, trovano finalmente e con più frequenza, il coraggio di denunciare. Giustamente!
Così ha fatto Greg Barrett che dopo oltre 30 anni ha avuto il coraggio di affrontare il suo vecchio bullo. Alcuni giorni fa, è intervenuto al consiglio scolastico di distretto della Katy Independent School, in Texas. Ha raccontato la sua storia e ha ricordato come i suoi anni a scuola furono terribili a causa del suo nome legale: Greg Gay (ora l'uomo usa il cognome della madre). Insegnanti e compagni lo bullizzavano.
L'uomo ha spiegato cosa significhi essere vittima di bullismo riportando un episodio che in particolare ha segnato la sua permanenza nell'istituto.
Un giorno a pranzo i compagni lo assalirono e gli ficcarono la testa in un orinatoio. Insegnanti e preside non mossero un dito. Continua: "Sono andato a casa, ho estratto la 45 di mio padre e me la sono messa in bocca. Perché nessuno all'interno della scuola mi voleva aiutare". Poi, Barrett voltandosi verso il soprintendente scolastico Lance Hindt, ha proseguito: "Te lo ricordi Lance? Perché sei tu quello che mi ha ficcato la testa nell'orinatoio".
Hindt ha rigettato ogni accusa e tramite un comunicato stampa afferma di essere andato nella stessa scuola media di Garrett ma non alla stessa scuola superiore e che quindi non c'entra con quella storia.
Garrett non voleva mettere in crisi la "carriera" di Hindt, ma voleva soltanto delle scuse pubbliche o smascherare un bullo qualsiasi. Questa vicenda insegna che presto o tardi che sia, l'importante è denunciare. Magari prima ha ancora più efficacia.
giovedì 22 marzo 2018
In Italia si legge sempre di meno, ma per mancanza di tempo
La stima è del 30% dei casi. Lo rivela un'indagine Istat. Almeno 22 milioni non hanno letto un libro in un anno.
Nel Belpaese aumentano i non lettori e il 30% non legge per mancanza di tempo. Questa è la motivazione principale usata dal 31,8% degli uomini e dal 27,7% delle donne.
Questo sono i dati Istat rivelati a Tempo di Libri, nel secondo giorno della Fiera Internazionale dell'Editoria di Milano a Fieramilanocity.
L'indagine parla di un 23,7% che non legge perché preferisce altri svaghi rispetto ai libri, il 15,9% ha motivi di salute che lo allontanano dalla lettura, solitamente la scusa più usata è quella non ci vedo bene, "età anziana", poi c'è il 9,1% che è troppo stanco dopo aver svolto altre attività. C'è anche un 8,5% che non legge per motivi economici, "i libri costano troppo" ed un 6,5% di non lettori che preferisce la televisione, radio, pc o il cinema.
In Italia i non lettori sono circa il 39% e questa scarsa attitudine è legata soprattutto al livello di istruzione: le persone con la licenza elementare leggono di meno, a differenza dei laureati dove a non leggere sono il 12,3% degli uomini e il 9,1% delle donne.
Riccardo Franco-Levi, presidente dell'Associazione Italiana Editori commenta questi risultati così: "Cade anche l'affermazione che una delle motivazioni della non lettura sia l'elevato prezzo dei libri, dato che solo l'8% risponde in questo modo, o che sia la concorrenza di televisione, radio, nuove tecnologie che vengono indicate solo dal 6% dei non lettori come ragione del loro disinteresse verso i libri. La mancanza di tempo è sempre stata la motivazione principe che i non lettori portano per giustificare il loro rapporto con il libro di lettura. È certamente vero, soprattutto all'interno degli odierni ritmi di lavoro, spostamento, occupazione del tempo. In realtà credo che dietra questa affermazione si nascondono delle dinamiche più complesse". Sono convinto che un impegno più continuativo di quanto non si sia fatto negli ultimi anni, risorse maggiori investite con infrastrutture per la lettura o in compagnia capaci di far comprendere l'importanza che questa attività ha per l'individuo o per il sistema Paese possono migliorare in modo significativo questi dati".
Una volta c'era il piacere di leggere. Il piacere di trovare un momento tutto per sé in cui concedersi qualche episodio di evasione e di piacere dal tran tran quotidiano. C'era il piacere di andare in biblioteca come nelle sale studio o lettura. Invece oggi si preferisce più trovare delle scuse che provare a far un'attività "che può solo rendere più liberi da ogni situazione".
Nel Belpaese aumentano i non lettori e il 30% non legge per mancanza di tempo. Questa è la motivazione principale usata dal 31,8% degli uomini e dal 27,7% delle donne.
Questo sono i dati Istat rivelati a Tempo di Libri, nel secondo giorno della Fiera Internazionale dell'Editoria di Milano a Fieramilanocity.
L'indagine parla di un 23,7% che non legge perché preferisce altri svaghi rispetto ai libri, il 15,9% ha motivi di salute che lo allontanano dalla lettura, solitamente la scusa più usata è quella non ci vedo bene, "età anziana", poi c'è il 9,1% che è troppo stanco dopo aver svolto altre attività. C'è anche un 8,5% che non legge per motivi economici, "i libri costano troppo" ed un 6,5% di non lettori che preferisce la televisione, radio, pc o il cinema.
In Italia i non lettori sono circa il 39% e questa scarsa attitudine è legata soprattutto al livello di istruzione: le persone con la licenza elementare leggono di meno, a differenza dei laureati dove a non leggere sono il 12,3% degli uomini e il 9,1% delle donne.
Riccardo Franco-Levi, presidente dell'Associazione Italiana Editori commenta questi risultati così: "Cade anche l'affermazione che una delle motivazioni della non lettura sia l'elevato prezzo dei libri, dato che solo l'8% risponde in questo modo, o che sia la concorrenza di televisione, radio, nuove tecnologie che vengono indicate solo dal 6% dei non lettori come ragione del loro disinteresse verso i libri. La mancanza di tempo è sempre stata la motivazione principe che i non lettori portano per giustificare il loro rapporto con il libro di lettura. È certamente vero, soprattutto all'interno degli odierni ritmi di lavoro, spostamento, occupazione del tempo. In realtà credo che dietra questa affermazione si nascondono delle dinamiche più complesse". Sono convinto che un impegno più continuativo di quanto non si sia fatto negli ultimi anni, risorse maggiori investite con infrastrutture per la lettura o in compagnia capaci di far comprendere l'importanza che questa attività ha per l'individuo o per il sistema Paese possono migliorare in modo significativo questi dati".
Una volta c'era il piacere di leggere. Il piacere di trovare un momento tutto per sé in cui concedersi qualche episodio di evasione e di piacere dal tran tran quotidiano. C'era il piacere di andare in biblioteca come nelle sale studio o lettura. Invece oggi si preferisce più trovare delle scuse che provare a far un'attività "che può solo rendere più liberi da ogni situazione".
"Lavori per quattro giorni, vieni pagato per cinque"
In Nuova Zelanda una società sperimenta la formula della "settimana corta", per coinvolgere maggiormente i lavoratori.
Una mente libera lavora meglio, questo è cosa nota. Sarà per questo che la Perpetual Guardiam , una società che gestisce attività fiduciarie sperimenterà la cosidetta "settimana corta", in modo che i dipendenti avendo più tempo libero, poi a lavoro saranno più concentrati sulle proprie mansioni in ufficio.
L'iniziativa "lavori quattro giorni, vieni pagato cinque" era già stata sperimentata in Germania e ora viene adottata appunto da questa società neozelandese che attiverà questa formula con 200 suoi dipendenti. L'obiettivo come spiega Andrew Barnes, fondatore dell'azienda: "L'obiettivo è quello di dare ai propri collaboratori un giorno in più ogni settimana da dedicare alla propria vita privata, magari per occuparsi della famiglia. I dipendenti a volte strappano un po' di tempo dalle ore in ufficio per svolgere incombenze familiari, alcune attività personali e familiari vengono condotte durante l'orario di lavoro. E allora se si da alle persone la possibilità di fare le cose perbene al di fuori dell'ufficio avendo più tempo per farlo, si ottiene anche un miglior rendimento sul lavoro".
Dopo qualche perplessità iniziale, molto favorevoli si sono riconosciuti anche i dipendenti. Sono soprattutto le madri ad esserne maggiormente entusiaste, sia per il maggior tempo a disposizione che per lo stipendio che rimane inalterato.
Attualmente l'iniziativa sarà presentata in via sperimentale ma se dovesse funzionare, diverrà definitivo a partire dal 1 Luglio di quest'anno. Un progetto interessante i cui sviluppi verranno seguiti sotto l'occhio vigile dell'Università di Auckland, per magari poi attuarla anche con altre società.
Ma tutto fa ben sperare perché le sperimentazioni della settimana corta già collaudati in Germania dall'IGMetal, e la forma un po' più particolare della Svezia, dove è previsto una riduzione dell'orario giornaliero di lavoro, hanno prodotto ottimi risultati.
Anche a lavoro, non è la quantità (delle ore) ad aver importanza, ma la qualità. Meglio "poco" e fatto bene, con ritrovata passione grazie ad una mente libera.
Una mente libera lavora meglio, questo è cosa nota. Sarà per questo che la Perpetual Guardiam , una società che gestisce attività fiduciarie sperimenterà la cosidetta "settimana corta", in modo che i dipendenti avendo più tempo libero, poi a lavoro saranno più concentrati sulle proprie mansioni in ufficio.
L'iniziativa "lavori quattro giorni, vieni pagato cinque" era già stata sperimentata in Germania e ora viene adottata appunto da questa società neozelandese che attiverà questa formula con 200 suoi dipendenti. L'obiettivo come spiega Andrew Barnes, fondatore dell'azienda: "L'obiettivo è quello di dare ai propri collaboratori un giorno in più ogni settimana da dedicare alla propria vita privata, magari per occuparsi della famiglia. I dipendenti a volte strappano un po' di tempo dalle ore in ufficio per svolgere incombenze familiari, alcune attività personali e familiari vengono condotte durante l'orario di lavoro. E allora se si da alle persone la possibilità di fare le cose perbene al di fuori dell'ufficio avendo più tempo per farlo, si ottiene anche un miglior rendimento sul lavoro".
Dopo qualche perplessità iniziale, molto favorevoli si sono riconosciuti anche i dipendenti. Sono soprattutto le madri ad esserne maggiormente entusiaste, sia per il maggior tempo a disposizione che per lo stipendio che rimane inalterato.
Attualmente l'iniziativa sarà presentata in via sperimentale ma se dovesse funzionare, diverrà definitivo a partire dal 1 Luglio di quest'anno. Un progetto interessante i cui sviluppi verranno seguiti sotto l'occhio vigile dell'Università di Auckland, per magari poi attuarla anche con altre società.
Ma tutto fa ben sperare perché le sperimentazioni della settimana corta già collaudati in Germania dall'IGMetal, e la forma un po' più particolare della Svezia, dove è previsto una riduzione dell'orario giornaliero di lavoro, hanno prodotto ottimi risultati.
Anche a lavoro, non è la quantità (delle ore) ad aver importanza, ma la qualità. Meglio "poco" e fatto bene, con ritrovata passione grazie ad una mente libera.
mercoledì 21 marzo 2018
Tyson: un ippopotamo a sorpresa in Messico
In Messico è mistero per il ritrovamento in una palude di Las Chopas di un ippopotamo ribatezzato Tyson.
L'animale che non ti aspetti! Perché "passeggiando" per una zona paludosa come quella di Las Chopas, nel sud del Messico, qualunque animale selvatico ti aspetteresti di trovare fuorché un ippopotamo! Invece lì è stato avvistato Tyson, un esemplare maschio di ippopotamo di quasi tre anni.
Nessuno sa da dove sia arrivato, né come si sia trovato ed è diventato una vera attrazione. La prima volta è stato avvistato all'inzio di Gennaio nei pressi di una discarica. I residenti della città hanno imparato ad amare così tanto l'animale cge lo hanno soprannominato Tyson e vanno a portargli cibo e si fanno selfie con lui.
L'unica nota dolente è data dalle autorità del posto che temono per la naturale aggressività di questi animali esacerbata dal fatto che questi animali non sono nativi di queste zone e sul mistero della provenienza dell'ippopotamo e della sia storia.
Qualche malcontento precauzionale è arrivato all'ufficio messicano per la tutela ambientale che ha incaricato alcuni esperti di cercare di catturare e spostare l'ippopotamo di 1300 chili in un luogo più consono alla sua natura.
È vero, rimane un mistero su come Tyson sia arrivato in Messico, o di quale sia la sua provenienza, ma dato l'effetto che ha suscitato e il suo adattamento positivo alla zona, perché non lo lasciano lì? D'altronde quando arriva un regalo, mica ci si fa tanti problemi?
L'animale che non ti aspetti! Perché "passeggiando" per una zona paludosa come quella di Las Chopas, nel sud del Messico, qualunque animale selvatico ti aspetteresti di trovare fuorché un ippopotamo! Invece lì è stato avvistato Tyson, un esemplare maschio di ippopotamo di quasi tre anni.
Nessuno sa da dove sia arrivato, né come si sia trovato ed è diventato una vera attrazione. La prima volta è stato avvistato all'inzio di Gennaio nei pressi di una discarica. I residenti della città hanno imparato ad amare così tanto l'animale cge lo hanno soprannominato Tyson e vanno a portargli cibo e si fanno selfie con lui.
L'unica nota dolente è data dalle autorità del posto che temono per la naturale aggressività di questi animali esacerbata dal fatto che questi animali non sono nativi di queste zone e sul mistero della provenienza dell'ippopotamo e della sia storia.
Qualche malcontento precauzionale è arrivato all'ufficio messicano per la tutela ambientale che ha incaricato alcuni esperti di cercare di catturare e spostare l'ippopotamo di 1300 chili in un luogo più consono alla sua natura.
È vero, rimane un mistero su come Tyson sia arrivato in Messico, o di quale sia la sua provenienza, ma dato l'effetto che ha suscitato e il suo adattamento positivo alla zona, perché non lo lasciano lì? D'altronde quando arriva un regalo, mica ci si fa tanti problemi?
Capelli e barba cortissimi ma con il maxiciuffo: ecco i trend maschili
Il Cosmoprof di Bologna consacra le tendenze "barberie" 2018. Gli uomini devono avere la barba e i capelli cortissimi ma con il maxiciuffo.
Bye Bye hipstar o capelloni dalle lunghe zazzere scapigliate. La moda maschile impone capelli corti, preferibilmente cortissimi e sfumati sulle tempie a regola d'arte. Niente effetto punk, né uso del rasoio elettrico, il taglio va modellato a punta di forbice e pettine nelle migliori "barberie" riscoperte dal grande pubblico negli ultimi anni.
La testa è al limite dello stile marines, se non fosse per la presenza di un maxiciuffo di capelli (di massimo 3-4 centimetri di lunghezza) da pettinare di lato o tenere dritto.
Il "lui" moderno deve avere un "viso pulito" e un aspetto in ordine. Non solo perché ora piace così, ma anche perché i capelli da bravo ragazzo si abbinano alla pelle pulita da una rasatura perfetta oppure a una barba super lunga che per i più giovani può finire anche a punta, mentre per gli over 45 deve essere corta e ben curata. Il trend del momento accoglierebbe anche i baffi di ogni forgia, ma soprattutto lunghi e, anche questi, a punta.
I diktat 2018/2019 sono stati lanciati al Cosmoprof dove è in corso lo show "United Barber Show", evento seguitissimo legato al mondo della barberia che vede la presenza dei barbieri più rinomati al mondo come Robert Longerman di New York Barber Shop Josh Lamanaca e Charley Greey di Menspire, Francesco Cirignotta/ FC, Daren Kenny e Jessica Zeinstro di Analis e Luigi Caterino di The Blue Bird Revenge.
Tutti concordi nell'affermare che il vero trend è l'effetto sfumato pulito delle chiome e della barba. E i capelli vanno sfumati solo con forbici e pettine per esaltare la perfetta gradazione dell'effetto ordinato. Lo stesso vale per la barba che va curata e può essere lunga e a punta mentre per gli uomini più maturi è meglio tenerla corta. Inoltre attualissimi, anzi sono il vero must: i baffi che vanno fatti crescere e tenuti a punta.
Insomma tagli rigorosi e con un ciuffo sbarazzino che richiede la sapiente mano di un vero professionista.
Bye Bye hipstar o capelloni dalle lunghe zazzere scapigliate. La moda maschile impone capelli corti, preferibilmente cortissimi e sfumati sulle tempie a regola d'arte. Niente effetto punk, né uso del rasoio elettrico, il taglio va modellato a punta di forbice e pettine nelle migliori "barberie" riscoperte dal grande pubblico negli ultimi anni.
La testa è al limite dello stile marines, se non fosse per la presenza di un maxiciuffo di capelli (di massimo 3-4 centimetri di lunghezza) da pettinare di lato o tenere dritto.
Il "lui" moderno deve avere un "viso pulito" e un aspetto in ordine. Non solo perché ora piace così, ma anche perché i capelli da bravo ragazzo si abbinano alla pelle pulita da una rasatura perfetta oppure a una barba super lunga che per i più giovani può finire anche a punta, mentre per gli over 45 deve essere corta e ben curata. Il trend del momento accoglierebbe anche i baffi di ogni forgia, ma soprattutto lunghi e, anche questi, a punta.
I diktat 2018/2019 sono stati lanciati al Cosmoprof dove è in corso lo show "United Barber Show", evento seguitissimo legato al mondo della barberia che vede la presenza dei barbieri più rinomati al mondo come Robert Longerman di New York Barber Shop Josh Lamanaca e Charley Greey di Menspire, Francesco Cirignotta/ FC, Daren Kenny e Jessica Zeinstro di Analis e Luigi Caterino di The Blue Bird Revenge.
Tutti concordi nell'affermare che il vero trend è l'effetto sfumato pulito delle chiome e della barba. E i capelli vanno sfumati solo con forbici e pettine per esaltare la perfetta gradazione dell'effetto ordinato. Lo stesso vale per la barba che va curata e può essere lunga e a punta mentre per gli uomini più maturi è meglio tenerla corta. Inoltre attualissimi, anzi sono il vero must: i baffi che vanno fatti crescere e tenuti a punta.
Insomma tagli rigorosi e con un ciuffo sbarazzino che richiede la sapiente mano di un vero professionista.
martedì 20 marzo 2018
I computer riconoscono le emozioni in "technicolor"
L'intelligenza artificiale ha imparato a riconoscere le emozioni. Lo fa a colori e alla rabbia corrisponde il blu, il rosso alla felicità.
Ben ci aveva visto la Walt Disney Pictures nel film animato Inside Out. Le emozioni possono corrispondere ad un colore. Uno studio rivela che il volto umano pur senza muovere un solo muscolo trasmette emozioni in "technicolor" e il computer ha già imparato a riconoscerle. Il blu=rabbia, il rosso felicità, il verde disgusto.
La ricerca è stata condotta nell'Ohio State University e pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas. Descrive i colori delle emozioni e i primi ottimi risultati sono stati ottenuti con un software cge riesce a distinguere con precisione le emozioni umane attraverso le sfumature che si alternano sul viso di chi arrossisce o impallidisce.
I colori delle emozioni sono dovuti a piccoli cambiamenti nell'afflusso del sangue attorno al naso, sopracciglia, guance e mento. Si è visto che nel 75% dei casi le persone sanno identificare correttamente i sentimenti degli altri e secondo il coordinatore Aleix Martinez: "Abbiamo identificato dei modelli di colorito del viso unici per ogni emozione studiata".
Il viso mostra le emozioni secondo i colori: blu-rabbia, rosso-felicità, verde-disgusto. Sebbene: "C'è un po' di ogni colore su tutta la faccia in diverse quantità e punti. Il disgusto dà una sfumatura blu-giallognola vicino alle labbra e una verde-rossastra attorno a naso e fronte".
Gli studiosi hanno verificato esaminando le reazioni a centinaia di foto con espressioni di visi indipendentemente da sesso, etnia e colore della pelle che tutti gli individui avevano le stesse caratteristiche quando esprimevano la stessa emozione ed il cervello sa decifrarli tutti insieme ed immediatamente.
Come controprova, hanno mostrato le immagini di visi con un'espressione neutra a 20 volontari, chiedendo loro di indicare l'emozione della persona nella foto scegliendo fra 18 sentimenti, e 7 volti su 10 la risposta è stata corretta. Poi gli stessi dati sono stati usati per sviluppare programmi informatici che potessero rilevare le emozioni dal colore del viso, e il computer è riusciuto a farlo con risultati migliori di quelli umani, con l'accuratezza del 90%.
Tutto è colore. Noi, l'ambiente circostante e le nostre emozioni. È bello saperle riconoscere e sarebbe bello ridipingere ogni giorno con un'emozione positiva che tutti, anche i computer possano riconoscere.
Ben ci aveva visto la Walt Disney Pictures nel film animato Inside Out. Le emozioni possono corrispondere ad un colore. Uno studio rivela che il volto umano pur senza muovere un solo muscolo trasmette emozioni in "technicolor" e il computer ha già imparato a riconoscerle. Il blu=rabbia, il rosso felicità, il verde disgusto.
La ricerca è stata condotta nell'Ohio State University e pubblicata sulla rivista dell'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas. Descrive i colori delle emozioni e i primi ottimi risultati sono stati ottenuti con un software cge riesce a distinguere con precisione le emozioni umane attraverso le sfumature che si alternano sul viso di chi arrossisce o impallidisce.
I colori delle emozioni sono dovuti a piccoli cambiamenti nell'afflusso del sangue attorno al naso, sopracciglia, guance e mento. Si è visto che nel 75% dei casi le persone sanno identificare correttamente i sentimenti degli altri e secondo il coordinatore Aleix Martinez: "Abbiamo identificato dei modelli di colorito del viso unici per ogni emozione studiata".
Il viso mostra le emozioni secondo i colori: blu-rabbia, rosso-felicità, verde-disgusto. Sebbene: "C'è un po' di ogni colore su tutta la faccia in diverse quantità e punti. Il disgusto dà una sfumatura blu-giallognola vicino alle labbra e una verde-rossastra attorno a naso e fronte".
Gli studiosi hanno verificato esaminando le reazioni a centinaia di foto con espressioni di visi indipendentemente da sesso, etnia e colore della pelle che tutti gli individui avevano le stesse caratteristiche quando esprimevano la stessa emozione ed il cervello sa decifrarli tutti insieme ed immediatamente.
Come controprova, hanno mostrato le immagini di visi con un'espressione neutra a 20 volontari, chiedendo loro di indicare l'emozione della persona nella foto scegliendo fra 18 sentimenti, e 7 volti su 10 la risposta è stata corretta. Poi gli stessi dati sono stati usati per sviluppare programmi informatici che potessero rilevare le emozioni dal colore del viso, e il computer è riusciuto a farlo con risultati migliori di quelli umani, con l'accuratezza del 90%.
Tutto è colore. Noi, l'ambiente circostante e le nostre emozioni. È bello saperle riconoscere e sarebbe bello ridipingere ogni giorno con un'emozione positiva che tutti, anche i computer possano riconoscere.
A Borgomanero la prima clinica dove 23 primari in pensione visitano gratis
Nata da un'idea della presidente dell'Auser, la "clinica gratis" sta riscuotendo un grande successo: sono ormai 17 le visite specialistiche garantite a costo zero per i pazienti in difficoltà.
L'ambulatorio speciale è stato aperto nella sede dell'Auser di Borgomanero, in provincia di Novara. Qui si alternano 23 professionisti medici che visitano poveri, anziani, disoccupati e rifugiati. Chiunque abbia problemi di salute e non ha i mezzi per permettersi visite specialistiche. Sì, perché le visite sono tutte gratis e le effettuano primari in pensione, esperti cardiologi, dermatologi, radiologi, urologi e nefrologi.
L'idea è partita da Maria Bonomi, ottantenne ex sindacalista, presidente dell'Auser, associazione di volontari che si occupa di servizi per la terza età. La Bonomi ha dichiarato di venire da una famiglia povera, quindi comprende le esigenze di chi ha poche possibilità, e spinta da tale motivazione nel 2010 ha avuto l'insight di chiedere ad alcuni suoi amici medici se volessero collaborare con lei per aprire un piccolo ambulatorio gratuito dove aiutare chi avesse bisogno di cure specialistiche e non se le potesse permettere. Così, nel 2017 sono state visitate a costo zero 1500 persone.
I primi professionisti che hanno aderito all'iniziativa sono stati: Piero Sacchi, primario cardiologo; Sergio Cavallaro, urologo e Felice Fontina, nefrologo che andava in ambulatorio a visitare i nuovi pazienti anche dopo essere stato colpito da una malattia che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle.
Man mano si sono aggiunti altri professionisti e oggi sono in tutto 23 i medici specialisti in pensione che si offrono di prendersi cura di chi ha problemi di salute.
Nell'ambulatorio gratuito le visite specialistiche garantite sono 17, non ci sono mai code e non si paga nemmeno il ticket. Inoltre,grazie alle donazioni di alcuni estranei, alcuni ex pazienti esterni dei medici che hanno aderito all'iniziativa, è stato possibile acquistare alcune apparecchiature diagnostiche indispensabili.
Il diritto alla salute non va in pensione, così anche la missione di chi è medico, e quando l'una si mette a servizio dell'altra, di questi tempi, fa ben sperare.
L'ambulatorio speciale è stato aperto nella sede dell'Auser di Borgomanero, in provincia di Novara. Qui si alternano 23 professionisti medici che visitano poveri, anziani, disoccupati e rifugiati. Chiunque abbia problemi di salute e non ha i mezzi per permettersi visite specialistiche. Sì, perché le visite sono tutte gratis e le effettuano primari in pensione, esperti cardiologi, dermatologi, radiologi, urologi e nefrologi.
L'idea è partita da Maria Bonomi, ottantenne ex sindacalista, presidente dell'Auser, associazione di volontari che si occupa di servizi per la terza età. La Bonomi ha dichiarato di venire da una famiglia povera, quindi comprende le esigenze di chi ha poche possibilità, e spinta da tale motivazione nel 2010 ha avuto l'insight di chiedere ad alcuni suoi amici medici se volessero collaborare con lei per aprire un piccolo ambulatorio gratuito dove aiutare chi avesse bisogno di cure specialistiche e non se le potesse permettere. Così, nel 2017 sono state visitate a costo zero 1500 persone.
I primi professionisti che hanno aderito all'iniziativa sono stati: Piero Sacchi, primario cardiologo; Sergio Cavallaro, urologo e Felice Fontina, nefrologo che andava in ambulatorio a visitare i nuovi pazienti anche dopo essere stato colpito da una malattia che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle.
Man mano si sono aggiunti altri professionisti e oggi sono in tutto 23 i medici specialisti in pensione che si offrono di prendersi cura di chi ha problemi di salute.
Nell'ambulatorio gratuito le visite specialistiche garantite sono 17, non ci sono mai code e non si paga nemmeno il ticket. Inoltre,grazie alle donazioni di alcuni estranei, alcuni ex pazienti esterni dei medici che hanno aderito all'iniziativa, è stato possibile acquistare alcune apparecchiature diagnostiche indispensabili.
Il diritto alla salute non va in pensione, così anche la missione di chi è medico, e quando l'una si mette a servizio dell'altra, di questi tempi, fa ben sperare.
lunedì 19 marzo 2018
Andria Zafirakou è la nuova Nobel degli insegnanti
Il Global Teacher Prize 2018 è andato a lei, insegnante d'arte in un istituto multietnico di Londra, che la mattina dà il buongiorno in 35 lingue diverse.
Il buongiorno è molto importante, e se una docente, entrata in classe, lo dà ai suoi alunni in 35 lingue diverse per non "discriminare" nessuno, vale un Nobel per l'insegnamento.
Così, Andria Zafirakou, docente di arte alla Alperton Community School, a Brent, uno dei sobborghi di Londra, è la vincitrice del Global Teacher Prize 2018 promosso dalla Varkey Foundation. Lei dà il buongiorno ai suoi allievi in 35 lingue diverse, favorendo l'integrazione in una scuola difficile.
Il suo impegno per l'integrazione le è stato riconosciuto anche dalla premier britannica Theresa May che le ha porto le congratulazioni tramite un messaggio video.
La cerimonia di premiazione si è svolta a Dubai. Dal palco la vincitrice del Nobel per gli insegnanti ha commentato: "Sfortunatamente molti dei nostri studenti conducono vite difficili in case sovraffollate. E tuttavia è sorprendente come, qualunque sia il problema a casa, qualunque cosa gli manchi o causi dolore, la nostra scuola è la loro. Non ho dubbi che se potessimo aprire alle 6 del mattino, ci sarebbe la coda di ragazzi per entrare già dalle 5. Sappiamo che gli studenti che dedicano più tempo alle materie artistiche, hanno risultati migliori anche nel resto dei loro studi.
Ma ciò a cui tengo di più è qualcosa di più importante. Il potere dell'arte di eliminare le barriere e di rimuovere le etichette. Ed è perciò che oggi invito studenti, insegnanti, persone famose, politici, imprenditori, artisti, giovani e vecchi, chiunque abbia potere, ad unirsi a me in una campagna per proteggere e onorare le arti".
La passione per il buon lavoro e il sacro fuoco per l'insegnamento, hanno permesso ad Andria di ricevere il premio in denaro di un milione di dollari, in rate pari all'importo nel corso di 10 anni. L'unica clausala è quella di continuare ad insegnare per almeno 5 anni, come condizione per la vittoria.
Dare il buongiorno, salutare qualcuno è una buona abitudine che fa bene, ora si scopre che se lo fa un insegnante rispettando la multiculturalità della classe, è anche educativo.
Il buongiorno è molto importante, e se una docente, entrata in classe, lo dà ai suoi alunni in 35 lingue diverse per non "discriminare" nessuno, vale un Nobel per l'insegnamento.
Così, Andria Zafirakou, docente di arte alla Alperton Community School, a Brent, uno dei sobborghi di Londra, è la vincitrice del Global Teacher Prize 2018 promosso dalla Varkey Foundation. Lei dà il buongiorno ai suoi allievi in 35 lingue diverse, favorendo l'integrazione in una scuola difficile.
Il suo impegno per l'integrazione le è stato riconosciuto anche dalla premier britannica Theresa May che le ha porto le congratulazioni tramite un messaggio video.
La cerimonia di premiazione si è svolta a Dubai. Dal palco la vincitrice del Nobel per gli insegnanti ha commentato: "Sfortunatamente molti dei nostri studenti conducono vite difficili in case sovraffollate. E tuttavia è sorprendente come, qualunque sia il problema a casa, qualunque cosa gli manchi o causi dolore, la nostra scuola è la loro. Non ho dubbi che se potessimo aprire alle 6 del mattino, ci sarebbe la coda di ragazzi per entrare già dalle 5. Sappiamo che gli studenti che dedicano più tempo alle materie artistiche, hanno risultati migliori anche nel resto dei loro studi.
Ma ciò a cui tengo di più è qualcosa di più importante. Il potere dell'arte di eliminare le barriere e di rimuovere le etichette. Ed è perciò che oggi invito studenti, insegnanti, persone famose, politici, imprenditori, artisti, giovani e vecchi, chiunque abbia potere, ad unirsi a me in una campagna per proteggere e onorare le arti".
La passione per il buon lavoro e il sacro fuoco per l'insegnamento, hanno permesso ad Andria di ricevere il premio in denaro di un milione di dollari, in rate pari all'importo nel corso di 10 anni. L'unica clausala è quella di continuare ad insegnare per almeno 5 anni, come condizione per la vittoria.
Dare il buongiorno, salutare qualcuno è una buona abitudine che fa bene, ora si scopre che se lo fa un insegnante rispettando la multiculturalità della classe, è anche educativo.
Sempre più italiani scelgono l'acqua del sindaco
Sono in aumento gli italiani che per dissetarsi scelgono il rubinetto di casa. Merito della crisi e della fiducia nei controlli e degli oltre 2 mila chioschi che distribuiscono l'acqua del sindaco.
L'acqua è un bene prezioso. E ora gli italiani stanno riscoprendo il loro tesoretto "privato" direttamente dal rubinetto. Cresce infatti il consumo dell'acqua del sindaco, un po' per comodità un po' per il gusto e sicuramente anche per il costo minore.
Questi i dati resi noti da una ricerca realizzata da Open Mind Resarch, in prossimità della Giornata Mondiale dell'Acqua (il 22 Marzo). Si è visto che nel corso dell'anno appena trascorso, circa il 73,7% della popolazione ha preferito l'acqua del sindaco e poi l'ha consolidata come acqua abituale nel 44% dei casi.
Lauro Prati, presidente di Acque Italia, commenta: "Siamo in presenza di un cambiamento epocale. Partivamo da zero, con gli italiani prigionieri dell'acqua minerale, e adesso ci ritroviamo con un popolo che ha modificato il suo stile di vita".
In effetti il consumo di acqua "domestica" in quattro anni è aumentato di circa dieci punti, segnando un cambiamento davvero epocale per i gusti e le abitudini degli italiani. In tale cambio di rotta, un forte peso lo ha avuto anche la presenza dei chioschi dell'acqua. Nel Belpaese ne sono disseminati più di 2 mila. Degli impianti sicuri e controllati che permettono al cittadino di ritirare acqua naturale o gassata, refrigerata o a temperatura ambiente a prezzi modici. Il costo medio è di 0,05 euro al litro, o al massimo 0,08, e non sono rari i casi in alcuni comuni dove, addirittura le amministrazioni hanno scelto di distribuire acqua gratis.
I chioschi dell'acqua hanno rafforzato anche un'industria di filiera del made in Italy, facendo fioccare le richieste di forniture all'estero, soprattutto dalla Francia e dalla Gran Bretagna.
L'acqua del sindaco, oltre che per gli innovativi chioschetti, piace soprattutto perché sono caduti tutti quei pregiudizi circa la sicurezza dei controlli. Attualmente, solo il 14% della popolazione avanza ancora qualche dubbio, mentre la maggior parte degli italiani si è convinta che i controlli dell'acqua pubblica siano anche più frequenti di quelli sull'acqua confezionata.
L'unico ostacolo ancora da superare resta quello di rendere l'acqua del rubinetto il prodotto finale di un sistema efficace: si deve arginare la dispersione che avviene all'interno della rete idrica, ormai ridotta ad un colabrodo.
Insomma, l'acqua è un bene preziosissimo, comune ed indispensabile. Ora che è anche a chilometro zero l'unico imperativo rimasto è quello di non sprecarla in rete (intera) perché gli italiani ne hanno ben compresa l'importanza.
L'acqua è un bene prezioso. E ora gli italiani stanno riscoprendo il loro tesoretto "privato" direttamente dal rubinetto. Cresce infatti il consumo dell'acqua del sindaco, un po' per comodità un po' per il gusto e sicuramente anche per il costo minore.
Questi i dati resi noti da una ricerca realizzata da Open Mind Resarch, in prossimità della Giornata Mondiale dell'Acqua (il 22 Marzo). Si è visto che nel corso dell'anno appena trascorso, circa il 73,7% della popolazione ha preferito l'acqua del sindaco e poi l'ha consolidata come acqua abituale nel 44% dei casi.
Lauro Prati, presidente di Acque Italia, commenta: "Siamo in presenza di un cambiamento epocale. Partivamo da zero, con gli italiani prigionieri dell'acqua minerale, e adesso ci ritroviamo con un popolo che ha modificato il suo stile di vita".
In effetti il consumo di acqua "domestica" in quattro anni è aumentato di circa dieci punti, segnando un cambiamento davvero epocale per i gusti e le abitudini degli italiani. In tale cambio di rotta, un forte peso lo ha avuto anche la presenza dei chioschi dell'acqua. Nel Belpaese ne sono disseminati più di 2 mila. Degli impianti sicuri e controllati che permettono al cittadino di ritirare acqua naturale o gassata, refrigerata o a temperatura ambiente a prezzi modici. Il costo medio è di 0,05 euro al litro, o al massimo 0,08, e non sono rari i casi in alcuni comuni dove, addirittura le amministrazioni hanno scelto di distribuire acqua gratis.
I chioschi dell'acqua hanno rafforzato anche un'industria di filiera del made in Italy, facendo fioccare le richieste di forniture all'estero, soprattutto dalla Francia e dalla Gran Bretagna.
L'acqua del sindaco, oltre che per gli innovativi chioschetti, piace soprattutto perché sono caduti tutti quei pregiudizi circa la sicurezza dei controlli. Attualmente, solo il 14% della popolazione avanza ancora qualche dubbio, mentre la maggior parte degli italiani si è convinta che i controlli dell'acqua pubblica siano anche più frequenti di quelli sull'acqua confezionata.
L'unico ostacolo ancora da superare resta quello di rendere l'acqua del rubinetto il prodotto finale di un sistema efficace: si deve arginare la dispersione che avviene all'interno della rete idrica, ormai ridotta ad un colabrodo.
Insomma, l'acqua è un bene preziosissimo, comune ed indispensabile. Ora che è anche a chilometro zero l'unico imperativo rimasto è quello di non sprecarla in rete (intera) perché gli italiani ne hanno ben compresa l'importanza.
venerdì 16 marzo 2018
Nicole ha il lupus e il ragazzo le fa la proposta e la sposa nella stessa notte
Questa è la favola...pardon, la storia d'amore di Nicole Carfagna e Danny Rios
di cui si è occupata anche la prestigiosa Bbc. Un bel gesto romantico quello del ragazzo inglese che ha sposato la sua Nicole dopo due ore che lei ha accettato la proposta.
Nicole soffre di lupus, una condizione chr viene aggravata dallo stress, così per risparmiarle l'ansia dei preparativi Danny ha organizzato tutto da solo ad insaputa della ragazza.
La coppia era di ritorno da un viaggio a Disney World, quando, man mano che si avvicinano alla loro abitazione, hanno notato delle luci sul vialetto.
Ricordando la vicenda all'emittente britannica, Nicole dice: "Pensavo che i genitori di Danny avessero decorato la casa per Natale. Ma Danny mi ha preso per mano e ho notato un grande tendone. Le nostre famiglie ci aspettavano all'esterno".
Poi mentre lei cercava di realizzare cosa stesse succedendo, lui le ha sussurrato: "Sai quanto ti amo, giusto?" E l'ha condotta dentro il tendone, dove ad attenderli c'erano tutti i loro amici e parenti. A quel punto si è inginocchiato e le ha proposto di sposarla.
Ma Danny non aveva radunato tutta quella gente solo per farle la proposta. Lei aggiunge: "Dopo aver salutato tutti mi ha chiesto di entrare in casa con lui. Credevo volesse solo parlare di ciò che era appena successo". Invece, il ragazzo ha aggiunto: "Se vuoi è tutto pronto per il matrimonio".
Voltandosi Nicole ha visto appesi uno smoking ed un abito da sposa. E sebbene l'innamorato ha tranquillizzato la neofidanzata dicendo che nessuno si aspettava niente da lei, i parenti erano lì solo per una festa di fidanzamento, la sua scelta era libera, lei ha accettato senza batter ciglio.
Ma il regalo più bello che le ha fatto il fidanzato è stato quello di evitarle qualsiasi tipo di ansia o paranoia a cui inevitabilmente ci si trova di fronte quando si organizza un matrimonio. Lei stessa riporta: "Lo stress è da evitare quando hai il lupus. Se avessi pianificato il matrimonio e nel giorno delle nozze mi sarei scoperta malata? La scelta di Danny mi ha salvata da queste ansie. Il matrimonio è trascorso senza intoppi. Era come una favola".
Evviva gli sposi, evviva il romanticismo che ancora esiste e ci fa sognare.
di cui si è occupata anche la prestigiosa Bbc. Un bel gesto romantico quello del ragazzo inglese che ha sposato la sua Nicole dopo due ore che lei ha accettato la proposta.
Nicole soffre di lupus, una condizione chr viene aggravata dallo stress, così per risparmiarle l'ansia dei preparativi Danny ha organizzato tutto da solo ad insaputa della ragazza.
La coppia era di ritorno da un viaggio a Disney World, quando, man mano che si avvicinano alla loro abitazione, hanno notato delle luci sul vialetto.
Ricordando la vicenda all'emittente britannica, Nicole dice: "Pensavo che i genitori di Danny avessero decorato la casa per Natale. Ma Danny mi ha preso per mano e ho notato un grande tendone. Le nostre famiglie ci aspettavano all'esterno".
Poi mentre lei cercava di realizzare cosa stesse succedendo, lui le ha sussurrato: "Sai quanto ti amo, giusto?" E l'ha condotta dentro il tendone, dove ad attenderli c'erano tutti i loro amici e parenti. A quel punto si è inginocchiato e le ha proposto di sposarla.
Ma Danny non aveva radunato tutta quella gente solo per farle la proposta. Lei aggiunge: "Dopo aver salutato tutti mi ha chiesto di entrare in casa con lui. Credevo volesse solo parlare di ciò che era appena successo". Invece, il ragazzo ha aggiunto: "Se vuoi è tutto pronto per il matrimonio".
Voltandosi Nicole ha visto appesi uno smoking ed un abito da sposa. E sebbene l'innamorato ha tranquillizzato la neofidanzata dicendo che nessuno si aspettava niente da lei, i parenti erano lì solo per una festa di fidanzamento, la sua scelta era libera, lei ha accettato senza batter ciglio.
Ma il regalo più bello che le ha fatto il fidanzato è stato quello di evitarle qualsiasi tipo di ansia o paranoia a cui inevitabilmente ci si trova di fronte quando si organizza un matrimonio. Lei stessa riporta: "Lo stress è da evitare quando hai il lupus. Se avessi pianificato il matrimonio e nel giorno delle nozze mi sarei scoperta malata? La scelta di Danny mi ha salvata da queste ansie. Il matrimonio è trascorso senza intoppi. Era come una favola".
Evviva gli sposi, evviva il romanticismo che ancora esiste e ci fa sognare.
La crisi del "quarto d'età"
Colpisce otto giovani su dieci facendoli sentire sotto pressione. Le preoccupazioni maggiori per gli under 30 sono legati al percorso professionale. Il 43% teme di non riuscire a trovare un impiego, mentre il 28% ritiene di aver perso tempo con il lavoro sbagliato.
Finora si era sempre pensato alla "beata gioventù", inquadrando l'età della giovinezza, come un'età caratterizzata da spensieratezza e ottimismo. Invece uno studio rivela che gli under 30 sono molto preoccupati, soprattutto desta in loro ansia l'attività professionale.
Nel nostro Paese, tra i lavoratori di età compresa tra i 20 e i 30 anni, sono circa il 78% che si sente costantemente sotto pressione. Quasi 8 professionisti su 10 affermano di essere stati colpiti dall'ormai nota "crisi del quarto di vita", che li ha costretti a rivedere il loro percorso professionale e le loro scelte personali magari ad esse concomitanti.
Lo studio è stato commissionato da LinkedIn, il più grande network professionale online del mondo, in vista del lancio di un nuovo strumento chiamato Career Advice. Dall'inchiesta è emerso che la maggior parte degli under 30 italiani è colpito da questa crisi intorno ai 28 anni di età. La maggior preoccupazione che li attanaglia è quella di non riuscire a trovare lavoro (nel 43% dei casi), poi il 41% invece non è soddisfatto dal proprio stile di vita e il 33% dei casi ritiene che non comprerà mai una casa di sua proprietà.
Emerge inoltre che le preoccupazioni legate alla professione sono più forti di quelle legate alla sfera sentimentale o alla paura stessa di rimanere disoccupati. Si è visto anche che i giovani che hanno esperito questa crisi, cercano di darle risposta reiventandosi, cercando magari un altro lavoro, spesso cambiando addirittura carriera e luogo, in merito si stima che il 14% ha cambiato città.
Alex Fowke, Senior Clinical Psychologist e Cognitive Behavioural Psychotherapist, facendo un parallelo con i classici segni della crisi di mezz'età, ha definito la crisi del quarto di vita come un "periodo di insicurezza, incertezza e nervosismo riguardo alla propria carriera, alle relazioni e alla propria situazione finanziaria, che solitamente i giovani lavoratori vivono in un'età compresa tra i 25 e i 33 anni".
La crisi solitamente dura circa 6 mesi e un valido aiuto sarebbe approcciarsi con esperti del mondo lavorativo perché la maggior parte degli intervistati dichiara di voler ricevere suggerimenti concreti per il proprio percorso lavorativo ma non sa dove trovarli.
Come se i giovani moderni non fossero già abbastanza stressati per tutto il mondo circostante, ora ci si mette pure questa nuova crisi che segna anche il passaggio del disincanto verso famiglia ed amici non visti più come fonte certa di consiglio.
Finora si era sempre pensato alla "beata gioventù", inquadrando l'età della giovinezza, come un'età caratterizzata da spensieratezza e ottimismo. Invece uno studio rivela che gli under 30 sono molto preoccupati, soprattutto desta in loro ansia l'attività professionale.
Nel nostro Paese, tra i lavoratori di età compresa tra i 20 e i 30 anni, sono circa il 78% che si sente costantemente sotto pressione. Quasi 8 professionisti su 10 affermano di essere stati colpiti dall'ormai nota "crisi del quarto di vita", che li ha costretti a rivedere il loro percorso professionale e le loro scelte personali magari ad esse concomitanti.
Lo studio è stato commissionato da LinkedIn, il più grande network professionale online del mondo, in vista del lancio di un nuovo strumento chiamato Career Advice. Dall'inchiesta è emerso che la maggior parte degli under 30 italiani è colpito da questa crisi intorno ai 28 anni di età. La maggior preoccupazione che li attanaglia è quella di non riuscire a trovare lavoro (nel 43% dei casi), poi il 41% invece non è soddisfatto dal proprio stile di vita e il 33% dei casi ritiene che non comprerà mai una casa di sua proprietà.
Emerge inoltre che le preoccupazioni legate alla professione sono più forti di quelle legate alla sfera sentimentale o alla paura stessa di rimanere disoccupati. Si è visto anche che i giovani che hanno esperito questa crisi, cercano di darle risposta reiventandosi, cercando magari un altro lavoro, spesso cambiando addirittura carriera e luogo, in merito si stima che il 14% ha cambiato città.
Alex Fowke, Senior Clinical Psychologist e Cognitive Behavioural Psychotherapist, facendo un parallelo con i classici segni della crisi di mezz'età, ha definito la crisi del quarto di vita come un "periodo di insicurezza, incertezza e nervosismo riguardo alla propria carriera, alle relazioni e alla propria situazione finanziaria, che solitamente i giovani lavoratori vivono in un'età compresa tra i 25 e i 33 anni".
La crisi solitamente dura circa 6 mesi e un valido aiuto sarebbe approcciarsi con esperti del mondo lavorativo perché la maggior parte degli intervistati dichiara di voler ricevere suggerimenti concreti per il proprio percorso lavorativo ma non sa dove trovarli.
Come se i giovani moderni non fossero già abbastanza stressati per tutto il mondo circostante, ora ci si mette pure questa nuova crisi che segna anche il passaggio del disincanto verso famiglia ed amici non visti più come fonte certa di consiglio.
giovedì 15 marzo 2018
"Reporter dissidente" censurata dal governo diventa una star del web
Un video riprende le smorfie di un reporter e vengono interpretate come dissenso. Il governo cinese la censura.
Si chiama Liang Xiangyi (la reporter vestita di blu) la protagonista dell'ennesimo caso di censura da parte del governo cinese. Lei è recentemente diventata una star dei social cinesi e poi di tutto il mondo, assunta a paladina del dissenso.
La vicenda incriminata, anzi immortalata, risale alla conferenza stampa che ha seguito la riunione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo in Cina. Solitamente le domande con i politici vengono concordate in precedenza. Una di queste l'ha proposta una sua collega, Zhang Huijun, la giornalista vestita di rosso della tv cinese con base in California "American Multimedia Television", che in un lungo quesito afferma pure che la "Cina si aprirà maggiormente al mondo esterno".
Udito il lungo tergiversare alle domande ritenute forse troppo soft e quasi propagandistiche della collega, Liang Xiangyi non riesce a trattenersi e sul volto le si alternano una serie di smorfie che fanno trasparire tutto il suo disappunto.
Puntate sulle due donne c'erano però le telecamere della tv di Stato cinese Cctv che ha catturato tutta la scena, consegnandola in tempo reale ai social network.
Un meccanismo perverso che ha fatto diventare la "reporter dissidente" una star dei social e nel contempo un capro espiatorio della censura.
La storia è stata riportata dal China Digital Times tramite cui il governo ha diffuso una direttiva che recita: "È proibito a tutti coloro che lavorano nei media parlare dell'incidente accorso durante la conferenza stampa che coinvolge la reporter vestita di blu. Qualsiasi cosa sarà pubblicata sui social verrà cancellata. Tutti i siti web, senza eccezioni, non devono dare rilevanza all'episodio".
Forse ora il governo cinese metterà un po' il bastone tra le ruote alla carriera professionale di questa giovane reporter, ma volete mettere la soddisfazione nell'averli sbeffeggiati in diretta?
Si chiama Liang Xiangyi (la reporter vestita di blu) la protagonista dell'ennesimo caso di censura da parte del governo cinese. Lei è recentemente diventata una star dei social cinesi e poi di tutto il mondo, assunta a paladina del dissenso.
La vicenda incriminata, anzi immortalata, risale alla conferenza stampa che ha seguito la riunione annuale dell'Assemblea Nazionale del Popolo in Cina. Solitamente le domande con i politici vengono concordate in precedenza. Una di queste l'ha proposta una sua collega, Zhang Huijun, la giornalista vestita di rosso della tv cinese con base in California "American Multimedia Television", che in un lungo quesito afferma pure che la "Cina si aprirà maggiormente al mondo esterno".
Udito il lungo tergiversare alle domande ritenute forse troppo soft e quasi propagandistiche della collega, Liang Xiangyi non riesce a trattenersi e sul volto le si alternano una serie di smorfie che fanno trasparire tutto il suo disappunto.
Puntate sulle due donne c'erano però le telecamere della tv di Stato cinese Cctv che ha catturato tutta la scena, consegnandola in tempo reale ai social network.
Un meccanismo perverso che ha fatto diventare la "reporter dissidente" una star dei social e nel contempo un capro espiatorio della censura.
La storia è stata riportata dal China Digital Times tramite cui il governo ha diffuso una direttiva che recita: "È proibito a tutti coloro che lavorano nei media parlare dell'incidente accorso durante la conferenza stampa che coinvolge la reporter vestita di blu. Qualsiasi cosa sarà pubblicata sui social verrà cancellata. Tutti i siti web, senza eccezioni, non devono dare rilevanza all'episodio".
Forse ora il governo cinese metterà un po' il bastone tra le ruote alla carriera professionale di questa giovane reporter, ma volete mettere la soddisfazione nell'averli sbeffeggiati in diretta?
mercoledì 14 marzo 2018
Un'insalata al giorno ed il cervello ringiovanisce di 11 anni
Uno studio dimostra che mangiare un'insalata al giorno migliora la memoria: il cervello è più giovane di 11 anni.
Con la primavera alle porte e la voglia di freschezza imperante, anche a tavola, viene proprio voglia di mangiare una bella insalata! E da oggi c'è pure un buon motivo in più per farlo, infatti una ricerca dimostra che l'insalata non solo aiuta la linea, ma anche la memoria.
I ricercatori del Rush University Medical Center di Chicago, hanno confermato sulla rivista Neurology, che mangiare un'insalata al giorno ringiovanisce il cervello di 11 anni.
Lo studio è stato coordinato dalla dottoressa Martha Clara Morris ed è stato condotto su 960 persone, con un'età media di 81 anni, senza problemi di demenza, ai quali è stato chiesto di mangiare ogni giorno tre verdure: lattuga, cavolo/verza e spinaci. I volontari sono stati monitorati per un periodo medio di 4,7 anni. Suddivisi in 3 gruppi: quelli che mangiavano mediamente 1,3 porzioni al giorno; quelli che ne mangiavano meno, circa 0,1 porzioni al giorno; ed infine alcuni che non ne mangiavano proprio.
Le 960 persone sono state sottoposte annualmente ad alcuni test utili a valutare le capacità cognitive e la memoria e i dati raccolti hanno dimostrato che gli anziani che mangiavano almeno una porzione di queste verdure al giorno avevano meno problemi di memoria nel tempo e più abilità cognitive rispetto a chi non ne mangiava affatto.
Secondo gli indicatori della ricerca, a parità di età e fattori ambientali, il consumo quotidiano di queste verdure avrebbe un vantaggio sul cervello pari a 11 anni di vita. Il cervello dei mangiatori di insalata risulta più giovane di 11 anni.
Lo studio ancora non chiarisce bene un nesso sicuro come l'assunzione quotidiana di verdure possa sicuramente migliorare la salute del cervello.
La ricerca deve quindi, ancora continuare, nel frattempo, poiché l'insalata fa tanto bene anche alla salute fisica, perché non tentare e mangiarne tanta comunque?
Con la primavera alle porte e la voglia di freschezza imperante, anche a tavola, viene proprio voglia di mangiare una bella insalata! E da oggi c'è pure un buon motivo in più per farlo, infatti una ricerca dimostra che l'insalata non solo aiuta la linea, ma anche la memoria.
I ricercatori del Rush University Medical Center di Chicago, hanno confermato sulla rivista Neurology, che mangiare un'insalata al giorno ringiovanisce il cervello di 11 anni.
Lo studio è stato coordinato dalla dottoressa Martha Clara Morris ed è stato condotto su 960 persone, con un'età media di 81 anni, senza problemi di demenza, ai quali è stato chiesto di mangiare ogni giorno tre verdure: lattuga, cavolo/verza e spinaci. I volontari sono stati monitorati per un periodo medio di 4,7 anni. Suddivisi in 3 gruppi: quelli che mangiavano mediamente 1,3 porzioni al giorno; quelli che ne mangiavano meno, circa 0,1 porzioni al giorno; ed infine alcuni che non ne mangiavano proprio.
Le 960 persone sono state sottoposte annualmente ad alcuni test utili a valutare le capacità cognitive e la memoria e i dati raccolti hanno dimostrato che gli anziani che mangiavano almeno una porzione di queste verdure al giorno avevano meno problemi di memoria nel tempo e più abilità cognitive rispetto a chi non ne mangiava affatto.
Secondo gli indicatori della ricerca, a parità di età e fattori ambientali, il consumo quotidiano di queste verdure avrebbe un vantaggio sul cervello pari a 11 anni di vita. Il cervello dei mangiatori di insalata risulta più giovane di 11 anni.
Lo studio ancora non chiarisce bene un nesso sicuro come l'assunzione quotidiana di verdure possa sicuramente migliorare la salute del cervello.
La ricerca deve quindi, ancora continuare, nel frattempo, poiché l'insalata fa tanto bene anche alla salute fisica, perché non tentare e mangiarne tanta comunque?
La Terra dei Fuochi diventa Terra Amata
Nel casertano si uniscono due multinazionali con le cooperative sociali per creare nuovi posti di lavoro.
La Terra dei Fuochi diventa "Terra Amata" grazie alla collaborazione di due multinazionali la Roche Spa e Sodex Spa che si sono unite con la Nuova Cooperazione Organizzata, composta da Cittadinanza Attiva e Fanpage.it, per promuovere la cultura della legalità, della prevenzione oncologica e creare economia sociale.
Durante la conferenza stampa di presentazione, dove sono intervenuti anche il presidente dell'Anc Raffaele Cantone e don Maurizio Petricello, è stato ribadito che si tratta di: "Una storia unica, di un progetto mai realizzato prima che diventa modello da replicare. È il racconto non solo di un progetto sociale ad ampio raggio, ma è soprattutto il racconto di come realtà e sensibilità diverse abbiano avuto una visione comune. Un progetto che nasce dall'incontro di persone che hanno a cuore la propria terra, la propria missione professionale intesa come visione per la costruzione di una visione di società che ha al suo centro il bene comune".
Per iniziare questa nuova avventura, la Roche e la Sodexo hanno visitato i beni confiscati presenti nella provincia di Caserta gestiti dalla cooperativa "Al di là dei sogni", poi hanno fatto visita alla Cleprin, azienda chimica bruciata dalla camorra nel 2016 e riaperta nel Marzo di due anni dopo e hanno avuto un incontro con le famiglie colpite dal tumore.
Da ciò, è nata "Terra Amata", che non è solo un progetto ma un modello da replicare in ogni territorio dove si vuole instaurare legalità e lavoro per promuovere rinascita sociale. La vicinanza con grandi realtà multinazionali da un chiaro segno tangibile contro l'isolamento o la circoscrizione a cui sembra si voglia far confinare alcune terre del Sud.
In pratica, la Roche e la Sodexo utilizzeranno i prodotti della Cleprin, reinserendo del personale nella stessa azienda. Inoltre verranno promosse borse di lavoro a favore di persone svantaggiate.
Invece, CittadinanzAttiva promuoverà screening tumorali e visite specialistiche preventive di oncologi esperti. A Fanpage come già sta facendo, è addebitata la comunicazione del progetto al grande pubblico.
Terra Amata, è quindi una risposta al silenzio e all'isolamento, una nuova possibilità data agli abitanti di quella terra tanto martoriata, per poter reagire secondo un protocollo che non è di assistenzialismo, ma di realizzazione.
La Terra dei Fuochi diventa "Terra Amata" grazie alla collaborazione di due multinazionali la Roche Spa e Sodex Spa che si sono unite con la Nuova Cooperazione Organizzata, composta da Cittadinanza Attiva e Fanpage.it, per promuovere la cultura della legalità, della prevenzione oncologica e creare economia sociale.
Durante la conferenza stampa di presentazione, dove sono intervenuti anche il presidente dell'Anc Raffaele Cantone e don Maurizio Petricello, è stato ribadito che si tratta di: "Una storia unica, di un progetto mai realizzato prima che diventa modello da replicare. È il racconto non solo di un progetto sociale ad ampio raggio, ma è soprattutto il racconto di come realtà e sensibilità diverse abbiano avuto una visione comune. Un progetto che nasce dall'incontro di persone che hanno a cuore la propria terra, la propria missione professionale intesa come visione per la costruzione di una visione di società che ha al suo centro il bene comune".
Per iniziare questa nuova avventura, la Roche e la Sodexo hanno visitato i beni confiscati presenti nella provincia di Caserta gestiti dalla cooperativa "Al di là dei sogni", poi hanno fatto visita alla Cleprin, azienda chimica bruciata dalla camorra nel 2016 e riaperta nel Marzo di due anni dopo e hanno avuto un incontro con le famiglie colpite dal tumore.
Da ciò, è nata "Terra Amata", che non è solo un progetto ma un modello da replicare in ogni territorio dove si vuole instaurare legalità e lavoro per promuovere rinascita sociale. La vicinanza con grandi realtà multinazionali da un chiaro segno tangibile contro l'isolamento o la circoscrizione a cui sembra si voglia far confinare alcune terre del Sud.
In pratica, la Roche e la Sodexo utilizzeranno i prodotti della Cleprin, reinserendo del personale nella stessa azienda. Inoltre verranno promosse borse di lavoro a favore di persone svantaggiate.
Invece, CittadinanzAttiva promuoverà screening tumorali e visite specialistiche preventive di oncologi esperti. A Fanpage come già sta facendo, è addebitata la comunicazione del progetto al grande pubblico.
Terra Amata, è quindi una risposta al silenzio e all'isolamento, una nuova possibilità data agli abitanti di quella terra tanto martoriata, per poter reagire secondo un protocollo che non è di assistenzialismo, ma di realizzazione.
martedì 13 marzo 2018
Gatto eroe salva la famiglia dall'incendio
In casa Perciavalle scoppia un incendio di notte, tutti salvi grazie al loro micio.
Teatro della vicenda è stata Mckeesport, cittadina a sud di Pittsburgh. Qui vive Tom Perciavalle, con tutta la sua famiglia e il fidato micio. Proprio il simpatico felino, l'altra notte ha allertato tutti, mentre un incendio divampava in soffitta.
Quando sono intervenuti i Vigili del Fuoco, sono rimasti molto sorpresi nell'apprendere che nell'abitazione non c'erano siatemi di rilevazione di fumi e che la famiglia che ci vive dentro deve la propria vita all'animale domestico.
Infatti, mentre i proprietari stavano beatamente dormendo, il gatto si è accorto che qualcosa non andava. È così saltato nel letto dei suoi coinquilini umani e ha cominciato a miagolare fino a quando non ha fatto svegliare tutti. È così riuscito a mettere tutti in salvo.
Pericolo scampato per la famiglia Perciavalle la cui casa è stata in gran parte distrutta dalle fiamme. La Croce Rossa si è quindi offerta di trovare un posto dove la fmiglia potrà rimanere per un po' di tempo, protetti naturalmente del loro fidato micio.
Si dice sempre che il "migliore amico dell'uomo" sia il cane, ma anche questo gatto eroe non si è mostrato da meno.
Teatro della vicenda è stata Mckeesport, cittadina a sud di Pittsburgh. Qui vive Tom Perciavalle, con tutta la sua famiglia e il fidato micio. Proprio il simpatico felino, l'altra notte ha allertato tutti, mentre un incendio divampava in soffitta.
Quando sono intervenuti i Vigili del Fuoco, sono rimasti molto sorpresi nell'apprendere che nell'abitazione non c'erano siatemi di rilevazione di fumi e che la famiglia che ci vive dentro deve la propria vita all'animale domestico.
Infatti, mentre i proprietari stavano beatamente dormendo, il gatto si è accorto che qualcosa non andava. È così saltato nel letto dei suoi coinquilini umani e ha cominciato a miagolare fino a quando non ha fatto svegliare tutti. È così riuscito a mettere tutti in salvo.
Pericolo scampato per la famiglia Perciavalle la cui casa è stata in gran parte distrutta dalle fiamme. La Croce Rossa si è quindi offerta di trovare un posto dove la fmiglia potrà rimanere per un po' di tempo, protetti naturalmente del loro fidato micio.
Si dice sempre che il "migliore amico dell'uomo" sia il cane, ma anche questo gatto eroe non si è mostrato da meno.
Foraging: cucinare con le piante selvatiche
È la nuova tendenza che emerge da Taste. D'ora in poi si dovrà cucinare con alghe, licheni e radici.
Si è concluso ieri (12 Marzo) a Firenze, la 13esima edizione del Taste, il salone dedicato alle eccellenze enogastronomiche. È emerso che la nuova frontiera in cucina è il "foraging", quindi si deve cercare, riconoscere, raccogliere e cucinare con le piante selvatiche. Gli ingredienti principali delle nostre pietanze, dovranno quindi essere: alghe, erbe, arbusti, licheni, semi e radici, scelti nel rispetto dell'ambiente e della sicurezza personale.
Tutta la rassegna del Taste, in effetti, si è incentrata su questa nuova e preziosa risorsa in cucina e si è cercato di individuare quali luoghi siano i più ricchi di questi cibi da usare in cucina. Risultano miniere per questi ingredienti, sia le Alpi che le coste italiane e altri punti strategici esistono anche nel Nord Europa.
Nel salone fiorentino, sono stati presentati e messi regolarmente in commercio già diversi prodotti. Antesignana del settore è stata l'azienda biologica e biodinamica della provincia di Gorizia "4 Principia Rerum", essa è stata la prima ad introdurre in Italia la coltivazione dell'Aronia Melanocarpa, pianta dalle spiccate proprietà medicinali; originaria del Nord America e delle lande siberiane.
Molto apprezzato è stato anche il fico nero, originario del comune di Caneva (Friuli). Sebbene conosciuto nell'antichità con il nome di figomoro le sue proprietà energetiche e medicinali erano già note dal XIV secolo.
Per non parlare della visciola Prunus Cerasus, una rara varietà di amarena selvatica proveniente da Catiano, un piccolo comune nelle Marche.
Interessante anche la proposta di Biobacche Toscane, che ha presentato dei piccoli frutti e prodotti dell'orto, tra cui spiccano le bacche di Goji.
Interessante pure il fatto che mentre la modernizzazione va avanti a ritmi serrati e cerca di inscatolare tutto tramite la tecnologia, dall'altro lato ci sia un ritorno molto bello e sensato verso ciò che è naturale, verso il verde.
Si è concluso ieri (12 Marzo) a Firenze, la 13esima edizione del Taste, il salone dedicato alle eccellenze enogastronomiche. È emerso che la nuova frontiera in cucina è il "foraging", quindi si deve cercare, riconoscere, raccogliere e cucinare con le piante selvatiche. Gli ingredienti principali delle nostre pietanze, dovranno quindi essere: alghe, erbe, arbusti, licheni, semi e radici, scelti nel rispetto dell'ambiente e della sicurezza personale.
Tutta la rassegna del Taste, in effetti, si è incentrata su questa nuova e preziosa risorsa in cucina e si è cercato di individuare quali luoghi siano i più ricchi di questi cibi da usare in cucina. Risultano miniere per questi ingredienti, sia le Alpi che le coste italiane e altri punti strategici esistono anche nel Nord Europa.
Nel salone fiorentino, sono stati presentati e messi regolarmente in commercio già diversi prodotti. Antesignana del settore è stata l'azienda biologica e biodinamica della provincia di Gorizia "4 Principia Rerum", essa è stata la prima ad introdurre in Italia la coltivazione dell'Aronia Melanocarpa, pianta dalle spiccate proprietà medicinali; originaria del Nord America e delle lande siberiane.
Molto apprezzato è stato anche il fico nero, originario del comune di Caneva (Friuli). Sebbene conosciuto nell'antichità con il nome di figomoro le sue proprietà energetiche e medicinali erano già note dal XIV secolo.
Per non parlare della visciola Prunus Cerasus, una rara varietà di amarena selvatica proveniente da Catiano, un piccolo comune nelle Marche.
Interessante anche la proposta di Biobacche Toscane, che ha presentato dei piccoli frutti e prodotti dell'orto, tra cui spiccano le bacche di Goji.
Interessante pure il fatto che mentre la modernizzazione va avanti a ritmi serrati e cerca di inscatolare tutto tramite la tecnologia, dall'altro lato ci sia un ritorno molto bello e sensato verso ciò che è naturale, verso il verde.
lunedì 12 marzo 2018
Il coccodrillo della Lacoste va in pensione per fare spazio a 10 animali a rischio d'estinzione
Solo temporaneamente Lacoste sostituisce il celebre coccodrillo con altri 10 animali a rischio d'estinzione.
E poi dicono che il coccodrillo sia cattivo e le sue non siano lacrime vere! Invece, Lacoste, il marchio famoso per la sua linea sportiva, rappresentata soprattutto dalla polo, ha deciso di dedicare questo suo celeberrimo prodotto a 10 animali che si trovano a rischio d'estinzione.
Quindi, il coccodrillo verde, lo storico logo del marchio, si fa un po' da parte e cede il suo posto sulla parte laterale della maglietta, con ciascuna delle 10 specie protette prescelte.
È prevista una tiratura limitata, i cui proventi della vendita, già sold out, sono destinati a Save Our Species, organizzazione che opera proprio nella salvaguardia degli animali.
L'obiettivo sarà poi quello di instaurare una partnership con la IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura).
Così, al posto del rettile verde presente sul modello più classico di questa polo, quella bianca (prodotta nel 1933 per celebrare il tennista francese Renè Lacoste ), è possibile vedere un grazioso simbolo rappresentante un animaletto che supporta moralmente ed economicamente un suo simile in difficoltà. Le specie che si daranno il "cambio" sulle magliette per la staffetta della solidarietà sono: Rinoceronte di Giava, Lepilemure settentrionale, Tartaruga rugosa birmana, Condor della California, Kakapo, Vaquita, Iguana di Anegada, Gibbone di Cao Vit, Saola, Tigre di Sumatra.
Li chiamano animali, ma hanno più solidarietà degli umani, almeno di quelli che li hanno ridotti all'estinzione. E anche il coccodrillo cerca di aiutarli.
E poi dicono che il coccodrillo sia cattivo e le sue non siano lacrime vere! Invece, Lacoste, il marchio famoso per la sua linea sportiva, rappresentata soprattutto dalla polo, ha deciso di dedicare questo suo celeberrimo prodotto a 10 animali che si trovano a rischio d'estinzione.
Quindi, il coccodrillo verde, lo storico logo del marchio, si fa un po' da parte e cede il suo posto sulla parte laterale della maglietta, con ciascuna delle 10 specie protette prescelte.
È prevista una tiratura limitata, i cui proventi della vendita, già sold out, sono destinati a Save Our Species, organizzazione che opera proprio nella salvaguardia degli animali.
L'obiettivo sarà poi quello di instaurare una partnership con la IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura).
Così, al posto del rettile verde presente sul modello più classico di questa polo, quella bianca (prodotta nel 1933 per celebrare il tennista francese Renè Lacoste ), è possibile vedere un grazioso simbolo rappresentante un animaletto che supporta moralmente ed economicamente un suo simile in difficoltà. Le specie che si daranno il "cambio" sulle magliette per la staffetta della solidarietà sono: Rinoceronte di Giava, Lepilemure settentrionale, Tartaruga rugosa birmana, Condor della California, Kakapo, Vaquita, Iguana di Anegada, Gibbone di Cao Vit, Saola, Tigre di Sumatra.
Li chiamano animali, ma hanno più solidarietà degli umani, almeno di quelli che li hanno ridotti all'estinzione. E anche il coccodrillo cerca di aiutarli.
sabato 10 marzo 2018
L'amore accende il cervello dei ragazzi
Un fenomeno registrato anche negli adulti ma in forma minore. I sentimenti d'amore per una persona cara accendono il cervello dei più giovani.
Che i giovani vivono le emozioni in modo più amplificato ed immediato è cosa risaputa. Ora uno studio dell'IRCCS Medea, in collaborazione con il Polo di Bosisio Parini dello stesso Istituto, con la Fondazione IRCCS Ca' Grande Ospedale Maggiore Policlinico e con l'Università degli Studi di Milano, ha rilevato che l'amore, e in generale ogni stato emotivo, "accende" il cervello dei ragazzi.
Per la ricerca sono stati coinvolti un gruppo di adolescenti di età compresa tra i 14 e i 19 anni, gli è stato chiesto di svolgere due compiti: leggere mentalmente un verbo che descrive un'emozione o leggerne uno che descrive un'azione. In entrambi i casi dovevano immaginare se stessi nella situazione corrispondente. Le risposte sono state "registrate" mediante le risonanze magnetiche e si è visto che immaginare verbi che descrivevano situazioni emotive, come amare oppure odiare una persona cara, causava un incremento di attivazione in aree precise del cervello. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato anche in un gruppo di controllo di adulti, ma in forma significativamente inferiore.
Secondo la responsabile del progetto Barbara Tomasino: "Le zone che si accendono sono quelle in cui viene codificata la consapevolezza emotiva legata alle parti del nostro corpo, come quando aumenta la sudorazione per uno stato d'ansia o accelera il battito cardiaco per la paura".
L'incremento non si registra con verbi che richiamavano azioni, come afferrare o scrivere, o quando i ragazzi erano concentrati a immaginare una situazione emotiva ma con un compito di tipo cognitivo, come individuare una lettera specifica all'interno del verbo.
Quindi: "Non pensare al verbo amare, perché si attivino le aree cerebrali nella decodifica di questa esperienza emotiva, ma occorre immaginare anche le sensazioni corrispondenti all' amore". Lo studio è stato pubblicato su Brain and Cognition e risulta interessante poiché apre la strada verso l'approfondimento di quelle situazioni emotive che spesso si possono esacerbare in alcune psicopatologie nei ragazzi.
Dovremmo imparare dai giovani! Far accendere il nostro cervello quando si è in presenza dell' amore, poiché è dimostrato che l'una non esclude l'altra.
Che i giovani vivono le emozioni in modo più amplificato ed immediato è cosa risaputa. Ora uno studio dell'IRCCS Medea, in collaborazione con il Polo di Bosisio Parini dello stesso Istituto, con la Fondazione IRCCS Ca' Grande Ospedale Maggiore Policlinico e con l'Università degli Studi di Milano, ha rilevato che l'amore, e in generale ogni stato emotivo, "accende" il cervello dei ragazzi.
Per la ricerca sono stati coinvolti un gruppo di adolescenti di età compresa tra i 14 e i 19 anni, gli è stato chiesto di svolgere due compiti: leggere mentalmente un verbo che descrive un'emozione o leggerne uno che descrive un'azione. In entrambi i casi dovevano immaginare se stessi nella situazione corrispondente. Le risposte sono state "registrate" mediante le risonanze magnetiche e si è visto che immaginare verbi che descrivevano situazioni emotive, come amare oppure odiare una persona cara, causava un incremento di attivazione in aree precise del cervello. Lo stesso fenomeno è stato riscontrato anche in un gruppo di controllo di adulti, ma in forma significativamente inferiore.
Secondo la responsabile del progetto Barbara Tomasino: "Le zone che si accendono sono quelle in cui viene codificata la consapevolezza emotiva legata alle parti del nostro corpo, come quando aumenta la sudorazione per uno stato d'ansia o accelera il battito cardiaco per la paura".
L'incremento non si registra con verbi che richiamavano azioni, come afferrare o scrivere, o quando i ragazzi erano concentrati a immaginare una situazione emotiva ma con un compito di tipo cognitivo, come individuare una lettera specifica all'interno del verbo.
Quindi: "Non pensare al verbo amare, perché si attivino le aree cerebrali nella decodifica di questa esperienza emotiva, ma occorre immaginare anche le sensazioni corrispondenti all' amore". Lo studio è stato pubblicato su Brain and Cognition e risulta interessante poiché apre la strada verso l'approfondimento di quelle situazioni emotive che spesso si possono esacerbare in alcune psicopatologie nei ragazzi.
Dovremmo imparare dai giovani! Far accendere il nostro cervello quando si è in presenza dell' amore, poiché è dimostrato che l'una non esclude l'altra.
venerdì 9 marzo 2018
Creato il gel che rigenera le cellule del cuore
Arriva dal Politecnico di Torino la ricerca premiata dall'Ue perché da: "Nuove speranze per il dopo-infarto".
È tutto italiano lo studio che ha portato alla creazione di un gel, che iniettato nel cuore, fa rinascere le cellule morte con l'infarto. Preparato in laboratorio è composto da plastiche biodegradabili e compatibili con tessuti umani.
Una scoperta entusiasmante che è stata premiata dall'Unione Europea con l'Erc, uno dei suoi riconoscimenti più prestigiosi che si concretizzano con due milioni di euro da usare per proseguire la ricerca per ulteriori 5 anni, durante i quali è prevista la sperimentazione in vitro su un cuore umano.
All'indomani della Festa Internazionale della Donna, la ricerca si arricchisce di ulteriore interesse, poiché è donna anche la sua coordinatrice, Valeria Chiano, 42enne ligure, con un dottorato in Ingegneria dei Tessuti, è professoressa associata del Politecnico di Torino.
La stessa spiega: "Quello del miocardio è, insieme con quello del cervello, uno dei tessuti più difficili da rigenerare e le patologie di cui soffre sono tra le più invalidanti. Occuparsi di questo tema così complicato è per me molto affascinante. Dopo l'infarto circa un miliardo di cellule responsabili del pompaggio del cuore muoiono e al loro posto rimane una cicatrice, compodta dai fibroblasti, più rigida, che causa in chi sopravvive insufficcienze cardiache che nei casi più gravi rendono necessario il trapianto".
Sono aspetti della medicina rigenerativa in cui si inseriscono diversi filoni di ricerca, tra cui pure l'intuizione della Chiano: "Ci sono studi sulle cellule staminali ma finora hanno dato risultati incerti e l'uso di impalcature 3D per inserire le nuove cellule nel cuore, ma non sempre attecchiscono". La novità del gel creato che lei e i suoi collaboratori consiste nel tentativo di riportare il cuore alla stessa funzionalità che aveva prima dell'infarto. Si cerca di riprogrammare direttamente le cellule in modo da trasformare i fibroblasti, le cellule morte, in cardiomiotici, cellule capaci di nuovo di contrarsi. Con il gel s'interviene direttamente nelle cellule, le sue nanoparticelle dovrebbero riuscire a favorire la riprogrammazione delle cellule morte per farle "resuscitare".
Con il gel che rigenera le cellule del cuore, siamo agli albori di una nuova rivoluzione scientifica che oltre a portare lustro al mondo della medicina italiana, ridà anche speranze alle tante persone che vengono colpite da infarto.
È tutto italiano lo studio che ha portato alla creazione di un gel, che iniettato nel cuore, fa rinascere le cellule morte con l'infarto. Preparato in laboratorio è composto da plastiche biodegradabili e compatibili con tessuti umani.
Una scoperta entusiasmante che è stata premiata dall'Unione Europea con l'Erc, uno dei suoi riconoscimenti più prestigiosi che si concretizzano con due milioni di euro da usare per proseguire la ricerca per ulteriori 5 anni, durante i quali è prevista la sperimentazione in vitro su un cuore umano.
All'indomani della Festa Internazionale della Donna, la ricerca si arricchisce di ulteriore interesse, poiché è donna anche la sua coordinatrice, Valeria Chiano, 42enne ligure, con un dottorato in Ingegneria dei Tessuti, è professoressa associata del Politecnico di Torino.
La stessa spiega: "Quello del miocardio è, insieme con quello del cervello, uno dei tessuti più difficili da rigenerare e le patologie di cui soffre sono tra le più invalidanti. Occuparsi di questo tema così complicato è per me molto affascinante. Dopo l'infarto circa un miliardo di cellule responsabili del pompaggio del cuore muoiono e al loro posto rimane una cicatrice, compodta dai fibroblasti, più rigida, che causa in chi sopravvive insufficcienze cardiache che nei casi più gravi rendono necessario il trapianto".
Sono aspetti della medicina rigenerativa in cui si inseriscono diversi filoni di ricerca, tra cui pure l'intuizione della Chiano: "Ci sono studi sulle cellule staminali ma finora hanno dato risultati incerti e l'uso di impalcature 3D per inserire le nuove cellule nel cuore, ma non sempre attecchiscono". La novità del gel creato che lei e i suoi collaboratori consiste nel tentativo di riportare il cuore alla stessa funzionalità che aveva prima dell'infarto. Si cerca di riprogrammare direttamente le cellule in modo da trasformare i fibroblasti, le cellule morte, in cardiomiotici, cellule capaci di nuovo di contrarsi. Con il gel s'interviene direttamente nelle cellule, le sue nanoparticelle dovrebbero riuscire a favorire la riprogrammazione delle cellule morte per farle "resuscitare".
Con il gel che rigenera le cellule del cuore, siamo agli albori di una nuova rivoluzione scientifica che oltre a portare lustro al mondo della medicina italiana, ridà anche speranze alle tante persone che vengono colpite da infarto.
Bradona, dove i reggiseni si appendono come lucchetti
In Nuova Zelanda c'è un posto famoso perché si appendono i reggiseni come gesto d'amore verso se stesse.
Il libro cult, degli adolescenti, "Tre metri sopra il cielo" ha lanciato in Italia qualche anno fa, la moda di giurarsi amore eterno appendendo un lucchetto a Ponte Milvio a Roma. In Nuova Zelanda, invece, già da tempo esiste Bradona, un luogo simbolo, delimitato da una recinzione dove non si appendono promesse d'amore, ma uno degli oggetti simbolo della femminilità: il reggiseno.
Riprendendo l'idea del 1969 quando, le femministe bruciavano questo capo d'abbigliamento per protestare contro gli stereotipi con cui si contornava l'universo femminile, dal Natale 1998, a Cardrona, in Central Otago, appunto in Nuova Zelanda, il reggiseno lo si lascia appeso al vento sul filo spinato.
I primi reggiseni furono lasciati lì per gioco daun gruppo di amiche, che con il loro gesto provocarono parecchio scalpore in paese, tanto da suscitare un'ordinanza di sgombero. Ma più i reggiseni venivano rimossi e più ne venivano riappesi.
Nel 2000 ne sono stati rimossi oltre 200. Nel 2006 per volontà del Consiglio del Distretto dei luoghi di Queenstown, ne sono stati rimossi oltre mille. Ma i reggiseni sono sempre tornati e ormai sono diventati un'attrazione turistica, e alla fine hanno intascato il benestare della comunità.
Il "Bradona" è così diventato un fenomeno conosciuto in tutto il mondo. Promuovendosi non solo ad un luogo di protesta, ma anche di solidarietà e sensibilizzazione sulla lotta contro il cancro al seno.
Quest'anno Bradona compie vent'anni. Al centro della recinzione sono stati piazzati un busto di donna e una casetta delle donazioni, con il fiocchetto rosa, devoluti alla ricerca e alla medicina preventiva. Inoltre è stata organizzata anche un'asta di beneficenza, grazie al quale si sono raccolti 10 mila dollari.
Bradona è diventata quindi un simbolo non solo per il luogo. Quella linea di filo spinato è la linea che demerca la fine dei pregiudizi verso le donne, che prima li appende al chiodo e poi li lascia andare, mossi dal vento.
Il libro cult, degli adolescenti, "Tre metri sopra il cielo" ha lanciato in Italia qualche anno fa, la moda di giurarsi amore eterno appendendo un lucchetto a Ponte Milvio a Roma. In Nuova Zelanda, invece, già da tempo esiste Bradona, un luogo simbolo, delimitato da una recinzione dove non si appendono promesse d'amore, ma uno degli oggetti simbolo della femminilità: il reggiseno.
Riprendendo l'idea del 1969 quando, le femministe bruciavano questo capo d'abbigliamento per protestare contro gli stereotipi con cui si contornava l'universo femminile, dal Natale 1998, a Cardrona, in Central Otago, appunto in Nuova Zelanda, il reggiseno lo si lascia appeso al vento sul filo spinato.
I primi reggiseni furono lasciati lì per gioco daun gruppo di amiche, che con il loro gesto provocarono parecchio scalpore in paese, tanto da suscitare un'ordinanza di sgombero. Ma più i reggiseni venivano rimossi e più ne venivano riappesi.
Nel 2000 ne sono stati rimossi oltre 200. Nel 2006 per volontà del Consiglio del Distretto dei luoghi di Queenstown, ne sono stati rimossi oltre mille. Ma i reggiseni sono sempre tornati e ormai sono diventati un'attrazione turistica, e alla fine hanno intascato il benestare della comunità.
Il "Bradona" è così diventato un fenomeno conosciuto in tutto il mondo. Promuovendosi non solo ad un luogo di protesta, ma anche di solidarietà e sensibilizzazione sulla lotta contro il cancro al seno.
Quest'anno Bradona compie vent'anni. Al centro della recinzione sono stati piazzati un busto di donna e una casetta delle donazioni, con il fiocchetto rosa, devoluti alla ricerca e alla medicina preventiva. Inoltre è stata organizzata anche un'asta di beneficenza, grazie al quale si sono raccolti 10 mila dollari.
Bradona è diventata quindi un simbolo non solo per il luogo. Quella linea di filo spinato è la linea che demerca la fine dei pregiudizi verso le donne, che prima li appende al chiodo e poi li lascia andare, mossi dal vento.
giovedì 8 marzo 2018
Gli occhi specchio della salute futura
Gli organi deputati alla vista sono anche gli indicatori della memoria futura, indicano i danni vascolari. Se mostrano danni al microcircolo cerebrale possono compromettere le funzioni mnemoniche.
Gli occhi non solo sono "lo specchio dell'anima" ma svelano anche eventuali problemi di memoria: se a 60 anni mostrano danni a carico dei piccoli vasi (microcircolo) sanguigni della retina è più probabile che 20 anni compariranno difficoltà a ricordare, in poche parole, al declino cognitivo.
È l'ultima sorprendente scoperta di un team di studiosi, coordinato da Jennifer Deal, della Johns Hopkins University a Baltimora. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Neurology.
L'input alla ricerca è stato dato dal fatto che danni al microcircolo cerebrale, tutt'oggi ancora difficilmente visibili con le metodiche attualmente in uso, possono compromettere le funzioni mnemoniche e che i piccoli vasi del cervello, sono anatomicamente molto simili a quelli fella retina.
Per la ricerca gli esperti hanno coinvolto oltre 12 mila partecipanti di età media 60 anni, la cui retina è stata scannerizzata con una speciale fotocamera all'inizio dello studio. La loro memoria è stata misurata a più riprese dall'inizio dello studio fino a 20 anni dopo. Dalle osservazioni dei dati è emerso che inizialmente presentava segni di retinopatia (danni vascolari della retina), 20 anni dopo era molto più probabile che soffrisse di defaillance di memoria e di declino cognitivo.
Gli occhi quindi non mostrano solo come siamo, ma indicano anche come saremo in futuro, in salute.
Gli occhi non solo sono "lo specchio dell'anima" ma svelano anche eventuali problemi di memoria: se a 60 anni mostrano danni a carico dei piccoli vasi (microcircolo) sanguigni della retina è più probabile che 20 anni compariranno difficoltà a ricordare, in poche parole, al declino cognitivo.
È l'ultima sorprendente scoperta di un team di studiosi, coordinato da Jennifer Deal, della Johns Hopkins University a Baltimora. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Neurology.
L'input alla ricerca è stato dato dal fatto che danni al microcircolo cerebrale, tutt'oggi ancora difficilmente visibili con le metodiche attualmente in uso, possono compromettere le funzioni mnemoniche e che i piccoli vasi del cervello, sono anatomicamente molto simili a quelli fella retina.
Per la ricerca gli esperti hanno coinvolto oltre 12 mila partecipanti di età media 60 anni, la cui retina è stata scannerizzata con una speciale fotocamera all'inizio dello studio. La loro memoria è stata misurata a più riprese dall'inizio dello studio fino a 20 anni dopo. Dalle osservazioni dei dati è emerso che inizialmente presentava segni di retinopatia (danni vascolari della retina), 20 anni dopo era molto più probabile che soffrisse di defaillance di memoria e di declino cognitivo.
Gli occhi quindi non mostrano solo come siamo, ma indicano anche come saremo in futuro, in salute.
Sorvegliano pianta di mimosa tutta la notte, i ladri comunque riescono a depredarla
Iniziativa a Mestre contro gli ambulanti illegali che vendono fiori. L'operazione di sorveglianza fallisce.
Storie del genere si sentivano raccontare dai nostri nonni, che dopo le guerre hanno esperito la fame e la mancanza di reperibilità di materie prime alimentari e per questo dovevano "guardarsi" le piante da frutta da eventuali, molto probabili ladri.
Eppure, ancora oggi, nella modernissima Mestre è andata in scena una vignetta analoga. Un gruppo di cittadini ha sorvegliato per tutta la notte, dandosi il cambio, una pianta di mimosa, per evitare che venisse depredata dei suoi rametti gialli, in vista della Giornata della Donna.
Attenzione e buona volontà che non hanno impedito ai ladri di compiere il furto. Come ci siano comunque riusciti non si sa, ma già alle 6.00 di ieri mattina, l'intero albero di mimosa, piantato tantissimi anni fa e seguito con amore da tutto il quartiere, nel centro della cittadina veneta, l'unico esistente a bordo strada è stato privato dei suoi ramoscelli in fiore, scatenando l'ira di tutti i cittadini.
La notizia prima del presidio notturno e poi del furto a fini sicuramente commerciali ha scatenato la rabbia anche del popolo web. E proprio dai social è partito l'allarme per l'avvenuto misfatto. Infatti, Michele Boato, ambientalista storico di Venezia, ha annunciato tramite la sua pagina Facebook: "Questa mattina alle 6 una banda di squallidi ha distrutto l'albero delle mimose in via Cappuccino a Mestre. Sono stati visti spartirsi rametti. Domani alle 8 si impedisca a questi squallidi di venderceli per strada".
Tanto tempo fa, una pubblicità diceva che "se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto è innamorato"... Coloro che hanno agito a Mestre e hanno depredato l'intera mimosa per poi rivenderla, "sotto sotto, sono dei ladri!".
Storie del genere si sentivano raccontare dai nostri nonni, che dopo le guerre hanno esperito la fame e la mancanza di reperibilità di materie prime alimentari e per questo dovevano "guardarsi" le piante da frutta da eventuali, molto probabili ladri.
Eppure, ancora oggi, nella modernissima Mestre è andata in scena una vignetta analoga. Un gruppo di cittadini ha sorvegliato per tutta la notte, dandosi il cambio, una pianta di mimosa, per evitare che venisse depredata dei suoi rametti gialli, in vista della Giornata della Donna.
Attenzione e buona volontà che non hanno impedito ai ladri di compiere il furto. Come ci siano comunque riusciti non si sa, ma già alle 6.00 di ieri mattina, l'intero albero di mimosa, piantato tantissimi anni fa e seguito con amore da tutto il quartiere, nel centro della cittadina veneta, l'unico esistente a bordo strada è stato privato dei suoi ramoscelli in fiore, scatenando l'ira di tutti i cittadini.
La notizia prima del presidio notturno e poi del furto a fini sicuramente commerciali ha scatenato la rabbia anche del popolo web. E proprio dai social è partito l'allarme per l'avvenuto misfatto. Infatti, Michele Boato, ambientalista storico di Venezia, ha annunciato tramite la sua pagina Facebook: "Questa mattina alle 6 una banda di squallidi ha distrutto l'albero delle mimose in via Cappuccino a Mestre. Sono stati visti spartirsi rametti. Domani alle 8 si impedisca a questi squallidi di venderceli per strada".
Tanto tempo fa, una pubblicità diceva che "se qualcuno ruba un fiore per te, sotto sotto è innamorato"... Coloro che hanno agito a Mestre e hanno depredato l'intera mimosa per poi rivenderla, "sotto sotto, sono dei ladri!".
mercoledì 7 marzo 2018
Rughe: è una questione d'acqua
Uno studio rivela che l'insorgenza delle rughe non è dovuta esclusivamente al collagene che cala con l'età che avanza, né tanto meno sono da imputare alle espressioni, incide molto la disidratazione.
Le rughe sono la storia della nostra vita scritta sulla pelle, eppure non tutti ben le gradiscono, soprattutto perché sono indice dell'età che avanza. C'è chi come la Magnani che le ostentava con orgoglio e chi ricorre alla chirurgia plastica per "distenderle" proprio perché, sono appunto una croce e delizia del tempo. Oggi si scopre che le rughe non dipendono tanto dall'attività facciale o dal livello di collagene, ma dall'idratazione della pelle.
L'idratazione sarebbe il fattore determinante nel loro sviluppo soprattutto per le micro rughe della superficie che possono diventare molto più profonde, più grandi e più visibili quando lo strato più esterno della pelle, diventa più secco. Come può essere a seguito di condizioni ambientali più asciutte, una stanza riscaldata o un volo a lungo raggio.
A far luce su quest'aspetto sono: l'Università di Southampton, in Gran Bretagna, quella sudafricana di Cape Town e la Stanford negli Usa. I loro collaboratori hanno condotto uno studio interculturale che è stato poi pubblicato sulla rivista Soft Matter, avvalendosi di una serie di modelli computerizzati quantitativi per creare caratterizzazioni tridimensionali delle rughe della pelle.
Georges Limbert, il coordinatore dello studio, precisa: "Lo strato più esterno della nostra pelle è composto principalmente da cellule morte legate da lipidi. Questo strato molto sottile svolge un ruolo chiave nel determinare le caratteristiche delle micro rughe della pelle, anche nelle persone più giovani. Con la diminuzione dell'umidità relativa, questo strato esterno diventa più secco e più rigido. Quando questo accade, le micro rughe sulla superficie della pelle, indotte da azioni dei muscoli facciali come il sorriso, diventano molto più profonde, più grandi e quindi più visibili. Ciò può accadere nel giro di poche ore, quindi la risposta immediata è mantenere la pelle "idratata".
Vabbe', a qualcuno le rughe non piacciono. Eppure ognuna di esse parla di noi, sono la traccia dei sorrisi, delle lacrime, degli stupori e delle domande che ci hanno toccato, forse, quindi dovremmo accettarle e portarle con orgoglio e se proprio vogliamo proprio attenuare qualche brutto ricordo, toccherà berci parecchia acqua sopra.
Le rughe sono la storia della nostra vita scritta sulla pelle, eppure non tutti ben le gradiscono, soprattutto perché sono indice dell'età che avanza. C'è chi come la Magnani che le ostentava con orgoglio e chi ricorre alla chirurgia plastica per "distenderle" proprio perché, sono appunto una croce e delizia del tempo. Oggi si scopre che le rughe non dipendono tanto dall'attività facciale o dal livello di collagene, ma dall'idratazione della pelle.
L'idratazione sarebbe il fattore determinante nel loro sviluppo soprattutto per le micro rughe della superficie che possono diventare molto più profonde, più grandi e più visibili quando lo strato più esterno della pelle, diventa più secco. Come può essere a seguito di condizioni ambientali più asciutte, una stanza riscaldata o un volo a lungo raggio.
A far luce su quest'aspetto sono: l'Università di Southampton, in Gran Bretagna, quella sudafricana di Cape Town e la Stanford negli Usa. I loro collaboratori hanno condotto uno studio interculturale che è stato poi pubblicato sulla rivista Soft Matter, avvalendosi di una serie di modelli computerizzati quantitativi per creare caratterizzazioni tridimensionali delle rughe della pelle.
Georges Limbert, il coordinatore dello studio, precisa: "Lo strato più esterno della nostra pelle è composto principalmente da cellule morte legate da lipidi. Questo strato molto sottile svolge un ruolo chiave nel determinare le caratteristiche delle micro rughe della pelle, anche nelle persone più giovani. Con la diminuzione dell'umidità relativa, questo strato esterno diventa più secco e più rigido. Quando questo accade, le micro rughe sulla superficie della pelle, indotte da azioni dei muscoli facciali come il sorriso, diventano molto più profonde, più grandi e quindi più visibili. Ciò può accadere nel giro di poche ore, quindi la risposta immediata è mantenere la pelle "idratata".
Vabbe', a qualcuno le rughe non piacciono. Eppure ognuna di esse parla di noi, sono la traccia dei sorrisi, delle lacrime, degli stupori e delle domande che ci hanno toccato, forse, quindi dovremmo accettarle e portarle con orgoglio e se proprio vogliamo proprio attenuare qualche brutto ricordo, toccherà berci parecchia acqua sopra.
Alberto Mondi: l'italiano star della tv coreana
Un italiano star della tv in Corea del Sud. Nato a Mirano tra le province di Padova e Venezia.
Alberto Mondi, 33enne nato a Mirano, laureato in lingue orientali alla Ca' Foscari, piccolo borgo a metà tra Padova e Venezia, è una delle star televisive più amate in Corea del Sud.
La sua somiglia tanto ad una favola moderna. Trasferitosi in Corea per amore (la sua fidanzata è di Seul) e per maggiori sbocchi professionali, dapprima trova impiego in una multinazionale della birra e poi per FCA. Qui lo nota un ex cliente che lo presenta ad un produttore televisivo che proprio in quei giorni cercava volti stranieri per un programma.
Alberto viene subito preso e comincia quest'esperienza pensando che fosse un'avventura di una sola giornata. Invece, il provino si trasforma in tre anni di puntate, che lo fanno conoscere ed amare dal pubblico coreano. D'allora sono passati dieci anni e oggi Alberto è uno dei più noti conduttori televisivi in Corea del Sud. È vicepresidente della Camera di Commercio italo-coreana e nel frattempo ha avuto pure il tempo di diventare papà di uno splendido bambino che ha chiamato Leonardo.
Recentemente lo abbiamo visto pure noi in tv durante le Olimpiadi di Pyongchang. Nella marcia di avvicinamento ai giochi olimpici invernali, ha avuto l'onore di portare la torcia olimpica. Ormai ha abbracciato la causa e gli interessi del suo Paese adottivo ed in merito al pericolo Kim Jong-un dichiara: "È solo un problema di relazioni internazionali, ma al di là delle provocazioni qui siamo al sicuro". In effetti i rapporti tra i leader delle due Coree sembrano essersi molto distesi.
Le pagine della storia della televisione coreana, con Alberto, si sono arricchite con la favola moderna di un bravo ed istruito ragazzo italiano che si è fatto apprezzare nel mondo grazie alle sue capacità intellettive e poi perché no, anche estetiche.
Alberto Mondi, 33enne nato a Mirano, laureato in lingue orientali alla Ca' Foscari, piccolo borgo a metà tra Padova e Venezia, è una delle star televisive più amate in Corea del Sud.
La sua somiglia tanto ad una favola moderna. Trasferitosi in Corea per amore (la sua fidanzata è di Seul) e per maggiori sbocchi professionali, dapprima trova impiego in una multinazionale della birra e poi per FCA. Qui lo nota un ex cliente che lo presenta ad un produttore televisivo che proprio in quei giorni cercava volti stranieri per un programma.
Alberto viene subito preso e comincia quest'esperienza pensando che fosse un'avventura di una sola giornata. Invece, il provino si trasforma in tre anni di puntate, che lo fanno conoscere ed amare dal pubblico coreano. D'allora sono passati dieci anni e oggi Alberto è uno dei più noti conduttori televisivi in Corea del Sud. È vicepresidente della Camera di Commercio italo-coreana e nel frattempo ha avuto pure il tempo di diventare papà di uno splendido bambino che ha chiamato Leonardo.
Recentemente lo abbiamo visto pure noi in tv durante le Olimpiadi di Pyongchang. Nella marcia di avvicinamento ai giochi olimpici invernali, ha avuto l'onore di portare la torcia olimpica. Ormai ha abbracciato la causa e gli interessi del suo Paese adottivo ed in merito al pericolo Kim Jong-un dichiara: "È solo un problema di relazioni internazionali, ma al di là delle provocazioni qui siamo al sicuro". In effetti i rapporti tra i leader delle due Coree sembrano essersi molto distesi.
Le pagine della storia della televisione coreana, con Alberto, si sono arricchite con la favola moderna di un bravo ed istruito ragazzo italiano che si è fatto apprezzare nel mondo grazie alle sue capacità intellettive e poi perché no, anche estetiche.
martedì 6 marzo 2018
Delilah e Caroline, le gemelline di un anno maltrattate. L'infermiera dell'ospedale le adotta
Usa. Hanno appena un anno, ma nella vita avevano conosciuto solo abusi e violenze. Tutto è cambiato quando sono state ricoverate, fortemente denutrite e con diverse fratturevarrivano all'ospedale di Jacksonville in Florida. Da qui la loro vita cambia.
Quella di Delilah e Caroline è una di quelle storie di cui è meglio parlare del finale. Un lieto fine abbellito dalla luce e dall'amore che un'infermiera, Jess Hamm ha riscritto loro, adottandole.
Le due gemelline, di appena un anno, erano state picchiate e maltrattate così violentemente che fu necessario trasportarle all'Ospedale di Jacksonville, in Florida. I medici hanno subito diagnosticato diverse fratture e una grave denutrizione, sintomo che non solo erano state picchiate ma che i genitori non se ne prendevano proprio cura, le bimbe stavano vivendo in uno stato di abbandono.
Quando erano ricoverate ha prestato loro soccorso, l'infermiera Jess Hamm. Vede prima Delilah che è in terapia intensiva e ricorda: "Avevo il cuore a pezzi, era senza forza, ma si aggrappava alle mie dita". Poi la scoperta che c'era anche la sorellina gemella. Dall'amore per il lavoro Jess è passata all'amore per quelle due bimbette tanto da decidere di rivolgersi a un centro per le adozioni. Per capire se poteva prendersi cura lei di quelle due bambine. Ha iniziato un lungo iter e oggi le ha adottate entrambe.
D'altronde, il suo sogno era sempre stato quello di diventare mamma. Sul suo cammino, in ospedale, le è arrivata l'opportunità non solo di avverare il suo desiderio, ma anche quello di dare una famiglia e una nuova vita, ricca di amore come ogni bambino meriterebbe, alle due gemelline.
Quella di Delilah e Caroline è una di quelle storie di cui è meglio parlare del finale. Un lieto fine abbellito dalla luce e dall'amore che un'infermiera, Jess Hamm ha riscritto loro, adottandole.
Le due gemelline, di appena un anno, erano state picchiate e maltrattate così violentemente che fu necessario trasportarle all'Ospedale di Jacksonville, in Florida. I medici hanno subito diagnosticato diverse fratture e una grave denutrizione, sintomo che non solo erano state picchiate ma che i genitori non se ne prendevano proprio cura, le bimbe stavano vivendo in uno stato di abbandono.
Quando erano ricoverate ha prestato loro soccorso, l'infermiera Jess Hamm. Vede prima Delilah che è in terapia intensiva e ricorda: "Avevo il cuore a pezzi, era senza forza, ma si aggrappava alle mie dita". Poi la scoperta che c'era anche la sorellina gemella. Dall'amore per il lavoro Jess è passata all'amore per quelle due bimbette tanto da decidere di rivolgersi a un centro per le adozioni. Per capire se poteva prendersi cura lei di quelle due bambine. Ha iniziato un lungo iter e oggi le ha adottate entrambe.
D'altronde, il suo sogno era sempre stato quello di diventare mamma. Sul suo cammino, in ospedale, le è arrivata l'opportunità non solo di avverare il suo desiderio, ma anche quello di dare una famiglia e una nuova vita, ricca di amore come ogni bambino meriterebbe, alle due gemelline.
"Il saluto fascista non è reato se solo per commemorare"
Sentenza di Cassazione. Per i giudici, può essere considerato una libera "manifestazione del pensiero".
Il saluto romano non è reato se ha intento commemorativo e non violento. Anzi, se agito in questi termini può essere considerato una libera "manifestazione del pensiero" e non un attentato concreto alla tenuta dell'ordine democratico.
Con tale motivazione, la Cassazione ha definitivamente assolto due manifestanti che durante una commemorazione organizzata a Milano nel 2014 da esponenti di Fratelli d'Italia, avevano alzato il braccio destro facendo il saluto fascista per rispondere alla "chiamata del presente". Una "leggerezza" che gli era valsa un'imputazione per "concorso in manifestazione fascista", reato previsto all'articolo 5 della legge Scelba.
Invece, la Cassazione ha respinto il ricorso confermando le decisioni del Gup e della Corte d'Appello di Milano. Aggiungendo che: "La legge non punisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostruzione di organizzazione fascista e i gesti e le espressioni "idonei a provocare adesioni e consensi".
Intenzione che non appartenevano al saluto romano degli imputati che quindi non è stato giudicato reato. Per i giudici il gesto aveva una natura puramente commemorativa della manifestazione del corteo, organizzato in onore di tre militanti morti, senza "alcun intento restaurativo del regime fascista".
Inoltre, per argomentare la decisione, la Cassazione chiama in causa altri esempi in cui al contrario, vanno ravvisati gli estremi del reato di manifestazione fascista: è il caso di chi intona "all'armi siamo fascisti" considerata una professione di fede e un incitamento alla violenza, o di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale.
Mentre anche in un precedente identico, la stessa Cassazione aveva sottolineato che il reato previsto dalla legge Scelba "è reato in pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attesa la libertà garantita dall'articolo 21 della Costituzione, ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambito in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi".
La sentenza della Cassazione, legittima per quanto sia, mi ricorda tanto quel detto secondo cui la cattiveria è in chi guarda. Che come dire, non è il gesto in sé ma le intenzioni di chi guarda e poi interpreta.
Il saluto romano non è reato se ha intento commemorativo e non violento. Anzi, se agito in questi termini può essere considerato una libera "manifestazione del pensiero" e non un attentato concreto alla tenuta dell'ordine democratico.
Con tale motivazione, la Cassazione ha definitivamente assolto due manifestanti che durante una commemorazione organizzata a Milano nel 2014 da esponenti di Fratelli d'Italia, avevano alzato il braccio destro facendo il saluto fascista per rispondere alla "chiamata del presente". Una "leggerezza" che gli era valsa un'imputazione per "concorso in manifestazione fascista", reato previsto all'articolo 5 della legge Scelba.
Invece, la Cassazione ha respinto il ricorso confermando le decisioni del Gup e della Corte d'Appello di Milano. Aggiungendo che: "La legge non punisce tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostruzione di organizzazione fascista e i gesti e le espressioni "idonei a provocare adesioni e consensi".
Intenzione che non appartenevano al saluto romano degli imputati che quindi non è stato giudicato reato. Per i giudici il gesto aveva una natura puramente commemorativa della manifestazione del corteo, organizzato in onore di tre militanti morti, senza "alcun intento restaurativo del regime fascista".
Inoltre, per argomentare la decisione, la Cassazione chiama in causa altri esempi in cui al contrario, vanno ravvisati gli estremi del reato di manifestazione fascista: è il caso di chi intona "all'armi siamo fascisti" considerata una professione di fede e un incitamento alla violenza, o di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale.
Mentre anche in un precedente identico, la stessa Cassazione aveva sottolineato che il reato previsto dalla legge Scelba "è reato in pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attesa la libertà garantita dall'articolo 21 della Costituzione, ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento ed all'ambito in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi".
La sentenza della Cassazione, legittima per quanto sia, mi ricorda tanto quel detto secondo cui la cattiveria è in chi guarda. Che come dire, non è il gesto in sé ma le intenzioni di chi guarda e poi interpreta.
lunedì 5 marzo 2018
Newcotiona: dal tabacco i farmaci del futuro
È un progetto europeo che si propone di creare le future fabbriche di farmaci dal tabacco. Coinvolta anche l'Italia.
Per anni messo sotto accusa per il suo ruolo nelle malattie legate al fumo, ora il tabacco si appresta a vivere nuova vita e diviene quasi un alleato della salute. Infatti il Newcotiona, un progetto europeo, prevede di riuscir a produrre grazie ad esso farmaci e cosmetici.
È un'iniziativa internazionale che coinvolge 8 Paesi più l'Italia, l'Italia partecipa con l'Enea, e in tutto sono chiamati in causa 19 istituti di ricerca e aziende, coordinati dall'Istituto di Biologia Molecolare e Cellulare del Consiglio delle Ricerche Spagnolo.
La prima tappa sarà quella di modificare i geni del tabacco che controllano la produzione della nicotina mediante una tecnica, detta Crispr. Si potrà così indurli a produrre piccole molecole della stessa famiglia cioè degli alcaloidi, che però abbiano un interesse farmacologico. Dal Centro Ricerche dell'Enea alla Cosacio, vicino Roma, fanno sapere: "Puntiamo a ottenere molecole utili nella cura di malattie come sclerosi multipla e Alzheimer", ma si prevede anche di ottenere molecole utili per cosmetici e vaccini. Dal tabacco è possibile ricavare anche vitamine, come lì, precedentemente era stato fatto per creare "la patata d'oro" ricchissima di vitamine A ed E.
Gli esperimenti sono puntati soprattutto su due specie di tabacco: quella comunemente coltivata, la Nicotiona tabacum, e la sua cugina selvatica australiana, la Nicotiona benthamiana. Scelte grazie alle loro peculiari caratteristiche che le rendono ideali: i loro tessuti si rigenerano facilmente, sono altamente produttive e il loro Dna si presta a essere modificato.
Quando poi, si sarà trasformato il tabacco in una fabbrica di molecole al servizio della salute, si dovrà coinvolgere gli agricoltori nella coltivazione delle piante ottenute. E non è così scontato che accettino di buon grado. Poiché la coltivazione del tabacco è da anni in crisi proprio per i problemi legati al fumo. Mentre in tante altre parti del mondo è stato già prodotto dal tabacco a farmaco sperimentale contro il virus Ebola ed è stato dimostrato che è possibile far produrre alla pianta una proteina da usare come antivirale contro l'HIV.
Il tabacco quindi si appresta a diventare "buono" e sinceramente ci piace più in questa veste di fabbrica di molecole per la salute.
Per anni messo sotto accusa per il suo ruolo nelle malattie legate al fumo, ora il tabacco si appresta a vivere nuova vita e diviene quasi un alleato della salute. Infatti il Newcotiona, un progetto europeo, prevede di riuscir a produrre grazie ad esso farmaci e cosmetici.
È un'iniziativa internazionale che coinvolge 8 Paesi più l'Italia, l'Italia partecipa con l'Enea, e in tutto sono chiamati in causa 19 istituti di ricerca e aziende, coordinati dall'Istituto di Biologia Molecolare e Cellulare del Consiglio delle Ricerche Spagnolo.
La prima tappa sarà quella di modificare i geni del tabacco che controllano la produzione della nicotina mediante una tecnica, detta Crispr. Si potrà così indurli a produrre piccole molecole della stessa famiglia cioè degli alcaloidi, che però abbiano un interesse farmacologico. Dal Centro Ricerche dell'Enea alla Cosacio, vicino Roma, fanno sapere: "Puntiamo a ottenere molecole utili nella cura di malattie come sclerosi multipla e Alzheimer", ma si prevede anche di ottenere molecole utili per cosmetici e vaccini. Dal tabacco è possibile ricavare anche vitamine, come lì, precedentemente era stato fatto per creare "la patata d'oro" ricchissima di vitamine A ed E.
Gli esperimenti sono puntati soprattutto su due specie di tabacco: quella comunemente coltivata, la Nicotiona tabacum, e la sua cugina selvatica australiana, la Nicotiona benthamiana. Scelte grazie alle loro peculiari caratteristiche che le rendono ideali: i loro tessuti si rigenerano facilmente, sono altamente produttive e il loro Dna si presta a essere modificato.
Quando poi, si sarà trasformato il tabacco in una fabbrica di molecole al servizio della salute, si dovrà coinvolgere gli agricoltori nella coltivazione delle piante ottenute. E non è così scontato che accettino di buon grado. Poiché la coltivazione del tabacco è da anni in crisi proprio per i problemi legati al fumo. Mentre in tante altre parti del mondo è stato già prodotto dal tabacco a farmaco sperimentale contro il virus Ebola ed è stato dimostrato che è possibile far produrre alla pianta una proteina da usare come antivirale contro l'HIV.
Il tabacco quindi si appresta a diventare "buono" e sinceramente ci piace più in questa veste di fabbrica di molecole per la salute.