Spinto anche da YouTube e serie tv l'uso del dialetto è sempre più in ascesa e soprattutto tra i giovani. C'è chi, come il prof. Regis lo propone come patrimonio immateriale di grande importanza.
È vero alcune frasi, dette in dialetto, rendono più l'idea e chiariscono decisamente meglio il concetto. Così la pensano anche i giovani. Il dialetto torna di moda e sei giovani su dieci dichiarano di utilizzarlo abitualmente e ammettono di essere incuriositi da quello delle altre regioni. Lo ha scoperto a causa di un'indagine di mercato, uno studio di Baci Perugina commissionato per il lancio di una edizione speciale di "Parla come...Baci", in veste della quale i famosi cioccolatini conterranno frasi in dialetto.
L'indagine è stata condotta su un campione di 3.500 italiani, aventi un'età compresa tra i 18 e i 65 anni, ai quali è stato chiesto che ruolo abbia il dialetto nella loro vita. Il 67% degli "incuriositi dal dialetto" hanno detto di volerlo imparare "per rafforzare il legame con la propria famiglia", e il 42% si è detto incuriosito dai dialetti di altre regioni.
Sempre secondo l'indagine, le espressioni dialettali più amate dagli italiani, sono in tutto dieci e sono: 1) Jamm bell (napoletano), 2) Daye (romano), 3) Talè (siciliano), 4) Va a ciapà i ratt (milanese), 5) Belin (genovese), 6) Mo' (pugliese), 7) Magna e tasi (veneto), 8) Gimo cocchi (perugino), 9) Fuma c'anduma? (piemontese), 10) Mi garba (toscano).
Le persone sono incuriosite dal dialetto soprattutto per scoprire il significato e la storia di alcune espressioni tipiche (59%), che col passare del tempo su sta smarrendo. Poi c'è la volontà di andare a conoscere un fenomeno che ultimamente si sta sviluppando su internet (51%). Infatti, online spopolano youtuber, influencer e pagine Facebook e Instagram interamente dedicati a questo tema. E in particolare, sono proprio Facebook e YouTube a lanciare e usare sempre nuovi personaggi che si esprimono in dialetto.
Le pagine più note in merito sono: Inchiostro di Puglia, Aforismi romani, Il terrone imbruttito e Proverbi milanesi.
Riccardo Regis, professore associato di Dialettologia Italiana all'Università degli Studi di Torino, sottolinea: "È importante che i giovani mantengono l'uso del dialetto, in quanto le lingue locali rappresentano un patrimonio culturale rilevantissimo. I dialetti, infatti, costituiscono un patrimonio immateriale di grandissimo rilievo che può aiutarci a meglio interpretare la realtà circostante, dalle tradizioni locali ai nomi di luogo. Se in molti casi i ragazzi utilizzano forme dialettali appartenenti ad altre realtà, ciò è dovuto alla forza di diffusione dei media. Rispetto al passato il futuro del dialetto è da consuderarsi più roseo, essendosi ormai stabilizzato, secondo i dati Istat, l'uso congiunto di italiano e dialetto in famiglia".
L'unione di un Paese passa anche per la lingua, che dev'essere la stessa per tutti e condivisa. Se i dialetti sono delle microlingue che possono servire ad unire tutti quelli che vogliono imparare a conoscerle ed usarle, ben vengano!
Notizie curiose, psicologia, cultura, arte ed attualità,articoli interessanti e mai pesanti.
giovedì 30 novembre 2017
A Natale, regalate Melegatti
L'azienda veronese che ha brevettato il pandoro rischia la chiusura. I suoi dipendenti si mobilitano riuscendo a far arrivare i fornitori, ora tocca a noi.
Tra le tante sfumature di colore esistenti, la più bella è sicuramente quella della solidarietà. Per esserne toccati basta volerlo. Ora a chiedere aiuto, e a dir il vero lo chiedevano da diversi mesi, sono i dipendenti della Melegatti. La storica azienda che ha brevettato il celebre dolce natalizio si trova sull'orlo del baratro.
Da mesi i dipendenti non ricevono lo stipendio e per mesi i due stabilimenti situati nel veronese, quello classico di San Giovanni Lupatato e quello nuovo di San Martino Buon Albergo sono rimasti chiusi perché la produzione era bloccata.
Secondo Paola Salvi, segretario della Flai Cgil di Verona che si sta occupando del caso Melegatti: "Tutto parte da diverse scelte strategiche sbagliate. Decisioni prese dagli attuali vertici delle società che hanno mandato in rosso i conti, tanto da non poter pagare gli stipendi agli operai e le materie prime ai fornitori". In particolare, lo sbaglio più grande viene imputato alla società, quando a Febbraio dell'anno scorso, ha aperto uno stabilimento a San Martino Buon Albergo per produrre merendine.
È vero che non si può puntare soltato sul periodo natalizio, ma l'azienda ha deciso di avviare la produzione di brioche e per fare questo ha dovuto comprare macchinari molto costosi ed assumere nuovo personale, con ingenti risorse economiche, molto superiori a quelle che in realtà Melegatti possedeva.
I soldi per aprir la nuova fabbrica sono arrivati con un prestito di circa 15 milioni di euro e quando le banche hanno voluto indietro la somma, l'azienda non è riuscita a rientrare nelle spese, e si è "vista costretta" a non poter pagare più lavoratori e fornitori.
Ora, sono oltre 250 i lavoratori, tra dipendenti e stagionali che rischiano di rimanere senza occupazione. Così, mentre l'iter burocratico e legale fa il suo percorso, gli stessi si sono mobilitati per trovare una soluzione al problema.
Grazie ad un fondo hanno pagato materie prime e bollette. Da qualche giorno lo stabilimento ha ripreso a funzionare e fino al 10 Dicembre continua la campagna natalizia che consente al brand dolciario di essere sugli scaffali della grande distribuzione per le prossime festività.
Ora tocca a noi! Si devono comprare i pandori Melegatti. Sicuramente i dipendenti passeranno un Natale più sereno e magari si potrà continuare la produzione regolarmente. E poi è Natale, il periodo delle storie felici, a lieto fine; far chiudere l'azienda che nel 1894 ha brevettato il pandoro, sarebbe davvero un peccato.
Tra le tante sfumature di colore esistenti, la più bella è sicuramente quella della solidarietà. Per esserne toccati basta volerlo. Ora a chiedere aiuto, e a dir il vero lo chiedevano da diversi mesi, sono i dipendenti della Melegatti. La storica azienda che ha brevettato il celebre dolce natalizio si trova sull'orlo del baratro.
Da mesi i dipendenti non ricevono lo stipendio e per mesi i due stabilimenti situati nel veronese, quello classico di San Giovanni Lupatato e quello nuovo di San Martino Buon Albergo sono rimasti chiusi perché la produzione era bloccata.
Secondo Paola Salvi, segretario della Flai Cgil di Verona che si sta occupando del caso Melegatti: "Tutto parte da diverse scelte strategiche sbagliate. Decisioni prese dagli attuali vertici delle società che hanno mandato in rosso i conti, tanto da non poter pagare gli stipendi agli operai e le materie prime ai fornitori". In particolare, lo sbaglio più grande viene imputato alla società, quando a Febbraio dell'anno scorso, ha aperto uno stabilimento a San Martino Buon Albergo per produrre merendine.
È vero che non si può puntare soltato sul periodo natalizio, ma l'azienda ha deciso di avviare la produzione di brioche e per fare questo ha dovuto comprare macchinari molto costosi ed assumere nuovo personale, con ingenti risorse economiche, molto superiori a quelle che in realtà Melegatti possedeva.
I soldi per aprir la nuova fabbrica sono arrivati con un prestito di circa 15 milioni di euro e quando le banche hanno voluto indietro la somma, l'azienda non è riuscita a rientrare nelle spese, e si è "vista costretta" a non poter pagare più lavoratori e fornitori.
Ora, sono oltre 250 i lavoratori, tra dipendenti e stagionali che rischiano di rimanere senza occupazione. Così, mentre l'iter burocratico e legale fa il suo percorso, gli stessi si sono mobilitati per trovare una soluzione al problema.
Grazie ad un fondo hanno pagato materie prime e bollette. Da qualche giorno lo stabilimento ha ripreso a funzionare e fino al 10 Dicembre continua la campagna natalizia che consente al brand dolciario di essere sugli scaffali della grande distribuzione per le prossime festività.
Ora tocca a noi! Si devono comprare i pandori Melegatti. Sicuramente i dipendenti passeranno un Natale più sereno e magari si potrà continuare la produzione regolarmente. E poi è Natale, il periodo delle storie felici, a lieto fine; far chiudere l'azienda che nel 1894 ha brevettato il pandoro, sarebbe davvero un peccato.
mercoledì 29 novembre 2017
Vuoi essere felice? Sii individualista!
Gli individualisti sono più felici e meno a rischio depressione. Uno studio rivela che chiama la giustizia sociale rischia di più i sintomi depressivi.
Leopardi aveva torto, quelli più felici non sono gli "ignoranti" o come li definiva lui i primitivi, ma quelle persone che pensano quasi esclusivamente a sé stessi. Io prima di tutto. Poiché, le persone individualiste sono più felici. Di contro, le persone equanimi che si affliggono per torti subiti dagli altri, quelli che hanno un orientamento pro sociale, sembrano più a rischio di depressione.
Se ne è occupata una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Human Behavior e condotta presso l'Università di Tomayawa di Tokyo da Masahiko Haruno.
Il coordinatore del gruppo ha coinvolto un gruppi di giovani adulti (under 30) ed ha innanzitutto diviso il campione in due sottogruppi: da una parte coloro che hanno un atteggiamento prosociale (caratterizzati da un profilo di attività cerebrale molto preciso e quindi riconoscibili con una risonanza magnetica), dall'altra gli individualisti. I primi, quando sono testimoni di un torto subito da altri, (anche quando il torto si traduce per loro stessi in vantaggio economico), attivano regioni neurali legate a stress e paura (amigdala in primis), segno che sono profondamente infastiditi dalle ingiustizie. Gli altri attivano queste regioni solo quando sono loro stessi in prima persona a subire un torto, non quando l'ingiustizia ricade sugli altri ed è a loro favore.
Dopo aver operato questa suddivisione i ricercatori hanno sottoposto l'intero campione a un questionario di misura della depressione clinica ( chiamata scala Black). The Black misura i sintomi di depressione clinica intervenuti nelle due settimane precedenti la somministrazione del questionario.
Dai dati è emerso che le persone con indole prosociale, contente di fronte a condizioni di equità, anche economiche, totalizzano un punteggio "maggiore" su questa scala, quindi hanno un rischio maggiore di aver fatto esperienza si depressione nelle due settimane precedenti rispetto agli individualisti. Lo stesso risultato è tale anche a lungo termine, ossia anche se la stessa scala Black viene riutilizzata sullo stesso campione a un anno di distanza dalla prima prova.
La ricerca indica quindi che chi pensa soprattutto a sé stesso è più felice, ma volete mettere la gioia del dare e condividere delle persone altruiste?
Leopardi aveva torto, quelli più felici non sono gli "ignoranti" o come li definiva lui i primitivi, ma quelle persone che pensano quasi esclusivamente a sé stessi. Io prima di tutto. Poiché, le persone individualiste sono più felici. Di contro, le persone equanimi che si affliggono per torti subiti dagli altri, quelli che hanno un orientamento pro sociale, sembrano più a rischio di depressione.
Se ne è occupata una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Human Behavior e condotta presso l'Università di Tomayawa di Tokyo da Masahiko Haruno.
Il coordinatore del gruppo ha coinvolto un gruppi di giovani adulti (under 30) ed ha innanzitutto diviso il campione in due sottogruppi: da una parte coloro che hanno un atteggiamento prosociale (caratterizzati da un profilo di attività cerebrale molto preciso e quindi riconoscibili con una risonanza magnetica), dall'altra gli individualisti. I primi, quando sono testimoni di un torto subito da altri, (anche quando il torto si traduce per loro stessi in vantaggio economico), attivano regioni neurali legate a stress e paura (amigdala in primis), segno che sono profondamente infastiditi dalle ingiustizie. Gli altri attivano queste regioni solo quando sono loro stessi in prima persona a subire un torto, non quando l'ingiustizia ricade sugli altri ed è a loro favore.
Dopo aver operato questa suddivisione i ricercatori hanno sottoposto l'intero campione a un questionario di misura della depressione clinica ( chiamata scala Black). The Black misura i sintomi di depressione clinica intervenuti nelle due settimane precedenti la somministrazione del questionario.
Dai dati è emerso che le persone con indole prosociale, contente di fronte a condizioni di equità, anche economiche, totalizzano un punteggio "maggiore" su questa scala, quindi hanno un rischio maggiore di aver fatto esperienza si depressione nelle due settimane precedenti rispetto agli individualisti. Lo stesso risultato è tale anche a lungo termine, ossia anche se la stessa scala Black viene riutilizzata sullo stesso campione a un anno di distanza dalla prima prova.
La ricerca indica quindi che chi pensa soprattutto a sé stesso è più felice, ma volete mettere la gioia del dare e condividere delle persone altruiste?
Pane e olio, ritorna la merenda perfetta
Un matrimonio perfetto che fa bene alla salute. È ideale ed indicatissimo soprattutto per i bimbi, ma se ne consuma sempre di meno.
Era la merenda delle nonne! Quella sana e gustosa che ci proponevano quando andavamo a trovarle. Pane e olio, un connubio perfetto. Una merenda per tutte le tasche, semplice e saporito, adatta ai bambini, ma non solo.
È la perfetta combinazione anche come base di un piatto unico a pasto, o completandolo aggiungendo, ad esempio, gli Omega3 del pesce e micronutrienti del pomodoro. Questo pezzo forte della cucina italiana, è stato recentemente rilanciato da Assital, Associazione Italiana dell'Industria Olearia.
Angelo Cremonini, presidente del gruppo olio d'oliva di Assital conferma: "Per rilanciare l'extravergine abbiamo pensato a un partner a nostro avviso altrettanto speciale, il pane. Questi due capisaldi della dieta mediterranea, coniugati in una merenda per tutte le ore e per tutte le tasche, rappresentano un abbinamento gastronomico straordinario, anche grazie alla possibilità di spaziare tra gusti diversi, sia per il pane che per l'olio".
"È dimostrato dalle valenze scientifiche che i due alimenti si migliorano a vicenda dal punto di vista nutrizionale. L'olio si accompagna benissimo al pane, riducendone l'indice glicemico, e in una dieta varia ed equilibrata, può rappresentare un'ottima merenda per i bambini", sottolinea, inoltre Marco Silano, direttore dell'Unità Operativa Alimentazione Nutrizione e Salute dell'Istituto Superiore di Sanità.
Poi, si deve tener conto che in Italia esistono 200 tipi di pane, con 1500 varietà. I consumatori sono dei consumatori attenti che nella maggior parte dei casi prediligono quello a base di materie di prima scelta, selezionate e con un valore aggiunto salutistico.
Ogni italiano ne mangia in media 85-90 grammi al giorno, con dei consumi in calo rispetto a 20 anni fa, ma mostrano una più evidente curiosità e attenzione verso nuovi prodotti.
Anche per l'olio extravergine, alimento di qualità che dà personalità ad ogni piatto, i consumi sono in calo: negli ultimi 20 anni, secondo i dati Coi, Consiglio Oleico Internazionale, si è passati da 13 kg procapite l'anno a 10,5. Motivo in più per recuperare il più possibile questa coppia vincente.
La salute passa anche per la buona tavola, quindi perché non aiutarla mangiando e facendo mangiare, soprattutto ai bambini, un alimento sano, completo e salutare.
Era la merenda delle nonne! Quella sana e gustosa che ci proponevano quando andavamo a trovarle. Pane e olio, un connubio perfetto. Una merenda per tutte le tasche, semplice e saporito, adatta ai bambini, ma non solo.
È la perfetta combinazione anche come base di un piatto unico a pasto, o completandolo aggiungendo, ad esempio, gli Omega3 del pesce e micronutrienti del pomodoro. Questo pezzo forte della cucina italiana, è stato recentemente rilanciato da Assital, Associazione Italiana dell'Industria Olearia.
Angelo Cremonini, presidente del gruppo olio d'oliva di Assital conferma: "Per rilanciare l'extravergine abbiamo pensato a un partner a nostro avviso altrettanto speciale, il pane. Questi due capisaldi della dieta mediterranea, coniugati in una merenda per tutte le ore e per tutte le tasche, rappresentano un abbinamento gastronomico straordinario, anche grazie alla possibilità di spaziare tra gusti diversi, sia per il pane che per l'olio".
"È dimostrato dalle valenze scientifiche che i due alimenti si migliorano a vicenda dal punto di vista nutrizionale. L'olio si accompagna benissimo al pane, riducendone l'indice glicemico, e in una dieta varia ed equilibrata, può rappresentare un'ottima merenda per i bambini", sottolinea, inoltre Marco Silano, direttore dell'Unità Operativa Alimentazione Nutrizione e Salute dell'Istituto Superiore di Sanità.
Poi, si deve tener conto che in Italia esistono 200 tipi di pane, con 1500 varietà. I consumatori sono dei consumatori attenti che nella maggior parte dei casi prediligono quello a base di materie di prima scelta, selezionate e con un valore aggiunto salutistico.
Ogni italiano ne mangia in media 85-90 grammi al giorno, con dei consumi in calo rispetto a 20 anni fa, ma mostrano una più evidente curiosità e attenzione verso nuovi prodotti.
Anche per l'olio extravergine, alimento di qualità che dà personalità ad ogni piatto, i consumi sono in calo: negli ultimi 20 anni, secondo i dati Coi, Consiglio Oleico Internazionale, si è passati da 13 kg procapite l'anno a 10,5. Motivo in più per recuperare il più possibile questa coppia vincente.
La salute passa anche per la buona tavola, quindi perché non aiutarla mangiando e facendo mangiare, soprattutto ai bambini, un alimento sano, completo e salutare.
martedì 28 novembre 2017
Cyber, oggi il tradimento passa per la rete e con meno sensi di colpa
Un studio rivela che l'infedeltà è in aumento, ma il più delle volte "si consuma" nel mondo virtuale.
C'è sempre stato prima dell'uomo e della donna e prima della formazione delle coppie: il tradimento.
C'è sempre stato prima dell'uomo e della donna e prima della formazione delle coppie: il tradimento.
Oggi è "cyber", spesso consumato attraverso messaggini, foto hard ed evitando complicazioni sentimentali.
È il nuovo volto del tradimento odierno, non più connotato negativamente, ma considerato un'esperienza utile alla persona e alla coppia e che non si accompagna a sensi di colpa.
Si è interessata all'argomento Rita D'Amico, dell'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (Istc-Cnr) che spiega: "I tradimenti negli ultimi 20 anni sono notevolmente aumentati; dal '94 al 2008 in Usa la percentuale di chi ammette di aver avuto un rapporto sessuale fuori dalla coppia, sale dal 21 al 24% per gli uomini e dall'11% al 15% per le donne e dal 16 al 38%per gli uomini.
Si è interessata all'argomento Rita D'Amico, dell'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione (Istc-Cnr) che spiega: "I tradimenti negli ultimi 20 anni sono notevolmente aumentati; dal '94 al 2008 in Usa la percentuale di chi ammette di aver avuto un rapporto sessuale fuori dalla coppia, sale dal 21 al 24% per gli uomini e dall'11% al 15% per le donne e dal 16 al 38%per gli uomini.
Per l'Italia, continua, gli ultimi dati attendibili risalgono al 2010: su un campione di 7 mila persone quasi il 70% dei maschi e più del 50% delle femmine".
Si scopre inoltre, che se negli anni '50-'60 si era infedeli avendo rapporti sessuali al di fuori della relazione coniugale, l'infedeltà implica oggi una più ampia categoria di comportamenti, ad esempio flirtare, visitare strip club, l'uso della pornografia e avere fantasie sessuali con una persona diversa dal partner.
Vanno per la maggiore, il cyber sex, come "incontri" online con qualcuno verso cui si ha un interesse sessuale, la pornografia online e poi i cosiddetti sexting, l'invio di sms (in cui si allude a un incontro erotico) o di immagini hard.
Parla bene di questa realtà il libro Amori e infedeltà (Franco Angeli) scritto dalla stessa D'Amico.
Altro dato sconcertante emerso è che sono cambiati anche gli amanti: le infedeltà sono più frequenti tra persone entrambe già impegnate, volutamente, per evitare che l'amante s'innamori e pretenda qualcosa di diverso.
Altra "curiosità" è che oggi, spesso l'amante è un "ex" ritrovato su Facebook, poiché è più facile allacciare un rapporto quando in passato c'è stata intimità.
Infine, oggi si tradisce con meno sensi di colpi e meno empatia, l'interesse per il proprio benessere prevale sul bene del partner e quindi non si è frenati dal pensiero che soffra.
Insomma, già che si parli di tradimento, ma la società odierna, non ne esce proprio bene...
Si scopre inoltre, che se negli anni '50-'60 si era infedeli avendo rapporti sessuali al di fuori della relazione coniugale, l'infedeltà implica oggi una più ampia categoria di comportamenti, ad esempio flirtare, visitare strip club, l'uso della pornografia e avere fantasie sessuali con una persona diversa dal partner.
Vanno per la maggiore, il cyber sex, come "incontri" online con qualcuno verso cui si ha un interesse sessuale, la pornografia online e poi i cosiddetti sexting, l'invio di sms (in cui si allude a un incontro erotico) o di immagini hard.
Parla bene di questa realtà il libro Amori e infedeltà (Franco Angeli) scritto dalla stessa D'Amico.
Altro dato sconcertante emerso è che sono cambiati anche gli amanti: le infedeltà sono più frequenti tra persone entrambe già impegnate, volutamente, per evitare che l'amante s'innamori e pretenda qualcosa di diverso.
Altra "curiosità" è che oggi, spesso l'amante è un "ex" ritrovato su Facebook, poiché è più facile allacciare un rapporto quando in passato c'è stata intimità.
Infine, oggi si tradisce con meno sensi di colpi e meno empatia, l'interesse per il proprio benessere prevale sul bene del partner e quindi non si è frenati dal pensiero che soffra.
Insomma, già che si parli di tradimento, ma la società odierna, non ne esce proprio bene...
Un marasma d'individui, freddi e privi di sentimenti come gli automi che si cimentano in tradimenti, non tanto perché presi dalla passione, ma per "vedere" se sono in grado di autoaffermarsi in qualche modo. Cavoli loro, ma che tristezza!
Le donne che subiscono violenza sviluppano la sindrome del cuore infranto
Sono i cardiologi a lanciare l'allarme, le violenze subite causano la cardiomiopatia.
Si chiama sindrome del cuore infranto e non è una definizione casualmente spuntata fuori da un libro di letteratura romantica, ma è una patologia molto seria, studiata e curata dai cardiologi. Più comunemente viene associata alla cardiomiopatia e colpisce quasi esclusivamente le donne.
Nel campo medico, il nome esatto è sindrome di Tako-Tsubo, o cardiomiopatia da stress e si riscontra principalmente in seguito a lutti o eventi traumatici.
A seguito della giornata internazionale contro la violenza sulle donne a Roma, si è tenuto il summit dove i cardiologi di Place Platform of Laboratories for Advanced in Cardiac Experience, hanno lanciato l'allarme sull'insorgere di questa patologia nelle donne sottoposte a maltrattamenti.
Il dott. Leonardo Calò, Direttore del Policlinico Casilno, spiega: "Nell'anamnesi di molti dei soggetti colpiti è stata evidenziata la presenza di un prolungato stress emotivo, tipico delle situazioni in cui la donna è sottoposta a maltrattamenti e abusi, fisici ma anche psicologici. Parliamo di una patologia che si manifesta con sintomi molto simili a quelli dell'infarto miocardico, come dolore al petto e affanno improvviso, e che non deve essere sottovalutata poiché, secondo recenti studi, ha un tasso di mortalità analogo a quello dell'infarto".
Maltrattare le donne è un atto osceno, deplorevole e da sadici. I devastanti effetti sono tangibili subito con lividi manifesti e visibili sul corpo e nell'anima e ora i cardiologi rivelano anche a livello cardiaco, generando patologie in più.
Si chiama sindrome del cuore infranto e non è una definizione casualmente spuntata fuori da un libro di letteratura romantica, ma è una patologia molto seria, studiata e curata dai cardiologi. Più comunemente viene associata alla cardiomiopatia e colpisce quasi esclusivamente le donne.
Nel campo medico, il nome esatto è sindrome di Tako-Tsubo, o cardiomiopatia da stress e si riscontra principalmente in seguito a lutti o eventi traumatici.
A seguito della giornata internazionale contro la violenza sulle donne a Roma, si è tenuto il summit dove i cardiologi di Place Platform of Laboratories for Advanced in Cardiac Experience, hanno lanciato l'allarme sull'insorgere di questa patologia nelle donne sottoposte a maltrattamenti.
Il dott. Leonardo Calò, Direttore del Policlinico Casilno, spiega: "Nell'anamnesi di molti dei soggetti colpiti è stata evidenziata la presenza di un prolungato stress emotivo, tipico delle situazioni in cui la donna è sottoposta a maltrattamenti e abusi, fisici ma anche psicologici. Parliamo di una patologia che si manifesta con sintomi molto simili a quelli dell'infarto miocardico, come dolore al petto e affanno improvviso, e che non deve essere sottovalutata poiché, secondo recenti studi, ha un tasso di mortalità analogo a quello dell'infarto".
Maltrattare le donne è un atto osceno, deplorevole e da sadici. I devastanti effetti sono tangibili subito con lividi manifesti e visibili sul corpo e nell'anima e ora i cardiologi rivelano anche a livello cardiaco, generando patologie in più.
lunedì 27 novembre 2017
Monsignor Ratko Peric: "La Madonna qui non è mai apparsa"
Parla il vescovo di Mostar, Medjugorie, sotto la cui giurisdizione ricade la cittadina delle presunte apparizioni mariane. Dichiara: "Quella figura femminile è ambigua: ride in maniera strana e permette ad alcuni di toccare il suo corpo. Non è la Madonna".
Da anni, la questione delle apparizioni della Madonna a Medjugorie divide i cattolici tra chi ci crede e chi no, tra favorevoli e contrari, tra fanatici e ostili, tra razionali e impulsivi. In questi giorni, una nuova pesante "pietra" viene lanciata dalle dichiarazioni del vescovo di Mostar, Ratko Peric, che nel sito della diocesi, ha pubblicato una lunga riflessione secondo cui, alla fine, sarebbe tutto una montatura.
Nell'articolo, dall'emblematico titolo "Le apparizioni dei primi sette giorni a Medjugorie", spiega: "Tenendo conto di tutto quel che è stato esaminato e studiato da questa cura diocesana, incluso lo studio dei primi sette giorni delle presunte apparizioni, si può pacificamente affermare: la Madonna non è apparsa a Medjugorie! Questa è la verità che sosteniamo, e crediamo nella parola di Gesù, secondo cui la verità ci renderà liberi". Tale intervento, inoltre, è stato pubblicato alla vigilia dell'arrivo in loco "dell'invito speciale" del Papa, nella persona dell'arcivescovo di Varsavia, Mon. Henryk Hoser.
Peric è il vescovo di Mostar, sotto la cui giurisdizione ricade la cittadina delle presunte apparizioni, ed è proprio lui quello ad essere più duro in merito. Continua dicendo che quella che sarebbe apparsa a Medjugorie è una "figura ambigua". In quanto: "La figura femminile che sarebbe apparsa a Medjugorie si comporta in modo del tutto diverso dalla vera Madonna, Madre di Dio, nelle apparizioni riconosciute finora come autentiche dalla Chiesa: di solito non parla per prima; ride in maniera strana, a certe domande scompare e poi di nuovo ritorna; obbedisce ai "veggenti" e al parroco che la fanno scendere dal colle in chiesa sebbene controvoglia. Non sa con sicurezza per quanto tempo apparirà, permette ad alcuni presenti di calpestare il suo velo steso per terra, di toccare la sua veste e il suo corpo. Questa non è la Madonna evangelica".
Peric afferma di essere arrivato alle sue conclusioni dopo aver trascritto dai registratori le audiocassette contenenti i colloqui avvenuti nella prima settimana delle apparizioni (1982) nell'ufficio parrocchiale di Medjugorie, tra il personale e i ragazzi e le ragazze, che avevano affermato di aver visto la Madonna, "con piena convinzione e responsabilità". Tutte prove che lo hanno portato ad affermare l'evidente non autenticità dei presunti fenomeni. Inoltre, aggiunge: "Se la vera Madonna, Madre di Gesù, non è apparsa come in effetti non è, allora a tutti sono da applicare le seguenti formule: sedicenti, veggenti, presunti messaggi, pretes, sogno visibile e cosiddetti segreti".
Insomma, la Chiesa, quella ufficiale si è dichiarata contraria alle apparizioni di Medjugorie. O meglio, non ne accetta l'autenticità. Rimane comunque la realtà di tutti i migliaia di fedeli che ogni anno accorrono in quel luogo anche spinti dalla voglia di poter assistere al miracolo.
Da anni, la questione delle apparizioni della Madonna a Medjugorie divide i cattolici tra chi ci crede e chi no, tra favorevoli e contrari, tra fanatici e ostili, tra razionali e impulsivi. In questi giorni, una nuova pesante "pietra" viene lanciata dalle dichiarazioni del vescovo di Mostar, Ratko Peric, che nel sito della diocesi, ha pubblicato una lunga riflessione secondo cui, alla fine, sarebbe tutto una montatura.
Nell'articolo, dall'emblematico titolo "Le apparizioni dei primi sette giorni a Medjugorie", spiega: "Tenendo conto di tutto quel che è stato esaminato e studiato da questa cura diocesana, incluso lo studio dei primi sette giorni delle presunte apparizioni, si può pacificamente affermare: la Madonna non è apparsa a Medjugorie! Questa è la verità che sosteniamo, e crediamo nella parola di Gesù, secondo cui la verità ci renderà liberi". Tale intervento, inoltre, è stato pubblicato alla vigilia dell'arrivo in loco "dell'invito speciale" del Papa, nella persona dell'arcivescovo di Varsavia, Mon. Henryk Hoser.
Peric è il vescovo di Mostar, sotto la cui giurisdizione ricade la cittadina delle presunte apparizioni, ed è proprio lui quello ad essere più duro in merito. Continua dicendo che quella che sarebbe apparsa a Medjugorie è una "figura ambigua". In quanto: "La figura femminile che sarebbe apparsa a Medjugorie si comporta in modo del tutto diverso dalla vera Madonna, Madre di Dio, nelle apparizioni riconosciute finora come autentiche dalla Chiesa: di solito non parla per prima; ride in maniera strana, a certe domande scompare e poi di nuovo ritorna; obbedisce ai "veggenti" e al parroco che la fanno scendere dal colle in chiesa sebbene controvoglia. Non sa con sicurezza per quanto tempo apparirà, permette ad alcuni presenti di calpestare il suo velo steso per terra, di toccare la sua veste e il suo corpo. Questa non è la Madonna evangelica".
Peric afferma di essere arrivato alle sue conclusioni dopo aver trascritto dai registratori le audiocassette contenenti i colloqui avvenuti nella prima settimana delle apparizioni (1982) nell'ufficio parrocchiale di Medjugorie, tra il personale e i ragazzi e le ragazze, che avevano affermato di aver visto la Madonna, "con piena convinzione e responsabilità". Tutte prove che lo hanno portato ad affermare l'evidente non autenticità dei presunti fenomeni. Inoltre, aggiunge: "Se la vera Madonna, Madre di Gesù, non è apparsa come in effetti non è, allora a tutti sono da applicare le seguenti formule: sedicenti, veggenti, presunti messaggi, pretes, sogno visibile e cosiddetti segreti".
Insomma, la Chiesa, quella ufficiale si è dichiarata contraria alle apparizioni di Medjugorie. O meglio, non ne accetta l'autenticità. Rimane comunque la realtà di tutti i migliaia di fedeli che ogni anno accorrono in quel luogo anche spinti dalla voglia di poter assistere al miracolo.
sabato 25 novembre 2017
I cani salvaguardano la nostra vita
Averne uno allunga la vita. Riduce di molto il rischio di morte soprattutto per i padroni che vivono da soli.
Per chi ama i cani e magari ne possiede pure uno (o nel mio caso, più di uno...) elencare tutti i benefici che un amico pelosetto può dare è una cosa ovvia, scontata. Si potrebbe cominciare dalla mole di amore disinteressato, dall'allegria che infondono o dalle lezioni di umanità che impartiscono, ma oggi uno studio rivela che i cani fanno pure la guardia alla salute dei padroni e ne allungano la vita. Chi possiede un cane ha un minore rischio di morte per cause cardiovascolari e per altre cause.
La notizia è stata pubblicata recentemente sulla rivista Scientific Reports, ed è il frutto di una ricerca condotta in Svezia su un'immensa gamma di dati e mostra l'effetto difensivo del possedere un cane è ancora più forte per i single, siano essi giovani o vecchi, l'importante è che vivere da soli. Lo studio rivela inoltre, che i cani più protettivi per la salute sono risultati essere quelli da caccia.
Lo studio è stato condotto presso l'Università di Uppsala e si è basato su dati relativi a oltre 3,4 milioni di svedesi dai 40 agli 80 anni. I partecipanti sono stati presi nello studio a partire dal 2001, quando in Svezia è entrata in vigore una legge che rendeva obbligatorio registrare il possesso dei cani.
Tutti i partecipanti erano sani all'inizio dello studio e i ricercatori ne hanno monitorato lo stato di salute per oltre 12 anni, registrando tutte le malattie intercorse durante il periodo di osservazione.
È emerso che chi possedeva un cane era a minor rischio di morte per cause cardiovascolari ed anche altre cause. I risultati sono ancor più marcati per i single: i single possessori di un cane hanno un rischio di morte inferiore del 33% rispetto ai coetanei single senza cani e un rischio di malattie cardiovascolari ridotte dell'11%.
Insomma, siamo alle solite...I cani sono i miglior esseri umani al mondo! Ricoprono d'amore disinteressato e contribuiscono in modo favorevole anche alla salvaguardia della nostra salute. Speriamo ora, che l'uomo non si avvicini ad esso per "sfruttare" anche quest'altra sua caratteristica positiva.
Per chi ama i cani e magari ne possiede pure uno (o nel mio caso, più di uno...) elencare tutti i benefici che un amico pelosetto può dare è una cosa ovvia, scontata. Si potrebbe cominciare dalla mole di amore disinteressato, dall'allegria che infondono o dalle lezioni di umanità che impartiscono, ma oggi uno studio rivela che i cani fanno pure la guardia alla salute dei padroni e ne allungano la vita. Chi possiede un cane ha un minore rischio di morte per cause cardiovascolari e per altre cause.
La notizia è stata pubblicata recentemente sulla rivista Scientific Reports, ed è il frutto di una ricerca condotta in Svezia su un'immensa gamma di dati e mostra l'effetto difensivo del possedere un cane è ancora più forte per i single, siano essi giovani o vecchi, l'importante è che vivere da soli. Lo studio rivela inoltre, che i cani più protettivi per la salute sono risultati essere quelli da caccia.
Lo studio è stato condotto presso l'Università di Uppsala e si è basato su dati relativi a oltre 3,4 milioni di svedesi dai 40 agli 80 anni. I partecipanti sono stati presi nello studio a partire dal 2001, quando in Svezia è entrata in vigore una legge che rendeva obbligatorio registrare il possesso dei cani.
Tutti i partecipanti erano sani all'inizio dello studio e i ricercatori ne hanno monitorato lo stato di salute per oltre 12 anni, registrando tutte le malattie intercorse durante il periodo di osservazione.
È emerso che chi possedeva un cane era a minor rischio di morte per cause cardiovascolari ed anche altre cause. I risultati sono ancor più marcati per i single: i single possessori di un cane hanno un rischio di morte inferiore del 33% rispetto ai coetanei single senza cani e un rischio di malattie cardiovascolari ridotte dell'11%.
Insomma, siamo alle solite...I cani sono i miglior esseri umani al mondo! Ricoprono d'amore disinteressato e contribuiscono in modo favorevole anche alla salvaguardia della nostra salute. Speriamo ora, che l'uomo non si avvicini ad esso per "sfruttare" anche quest'altra sua caratteristica positiva.
Prepararsi per il Natale in anticipo rende felici
Anche il decorare semplicemente la casa può aiutare. Secondo lo psichiatra così facendo si recuperano i ricordi di quando si era bambini.
Buon per loro! Perché il cospicuo esercito di tutti quelli che non vedono l'ora di addobbare le proprie abitazioni con decorazioni natalizie, luci colorate, vischio e le palline che arricchiscono l'albero troneggiano già fa giorni nel salotto e nelle altre camere delle case, sono sicuramente più felici.
Lo dice la scienza! Mettere in anticipo le decorazioni natalizie è sinonimo della voglia che abbiamo di connetterci maggiormente al bambino "interiore" che è in noi, recuperando nostalgicamente i ricordi di un passato libero dallo stress e dalle tensioni della vita adulta.
Steve Mckeown, psicoanalista che si è occupato del "fenomeno", ha rilasciato un'intervista sul tema al sito Uniland.co.uk, rimbalzata poi su tutte le altre maggiori testate inglesi. Quindi: "Anche se potrebbero esserci una serie di ragioni sintomatiche per cui qualcuno voglia allestire ossessivamente le decorazioni in anticipo, più comunemente è per motivi nostalgici, per rivivere la magia oppure per comprnsare la trascuratezza del passato. In un mondo pieno di stress e ansia le persone amano associarsi a cose che le rendono felici e il Natale e le decorazioni natalizie evocano forti sensazioni dell'infanzia. Quella magica eccitazione, che mettere le decorazioni in anticipo può contribuire ad estendere".
Anche un vecchio studio, datato 1989, metteva in evidenza come coloro che decorano case per il Natale sono considerati dai vicini più amichevoli e mostrano un maggior senso di coesione.
L'effetto "terapeutico" dell'addobbare in anticipo per il Natale, aumenta ancor di più per chi deve trascorrere le feste senza una persona cara che è venuta a mancare, decorare in anticipo casa può contribuire a "riconnettersi" con lei o lui.
Tutti gli indizi sono contro Scrooge, il protagonista di "A Christmas Carol" di Dickens che odiava il Natale. Non aveva capito niente! Le festività sono tutte da godere, magari proprio ricreandole. Che sia un po' in anticipo o a "tempo al tempo", l'importante è diffondere allegria e buone azioni.
Buon per loro! Perché il cospicuo esercito di tutti quelli che non vedono l'ora di addobbare le proprie abitazioni con decorazioni natalizie, luci colorate, vischio e le palline che arricchiscono l'albero troneggiano già fa giorni nel salotto e nelle altre camere delle case, sono sicuramente più felici.
Lo dice la scienza! Mettere in anticipo le decorazioni natalizie è sinonimo della voglia che abbiamo di connetterci maggiormente al bambino "interiore" che è in noi, recuperando nostalgicamente i ricordi di un passato libero dallo stress e dalle tensioni della vita adulta.
Steve Mckeown, psicoanalista che si è occupato del "fenomeno", ha rilasciato un'intervista sul tema al sito Uniland.co.uk, rimbalzata poi su tutte le altre maggiori testate inglesi. Quindi: "Anche se potrebbero esserci una serie di ragioni sintomatiche per cui qualcuno voglia allestire ossessivamente le decorazioni in anticipo, più comunemente è per motivi nostalgici, per rivivere la magia oppure per comprnsare la trascuratezza del passato. In un mondo pieno di stress e ansia le persone amano associarsi a cose che le rendono felici e il Natale e le decorazioni natalizie evocano forti sensazioni dell'infanzia. Quella magica eccitazione, che mettere le decorazioni in anticipo può contribuire ad estendere".
Anche un vecchio studio, datato 1989, metteva in evidenza come coloro che decorano case per il Natale sono considerati dai vicini più amichevoli e mostrano un maggior senso di coesione.
L'effetto "terapeutico" dell'addobbare in anticipo per il Natale, aumenta ancor di più per chi deve trascorrere le feste senza una persona cara che è venuta a mancare, decorare in anticipo casa può contribuire a "riconnettersi" con lei o lui.
Tutti gli indizi sono contro Scrooge, il protagonista di "A Christmas Carol" di Dickens che odiava il Natale. Non aveva capito niente! Le festività sono tutte da godere, magari proprio ricreandole. Che sia un po' in anticipo o a "tempo al tempo", l'importante è diffondere allegria e buone azioni.
venerdì 24 novembre 2017
Abiti sostenibili ottenuti dalle arance
Dalle arance si possono produrre abiti. Per una moda sostenibile la tecnologia italiana trasforma scarti delle spremute in filati.
Una vecchia canzoncina che insegnavano una volta alle elementari, più o meno faceva così: "Per fare l'albero ci vuole il seme...per fare il seme ci vuole il frutto..." oggi potrebbe continuare, "per fare l'abito ci vogliono le arance!". Sì, perché dalla spremuta di questi agrumi può nascere una moda più sostenibile, gli scarti degli agrumi possono essere infatti trasformati in filati a basso impatto ambientale, dotati di proprietà simili alla seta.
E solo la creatività italiana poteva condurre ad una tale innovazione. L'idea è stata sviluppata da una tecnologia made in Italy supportata dall'azienda siciliana Orange Fiber, in collaborazione con il Politecnico di Milano.
I primi capi prodotti hanno già sfilato sulla passerella di Salvatore Ferragamo, inoltre la prossima sfida sarà quella di concretizzare anche una più vasta produzione su scala industriale.
Il progetto ha riscosso talmente successo da trovarsi tra i protagonisti di "Circular Bioeconomy Arena Meeting", l'iniziativa promossa dal clustar nazionale della clinica verde Spring con Assobioetic e Gruppo Intesa SanPaolo con l'obiettivo di fare incontrare imprese e progetti innovativi alla ricerca di capitali con gli investitori finanziari e corporato di tutto il mondo.
La cofondatrice di Orange Fiber, Enrica Arena spiega: "Il nostro obiettivo è sfruttare gli scarti delle arance usate per le spremute industriali: questo mix di bucce e semi equivale alla metà del peso dell'arancia fresca. Ogni anno in Italia se ne producono oltre 700 mila tonnellate. Per dare una seconda chance a questi sottoprodotti, abbiamo sviluppato un processo chimico che permette di lavorare gli scarti direttamente nell'azienda che fa le spremute, ottenendo una cellulosa purificata atta alla filatura".
Si produce così un tessuto che ha una consistenza simile a quella della seta e della viscosa e sempre come queste due fibre, può essere colorata e stampata, e può perfino essere reso elasticizzato come il jersey.
Aggiunge la portavoce di Orange Fiber: "Ferragamo ha utilizzato questo materiale per produrre un intero outfit, inclusi vestiti, borse e scarpe. Ora cerchiamo dei partner industriali che ci permettono di cogliere al volo l'interesse che abbiamo suscitato".
Evviva le arance! Fanno bene alla salute, sono buone da mangiare, buone per vestirsi e quindi fanno pure bene al portafoglio.
Una vecchia canzoncina che insegnavano una volta alle elementari, più o meno faceva così: "Per fare l'albero ci vuole il seme...per fare il seme ci vuole il frutto..." oggi potrebbe continuare, "per fare l'abito ci vogliono le arance!". Sì, perché dalla spremuta di questi agrumi può nascere una moda più sostenibile, gli scarti degli agrumi possono essere infatti trasformati in filati a basso impatto ambientale, dotati di proprietà simili alla seta.
E solo la creatività italiana poteva condurre ad una tale innovazione. L'idea è stata sviluppata da una tecnologia made in Italy supportata dall'azienda siciliana Orange Fiber, in collaborazione con il Politecnico di Milano.
I primi capi prodotti hanno già sfilato sulla passerella di Salvatore Ferragamo, inoltre la prossima sfida sarà quella di concretizzare anche una più vasta produzione su scala industriale.
Il progetto ha riscosso talmente successo da trovarsi tra i protagonisti di "Circular Bioeconomy Arena Meeting", l'iniziativa promossa dal clustar nazionale della clinica verde Spring con Assobioetic e Gruppo Intesa SanPaolo con l'obiettivo di fare incontrare imprese e progetti innovativi alla ricerca di capitali con gli investitori finanziari e corporato di tutto il mondo.
La cofondatrice di Orange Fiber, Enrica Arena spiega: "Il nostro obiettivo è sfruttare gli scarti delle arance usate per le spremute industriali: questo mix di bucce e semi equivale alla metà del peso dell'arancia fresca. Ogni anno in Italia se ne producono oltre 700 mila tonnellate. Per dare una seconda chance a questi sottoprodotti, abbiamo sviluppato un processo chimico che permette di lavorare gli scarti direttamente nell'azienda che fa le spremute, ottenendo una cellulosa purificata atta alla filatura".
Si produce così un tessuto che ha una consistenza simile a quella della seta e della viscosa e sempre come queste due fibre, può essere colorata e stampata, e può perfino essere reso elasticizzato come il jersey.
Aggiunge la portavoce di Orange Fiber: "Ferragamo ha utilizzato questo materiale per produrre un intero outfit, inclusi vestiti, borse e scarpe. Ora cerchiamo dei partner industriali che ci permettono di cogliere al volo l'interesse che abbiamo suscitato".
Evviva le arance! Fanno bene alla salute, sono buone da mangiare, buone per vestirsi e quindi fanno pure bene al portafoglio.
"La spezia del Natale" aiuta anche a bruciare grassi e zuccheri
La cannella agisce direttamente sulle cellule facendo bruciare energia.
In effetti è l'ingrediente essenziale di tante prelibatezze natalizie. Quel quid in più che aggiunge sapore a biscotti, frutta o stracotti. Ora si scopre che la cannella, una delle spezie più amate e utilizzate nel periodo festivo potrebbe essere anche un'arma contro l'obesità.
In particolare il merito è dell'aldeide cinnamonica, olio essenziale che conferisce alla cannella il suo sapore, e migliora la salute metabolica, agendo direttamente sulle cellule di grasso e adipociti inducendoli a iniziare a "bruciare energia" tramite quel processo conosciuto come termogenesi.
Lo rivela uno studio della University of Michigan Life Sciences Institute, pubblicato sulla rivista Metabolism. I ricercatori sono partiti dal fatto che l'aldeide cinnamonica sembra proteggere i topi dall'obesità e dall'iperglicemia, ma finora i meccanismi alla base di questo effetto non erano ben compresi. Il gruppo di studio ha testato degli adipociti umani da volontari che rappresentano varie età, etnie e indici di massa corporea.
Nello step successivo dell'esperimento i ricercatori hanno trattato le cellule con l'aldeide cinnamonica, osservando così una maggiore espressione di diversi geni ed enzimi che migliorano il metabolismo dei lipidi. Inoltre rilevando anche un significativo aumento di Ucp1 e Fgf21, due importanti proteine regolatorie metaboliche coinvolte nella termogenesi.
La dottoressa Jun We coordinatrice dello studio, dichiara: "La cannella ha fatto parte delle nostre diete per migliaia di anni, e generalmente piace come spezia, quindi se può aiutare a proteggere dall'obesità, può offrire un approccio alla salute metabolica a cui è più facile per i nostri pazienti aderire".
Nonostante gli ottimi risultati della ricerca, i fautori dello studio avvertono che non si dovrà aggiungere tonnellate di cannella ai dolci nella speranza di non accumulare chili durante le feste, comunque sono necessari ulteriori studi e chiarimenti per determinare il modo migliore per sfruttare i benefici metabolici senza effetti collaterali.
Vabbe', ma durante le feste, qualche "sgarro" alimentare è più che dovuto, poi quel pizzico in più di cannella se non altro aiuta a far sentire ancor di più l'atmosfera di calore.
In effetti è l'ingrediente essenziale di tante prelibatezze natalizie. Quel quid in più che aggiunge sapore a biscotti, frutta o stracotti. Ora si scopre che la cannella, una delle spezie più amate e utilizzate nel periodo festivo potrebbe essere anche un'arma contro l'obesità.
In particolare il merito è dell'aldeide cinnamonica, olio essenziale che conferisce alla cannella il suo sapore, e migliora la salute metabolica, agendo direttamente sulle cellule di grasso e adipociti inducendoli a iniziare a "bruciare energia" tramite quel processo conosciuto come termogenesi.
Lo rivela uno studio della University of Michigan Life Sciences Institute, pubblicato sulla rivista Metabolism. I ricercatori sono partiti dal fatto che l'aldeide cinnamonica sembra proteggere i topi dall'obesità e dall'iperglicemia, ma finora i meccanismi alla base di questo effetto non erano ben compresi. Il gruppo di studio ha testato degli adipociti umani da volontari che rappresentano varie età, etnie e indici di massa corporea.
Nello step successivo dell'esperimento i ricercatori hanno trattato le cellule con l'aldeide cinnamonica, osservando così una maggiore espressione di diversi geni ed enzimi che migliorano il metabolismo dei lipidi. Inoltre rilevando anche un significativo aumento di Ucp1 e Fgf21, due importanti proteine regolatorie metaboliche coinvolte nella termogenesi.
La dottoressa Jun We coordinatrice dello studio, dichiara: "La cannella ha fatto parte delle nostre diete per migliaia di anni, e generalmente piace come spezia, quindi se può aiutare a proteggere dall'obesità, può offrire un approccio alla salute metabolica a cui è più facile per i nostri pazienti aderire".
Nonostante gli ottimi risultati della ricerca, i fautori dello studio avvertono che non si dovrà aggiungere tonnellate di cannella ai dolci nella speranza di non accumulare chili durante le feste, comunque sono necessari ulteriori studi e chiarimenti per determinare il modo migliore per sfruttare i benefici metabolici senza effetti collaterali.
Vabbe', ma durante le feste, qualche "sgarro" alimentare è più che dovuto, poi quel pizzico in più di cannella se non altro aiuta a far sentire ancor di più l'atmosfera di calore.
giovedì 23 novembre 2017
Il web come Cupido: i rapporti sono più democratici e duraturi, ci si innamora e gli incontri online si trasformano in matrimoni
Una ricerca Usa sulle coppie rivela un'impennata di quelle nate in rete, oggi sono 1 su 3. Arrivando fino a 7 su 10 tra gli omosessuali.
Ogni epoca ha il suo modo d'amare o di far innamorare. E se prima erano forti costrizioni sociali o il romantico scambio di epistole a far scoccare la scintilla, oggi si è nel pieno della rivoluzione antropologica dell'amore: l'amore online. Vent'anni di storie e relazioni nate su internet, hanno cambiato noi e la società e il modo di relazionarsi.
Così, la rete è diventata il luogo privilegiato dove incontrarsi, intrecciare amicizie, amori e matrimoni. E una ricerca statunitense condotta sulla buona riuscita delle coppie, ha fatto luce su quanto durano i rapporti che nascono in rete, sui matrimoni nati in chat e le relazioni che si nutrono di Whatsapp e Facebook.
Curatori dell'esperimento sono stati due professori di economia, Josuè Ortega dell'Università dell'Essex e Philip Hergovich dell'Università di Vienna. Lo studio: "The strenght of absent ties: social integration via online dating è un'analisi di trent'anni d'amore online e l'impatto sul nostro modo di essere. Uno dei risultati più sorprendenti e che negli Stati Uniti i rapporti nati in rete sono ormai un terzo di tutti i matrimoni americani e sempre una maggiore crescita anche quelli inter-razziali.
Perché uscendo dai confini del proprio ambiente e disvelandosi poco alla volta come accade nelle relazioni virtuali, cadono le barriere sociali e gli amori si mescolano.
In effetti, fino a qualche decennio fa, gli incontri avvenivano in luoghi socialmente contigui ai nostri, la presentazione dell'amico dell'amico, il colpo di fulmine tra colleghi di lavoro, la compagna dell'università, o in chiesa. Mentre oggi nell'oceanico mare del web e dei siti di dating online hanno allargato a dismisura il ventaglio delle possibilità.
I dati in merito parlano chiaro, sole e delusioni a parte, online si formano il 20% delle coppie eterosessuali e il 70% di quelle omosessuali. Inoltre, i matrimoni seguiti a un corteggiamento virtuale sono più democratici in quanto mescolano gli ambienti sociali, e anche più duraturi nel tempo.
Numeri americani che fotografano una realtà anche mondiale ed italiana. È cosa assodata che il web rappresenta la moltiplicazione delle possibilità. Vent'anni fa, magari i primi amori virtuali erano visti come pura trasgressione o incontri di solitudini, mentre oggi sono un modo come un altro per trovare amici o partner. L'unica peculiarità è che quando il veicolo di contatto è la rete, l'incontro fisico è spesso preceduto da una conoscenza lenta, poi ci si vede davvero, già c'è confidenza. E questo può aiutare la tenuta di un rapporto.
Naturale, poi seguono abbracci e quant'altro perché sarà pure cambiato il modo, ma le regole dell'amore rimangono sempre le stesse!
Ogni epoca ha il suo modo d'amare o di far innamorare. E se prima erano forti costrizioni sociali o il romantico scambio di epistole a far scoccare la scintilla, oggi si è nel pieno della rivoluzione antropologica dell'amore: l'amore online. Vent'anni di storie e relazioni nate su internet, hanno cambiato noi e la società e il modo di relazionarsi.
Così, la rete è diventata il luogo privilegiato dove incontrarsi, intrecciare amicizie, amori e matrimoni. E una ricerca statunitense condotta sulla buona riuscita delle coppie, ha fatto luce su quanto durano i rapporti che nascono in rete, sui matrimoni nati in chat e le relazioni che si nutrono di Whatsapp e Facebook.
Curatori dell'esperimento sono stati due professori di economia, Josuè Ortega dell'Università dell'Essex e Philip Hergovich dell'Università di Vienna. Lo studio: "The strenght of absent ties: social integration via online dating è un'analisi di trent'anni d'amore online e l'impatto sul nostro modo di essere. Uno dei risultati più sorprendenti e che negli Stati Uniti i rapporti nati in rete sono ormai un terzo di tutti i matrimoni americani e sempre una maggiore crescita anche quelli inter-razziali.
Perché uscendo dai confini del proprio ambiente e disvelandosi poco alla volta come accade nelle relazioni virtuali, cadono le barriere sociali e gli amori si mescolano.
In effetti, fino a qualche decennio fa, gli incontri avvenivano in luoghi socialmente contigui ai nostri, la presentazione dell'amico dell'amico, il colpo di fulmine tra colleghi di lavoro, la compagna dell'università, o in chiesa. Mentre oggi nell'oceanico mare del web e dei siti di dating online hanno allargato a dismisura il ventaglio delle possibilità.
I dati in merito parlano chiaro, sole e delusioni a parte, online si formano il 20% delle coppie eterosessuali e il 70% di quelle omosessuali. Inoltre, i matrimoni seguiti a un corteggiamento virtuale sono più democratici in quanto mescolano gli ambienti sociali, e anche più duraturi nel tempo.
Numeri americani che fotografano una realtà anche mondiale ed italiana. È cosa assodata che il web rappresenta la moltiplicazione delle possibilità. Vent'anni fa, magari i primi amori virtuali erano visti come pura trasgressione o incontri di solitudini, mentre oggi sono un modo come un altro per trovare amici o partner. L'unica peculiarità è che quando il veicolo di contatto è la rete, l'incontro fisico è spesso preceduto da una conoscenza lenta, poi ci si vede davvero, già c'è confidenza. E questo può aiutare la tenuta di un rapporto.
Naturale, poi seguono abbracci e quant'altro perché sarà pure cambiato il modo, ma le regole dell'amore rimangono sempre le stesse!
Meglio la nonna materna!
Uno studio rivela che per i bambini è più importante la nonna materna che quella paterna.
Il fatto che la nonna materna abbia un legame speciale con i propri nipoti non è una grossa sorpresa. La sua figura è molto importante nella vita di ogni bambino a prescindere dal legame emotivo. Spesso sono proprio le nonne ad occuparsi e ad aiutare a crescere i figli dei propri figli. Stando sempre loro vicino e seguendoli fisicamente in ogni passo.
Mentre altri non sono per niente legati ai propri nonni, non vivono vicini, o addirittura c'è pure chi non li ha mai conosciuti, c'è anche chi si sentirà unito ai propri nonni per tutta la vita. Comunque la figura della nonna materna è molto particolare e i giovani la preferiscono a causa di una sorta di "continuità emozionale" che si percepisce nella parte materna della famiglia, oltre al fatto che le nonne sembrano essere più portate a dare affetto.
Alejandro Jodorowsky, saggista cileno, ha sviluppato una teoria dove spiega che non sono importanti i ricordi d'infanzia o di affinità che abbiamo con la nonna materna, perché il legame sarà sempre fortificato dai geni.
Il patrimonio genetico è trasmesso da madre a figlio ed è estremamente connesso con la nonna. Ecco il motivo per cui tra tutti i nonni, con la nonna materna si ha una maggiore quota di ereditarietà.
La somiglianza tra nonna e nipote potrà non essere fisica, ma lascia tracce a livello genetico. A volte, la somiglianza può essere ravvisata nell'andatura, in qualche espressione, nella gestualità o internamente nella conformazione delle ossa, della muscolatura o della familiarità con le patologie.
La nonna materna partecipa alla formazione del Dna del nipote e alcuni dei suoi tratti possono essere trasferiti al bambino. Tratti non solo fisici ma anche emotivi.
Secondo Jodorowsky le emozioni vissute dalle mamme durante la gravidanza si trasmettono alle proprie figlie e da loro, ai futuri nipoti. Ossia l'influenza emotiva è ancora attiva nel Dna all'interno di una generazione. Le informazioni del Dna mitocondriale arrivano alle madri quando si forma l'embrione. Il padre non possiede tali informazioni, così, i nonni paterni non hanno alcuna incidenza. Inoltre, sentimentalmente, la nonna materna è più coinvolta con la gravidanza, il parto e l'educazione dei nipoti.
Sarà per questo che tanti nipoti, in effetti, preferiscono le nonne materne. Non sapranno di preciso cosa hanno eridato da esse a livello scientifico, ma sicuramente percepiscono che la loro presenza è speciale.
Il fatto che la nonna materna abbia un legame speciale con i propri nipoti non è una grossa sorpresa. La sua figura è molto importante nella vita di ogni bambino a prescindere dal legame emotivo. Spesso sono proprio le nonne ad occuparsi e ad aiutare a crescere i figli dei propri figli. Stando sempre loro vicino e seguendoli fisicamente in ogni passo.
Mentre altri non sono per niente legati ai propri nonni, non vivono vicini, o addirittura c'è pure chi non li ha mai conosciuti, c'è anche chi si sentirà unito ai propri nonni per tutta la vita. Comunque la figura della nonna materna è molto particolare e i giovani la preferiscono a causa di una sorta di "continuità emozionale" che si percepisce nella parte materna della famiglia, oltre al fatto che le nonne sembrano essere più portate a dare affetto.
Alejandro Jodorowsky, saggista cileno, ha sviluppato una teoria dove spiega che non sono importanti i ricordi d'infanzia o di affinità che abbiamo con la nonna materna, perché il legame sarà sempre fortificato dai geni.
Il patrimonio genetico è trasmesso da madre a figlio ed è estremamente connesso con la nonna. Ecco il motivo per cui tra tutti i nonni, con la nonna materna si ha una maggiore quota di ereditarietà.
La somiglianza tra nonna e nipote potrà non essere fisica, ma lascia tracce a livello genetico. A volte, la somiglianza può essere ravvisata nell'andatura, in qualche espressione, nella gestualità o internamente nella conformazione delle ossa, della muscolatura o della familiarità con le patologie.
La nonna materna partecipa alla formazione del Dna del nipote e alcuni dei suoi tratti possono essere trasferiti al bambino. Tratti non solo fisici ma anche emotivi.
Secondo Jodorowsky le emozioni vissute dalle mamme durante la gravidanza si trasmettono alle proprie figlie e da loro, ai futuri nipoti. Ossia l'influenza emotiva è ancora attiva nel Dna all'interno di una generazione. Le informazioni del Dna mitocondriale arrivano alle madri quando si forma l'embrione. Il padre non possiede tali informazioni, così, i nonni paterni non hanno alcuna incidenza. Inoltre, sentimentalmente, la nonna materna è più coinvolta con la gravidanza, il parto e l'educazione dei nipoti.
Sarà per questo che tanti nipoti, in effetti, preferiscono le nonne materne. Non sapranno di preciso cosa hanno eridato da esse a livello scientifico, ma sicuramente percepiscono che la loro presenza è speciale.
mercoledì 22 novembre 2017
Maglioni natalizi: il trend del momento!
È il capo d'abbigliamento più di moda che ci possa essere. Quest'inverno non può non essere riscaldato dai bizzarri colori di un maglione a tema e chi realmente è una fashion victim assolutamente non può farne a meno.
Per anni, i maglioni natalizi sono stati ritenuti buffi e kitsch. Un capo d'abbigliamento quasi da dimenticare. Invece, per queste festività non c'è da scegliere solo i regali e gli addobbi per la casa; adesso c'è da scegliere anche il maglione, o jumper, come viene chiamato nei paesi anglosassoni, dove poi è stato un po' inventato...Il jumper è il must di quest'inverno!
Il maglione natalizio nella nostra cultura, era un po' quello "brutto" da indossare il giorno di Natale e che un po' ti faceva vergognare. Soprattutto dei genitori che te lo avevano comprato. Invece, ora è diventato di super moda e il mercato ne offre una scelta vastissima. A cominciare dai colori, dove oltre gli assodati rosso, bianco e verde immancabili per un maglione del genere, ci sono altre nuance più particolari, tutte però fanno da sfondo a delle decorazioni a tema o ai maxi primorilievi di rennine, babbi Natale, pupazzi di neve, alberi o quant'altro possa richiamare in modo divertente all'atmosfera della festa. Possono sembrare kitsch ma assolutamente spiritosi. E una volta superato l'imbarazzo di poter sembrare ridicoli, il maglione a tema natalizio è consigliabile anche per divenire le più ironiche del cenone.
In Inghilterra, e per una causa nobile, è poi nata addirittura la moda del Christmas Jumper Day.
Tutto cominciò e in modo abbastanza ironico, con il prorompente successo del film Il Diario di Bridget Jones. In una delle scene iniziali, e tra le più famose, il protagonista Marc Darcy (il perfettissimo Colin Firth), indossava un improponibile maglione verde con sopra una renna durante il pranzo di Natale dove conosce Bridget. Questa scena ha fatto nascere nel Regno Unito una vera e propria mania: a ridosso del Natale viene addirittura dedicata un'intera giornata a indossare questi maglioni.
Anche la Famiglia reale, regina e cargi in prima fila, seguono questa tradizione e si prestano volentieri a farsi immortalare con dei divertentissimi maglioni natalizi. Oltre ad essere una cosa simpatica, c'è anche un fine nobile.
Infatti, dal 2012, l'ente benefico Save The Children indice ogni anno la Giornata del Christmas Jumper Day, invitando tutte le celebrità a partecipare e collaborare facendo una donazione o raccogliendo fondi.
Nel 2016, la campagna è stata lanciata anche in Italia e porta il nome di "Metti un maglione e dai ai bambini un futuro migliore". Con quest'iniziativa Save The Children chiede ai personaggi famosi di farsi immortalare con dei maglioni buffi e poi il ricavato va ad aiutare i bambini bisognosi, appunto.
Il testimonial dello scorso anno è stato il rocker Manuel Agnelli, giudice di XFactor e camtante degli AfterHours. Poi a lui si sono unite diverse celebrità, come Tiziano Ferro, Gennaro Gattuso, Valeria Bilello. Tutti indossavano un bel jumper per l'occasione.
Per il 2017, il Christmas Jumper Day sarà il 15 Dicembre e Save The Children invita tutti a partecipare e a condividere ogni foto utilizzando sui social l'hastag #Christmas JumperDay.
Per partecipare basta iscriversi sul sito e organizzare una festa dove tutti dovranno indossare un maglione natalizio. L'Associazione invierà gratuitamente un kit per decorare i vostri maglioni e rendere la vostra festa davvero unica. Naturalmente, la campagna ha lo scopo di beneficenza e tutto il ricavato sarà devoluto ai bambini bisognosi di tutto il mondo.
Che dire il Natale sta arrivando...quindi è ora di indossare un jumper. Si diverrà belli e bravi!
Per anni, i maglioni natalizi sono stati ritenuti buffi e kitsch. Un capo d'abbigliamento quasi da dimenticare. Invece, per queste festività non c'è da scegliere solo i regali e gli addobbi per la casa; adesso c'è da scegliere anche il maglione, o jumper, come viene chiamato nei paesi anglosassoni, dove poi è stato un po' inventato...Il jumper è il must di quest'inverno!
Il maglione natalizio nella nostra cultura, era un po' quello "brutto" da indossare il giorno di Natale e che un po' ti faceva vergognare. Soprattutto dei genitori che te lo avevano comprato. Invece, ora è diventato di super moda e il mercato ne offre una scelta vastissima. A cominciare dai colori, dove oltre gli assodati rosso, bianco e verde immancabili per un maglione del genere, ci sono altre nuance più particolari, tutte però fanno da sfondo a delle decorazioni a tema o ai maxi primorilievi di rennine, babbi Natale, pupazzi di neve, alberi o quant'altro possa richiamare in modo divertente all'atmosfera della festa. Possono sembrare kitsch ma assolutamente spiritosi. E una volta superato l'imbarazzo di poter sembrare ridicoli, il maglione a tema natalizio è consigliabile anche per divenire le più ironiche del cenone.
In Inghilterra, e per una causa nobile, è poi nata addirittura la moda del Christmas Jumper Day.
Tutto cominciò e in modo abbastanza ironico, con il prorompente successo del film Il Diario di Bridget Jones. In una delle scene iniziali, e tra le più famose, il protagonista Marc Darcy (il perfettissimo Colin Firth), indossava un improponibile maglione verde con sopra una renna durante il pranzo di Natale dove conosce Bridget. Questa scena ha fatto nascere nel Regno Unito una vera e propria mania: a ridosso del Natale viene addirittura dedicata un'intera giornata a indossare questi maglioni.
Anche la Famiglia reale, regina e cargi in prima fila, seguono questa tradizione e si prestano volentieri a farsi immortalare con dei divertentissimi maglioni natalizi. Oltre ad essere una cosa simpatica, c'è anche un fine nobile.
Infatti, dal 2012, l'ente benefico Save The Children indice ogni anno la Giornata del Christmas Jumper Day, invitando tutte le celebrità a partecipare e collaborare facendo una donazione o raccogliendo fondi.
Nel 2016, la campagna è stata lanciata anche in Italia e porta il nome di "Metti un maglione e dai ai bambini un futuro migliore". Con quest'iniziativa Save The Children chiede ai personaggi famosi di farsi immortalare con dei maglioni buffi e poi il ricavato va ad aiutare i bambini bisognosi, appunto.
Il testimonial dello scorso anno è stato il rocker Manuel Agnelli, giudice di XFactor e camtante degli AfterHours. Poi a lui si sono unite diverse celebrità, come Tiziano Ferro, Gennaro Gattuso, Valeria Bilello. Tutti indossavano un bel jumper per l'occasione.
Per il 2017, il Christmas Jumper Day sarà il 15 Dicembre e Save The Children invita tutti a partecipare e a condividere ogni foto utilizzando sui social l'hastag #Christmas JumperDay.
Per partecipare basta iscriversi sul sito e organizzare una festa dove tutti dovranno indossare un maglione natalizio. L'Associazione invierà gratuitamente un kit per decorare i vostri maglioni e rendere la vostra festa davvero unica. Naturalmente, la campagna ha lo scopo di beneficenza e tutto il ricavato sarà devoluto ai bambini bisognosi di tutto il mondo.
Che dire il Natale sta arrivando...quindi è ora di indossare un jumper. Si diverrà belli e bravi!
Sono i giovani uomini il vero "pericolo pubblico"
Al volante. Cade un altro falso mito: gli uomini sono il vero pericolo al volante e non le donne. I più distratti sono gli estroversi ed i nevrotici.
Innegabile! Si credono tanto perfetti e poi fanno un mare di errori. Tanto da far crollare un vecchio luogo comune anche piuttosto diffuso. Ma, uno studio rivela che il vero "pericolo pubblico" alla guida sono i giovani uomini e non le donne. Loro quelli più distratti al volante. Spesso dovuto alla guida massiva o alla personalità estroversa o nevrotica.
Lo chiarisce bene una ricerca dell'Institute of Transport Economics, in Norvegia, pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology. Per la prima volta è stato analizzato come i tratti della personalità influenzino la distrazione alla guida. Un fenomeno di assoluta importanza se si considera che secondo quanto riporta l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono un milione le persone uccise in incidenti stradali ogni anno e due soli secondi di distrazione aumentano enormemente il rischio di essere coinvolti in un sinistro.
Come purtroppo già noto, le azioni che più rappresentano fattori di rischio sono il rispondere al telefono o sintonizzare la radio. Distrazioni che aumentano enormemente il pericolo d'incidenti.
La ricerca è stata condotta su due gruppi di persone: un primo composto da 1.100 studenti di scuole superiori; un secondo da un campione di 617 uomini e donne rappresentativo della popolazione norvegese. Sono stati somministrati loro degli appositi questionari sulle distrazioni alla guida e i risultati hanno permesso di rilevare che le donne, soprattutto un po' più adulte, e coloro che sentivano di poter avere il controllo di ciò che può disturbare al volante riportavano meno disattenzioni.
Ole Johansson, autore dello studio, spiega: "Interventi su misura potrebbero concentrarsi sui gruppi a rischio, con i giovani maschi con una guida non attenta e una bassa convinzione di poter controllare la distrazione".
Insomma, questo studio sottolinea ciò che comunemente migliaia di autiste donne constatano quotidianamente. Tanta convinzione e maleducazione da parte dei maschietti che troppo superficialmente sorvolano su tante piccole accortezze alla guida diventando poi, in realtà, causa di tanto pericolo pubblico.
Innegabile! Si credono tanto perfetti e poi fanno un mare di errori. Tanto da far crollare un vecchio luogo comune anche piuttosto diffuso. Ma, uno studio rivela che il vero "pericolo pubblico" alla guida sono i giovani uomini e non le donne. Loro quelli più distratti al volante. Spesso dovuto alla guida massiva o alla personalità estroversa o nevrotica.
Lo chiarisce bene una ricerca dell'Institute of Transport Economics, in Norvegia, pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology. Per la prima volta è stato analizzato come i tratti della personalità influenzino la distrazione alla guida. Un fenomeno di assoluta importanza se si considera che secondo quanto riporta l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sono un milione le persone uccise in incidenti stradali ogni anno e due soli secondi di distrazione aumentano enormemente il rischio di essere coinvolti in un sinistro.
Come purtroppo già noto, le azioni che più rappresentano fattori di rischio sono il rispondere al telefono o sintonizzare la radio. Distrazioni che aumentano enormemente il pericolo d'incidenti.
La ricerca è stata condotta su due gruppi di persone: un primo composto da 1.100 studenti di scuole superiori; un secondo da un campione di 617 uomini e donne rappresentativo della popolazione norvegese. Sono stati somministrati loro degli appositi questionari sulle distrazioni alla guida e i risultati hanno permesso di rilevare che le donne, soprattutto un po' più adulte, e coloro che sentivano di poter avere il controllo di ciò che può disturbare al volante riportavano meno disattenzioni.
Ole Johansson, autore dello studio, spiega: "Interventi su misura potrebbero concentrarsi sui gruppi a rischio, con i giovani maschi con una guida non attenta e una bassa convinzione di poter controllare la distrazione".
Insomma, questo studio sottolinea ciò che comunemente migliaia di autiste donne constatano quotidianamente. Tanta convinzione e maleducazione da parte dei maschietti che troppo superficialmente sorvolano su tante piccole accortezze alla guida diventando poi, in realtà, causa di tanto pericolo pubblico.
martedì 21 novembre 2017
Sempre meno mammoni!!
Gli italiani sono cresciuti! I dati Eurostat parlano di un miglioramento sebbene il 66% dei giovani tra i 18 e i 34 anni restano ancora a casa con i genitori. Al 2° posto in Europa.
Sempre meno mammoni in Italia. Dopo 10 anni di crescita, nel 2016 si è registrato un lieve calo. Nell'anno, secondo i dati Eurostat, da poco resi noti, la percentuale di coloro che hanno tra i 18 e i 34 anni che vive con i genitori è il 66%, in calo rispetto al 67,3% del 2015. Sono più mammoni degli italiani solo i giovani croati, mentre la media dell'UE si assesta ai 28 anni ed è del 48,1%.
Piccoli passi. Infatti se si prende in considerazione la fascia tra i 25-34 anni , cioè quella nella quale si dovrebbe cercare lavoro e uscire da casa dopo aver terminato gli studi, nel Belpaese la percentuale è al 49,1%, meno del 2015 ma sicuramente lontana dalla media europea del 28,6%.
Va decisamente meglio agli altri cugini del Vecchio Continente. Lì per quellu che hanno un'età compresa tra i 25 e i 30 anni, vivere in famiglia è nella maggior parte dei casi solo un ricordo lontano dell'infanzia...Si hanno più condizioni favorevoli per abbandonare il nido.
In Danimarca vive con i genitori solo il 3,8% della fascia considerata, lo stesso avviene in Finlandia dove rimane con mamma e papà solo il 4,3% e ancora più indipendenti sono gli svedesi con il loro 6%. Meno bene ma comunque meglio che da noi, è poi la situazione in Francia dove i giovani che vivono nella famiglia d'origine dono una piccola minoranza, circa il 13,4% (comunque in crescita dal 10,1% del 2015).
Sono tanti i fattori che inducono i giovani a restare nella casa natia ben oltre l'età che comincia ad essere adulta. Per buona pace dei presuntuosi benpensanti o politici dalle tasche gonfie e lingue lunghe, i "bamboccioni" rimangono tali perché spesso mancano le condizioni economiche per far sì che si possa spiccare il volo. In Italia manca il lavoro, soprattutto fra i giovani, e quando c'è le paghe sono nettamente inferiori a quelle che spettano ai giovani nel resto dell'Europa.
Sempre meno mammoni in Italia. Dopo 10 anni di crescita, nel 2016 si è registrato un lieve calo. Nell'anno, secondo i dati Eurostat, da poco resi noti, la percentuale di coloro che hanno tra i 18 e i 34 anni che vive con i genitori è il 66%, in calo rispetto al 67,3% del 2015. Sono più mammoni degli italiani solo i giovani croati, mentre la media dell'UE si assesta ai 28 anni ed è del 48,1%.
Piccoli passi. Infatti se si prende in considerazione la fascia tra i 25-34 anni , cioè quella nella quale si dovrebbe cercare lavoro e uscire da casa dopo aver terminato gli studi, nel Belpaese la percentuale è al 49,1%, meno del 2015 ma sicuramente lontana dalla media europea del 28,6%.
Va decisamente meglio agli altri cugini del Vecchio Continente. Lì per quellu che hanno un'età compresa tra i 25 e i 30 anni, vivere in famiglia è nella maggior parte dei casi solo un ricordo lontano dell'infanzia...Si hanno più condizioni favorevoli per abbandonare il nido.
In Danimarca vive con i genitori solo il 3,8% della fascia considerata, lo stesso avviene in Finlandia dove rimane con mamma e papà solo il 4,3% e ancora più indipendenti sono gli svedesi con il loro 6%. Meno bene ma comunque meglio che da noi, è poi la situazione in Francia dove i giovani che vivono nella famiglia d'origine dono una piccola minoranza, circa il 13,4% (comunque in crescita dal 10,1% del 2015).
Sono tanti i fattori che inducono i giovani a restare nella casa natia ben oltre l'età che comincia ad essere adulta. Per buona pace dei presuntuosi benpensanti o politici dalle tasche gonfie e lingue lunghe, i "bamboccioni" rimangono tali perché spesso mancano le condizioni economiche per far sì che si possa spiccare il volo. In Italia manca il lavoro, soprattutto fra i giovani, e quando c'è le paghe sono nettamente inferiori a quelle che spettano ai giovani nel resto dell'Europa.
Tendenze Natale 2017
Il conto alla rovescia per il Natale è comiciato! Manca poco più di un mese ed è tempo di informarsi sui nuovi trend per decorare le nostre abitazioni.
Il Natale è il periodo preferito dell'anno non solo per i bambini smaniosi di giorni di vacanza e ricchi di doni, ma anche per tutte quelle persone che amano decorare con cura e attenzione la propria casa e quindi, in questo periodo possono dare libero sfogo alla loro creatività. Anche perché una casa addobbata ad hoc, ricca di simbolismi e richiami che rimandano alla festa rendono sicuramente l'ambiente più accogliente e ne esalta l'atmosfera magica che solo il Natale riesce a portare.
Quest'anno gli amanti del Natale tradizionale non rimarranno delusi, perché molto gettonate sono le proposte classiche dei colori rosso, verde e bianco declinati nel trendissimo stile country, ricco di fiocchi, nastri, festoni di pino, ghirlande, alberi addobbati, stelle di Natale, decorazioni in tartan e si devono abbinare a tema anche i cuscini, le luci e le immancabili candele, bianche.
Con lo stile country non si fallisce. Ricco inoltre di pupazzi, carillon, villaggi illuminati e macchinine sembra essere stato pensato a posta per far felici i bambini.
Per chi invece si volesse attenere ad un Natale minimal, è decisamente preferibile lo stile del Natale nordico che prende spunto dalla natura. In questo caso si prediligono decorazioni semplici, realizzate con materiali naturali e scandite da tonalità neutre. Per ricreare un perfetto stile nordico si devono assolutamente utilizzare i rami intrecciati, corone di pino, pigne, muschio, il tutto da mixare con oggetti in vetro, metallo, tessili in lana, lino e anche juta. Immancabili anche in questo caso le candele, rigorosamente bianche, dei fili luminosi e qualche bulbo per creare fantastici centro tavola.
Invece chi decisamente ha dei gusti più moderni e chic dovrà optare decisamente per l'oro. Dalla tavola alle decorazioni per l'albero e la casa, sono molte le proposte dei principali brand del settore che mixano l'elegante color oro con il bianco.
In effetti, l'oro è un classico del Natale, che ogni anno, trova accostamenti nuovi, pur rimanendo evergreen, ma quest'anno sarà utilissimo per arricchire anche gli alberi, con palline e decorazioni di questa tonalità. E ricoperta d'oro dovrebbe essere soprattutto la tavola. Dopo anni e anni di crisi, è arrivato finalmente il momento di riconcedersi qualche lusso.
Mentre per quanto riguarda i must culinari, oltre agli assodati panettoni, pandori e panforte, sulle tavole non deve assolutamente mancare un rustico di pasta sfoglia, preferibilmente sottoforma di stella o del super gettonato albero di Natale.
Queste sono le tendenze, qualche buona notizia di ripresa anche economica sta arrivando, le feste sono alle porte, non tocca che mettersi di buono spirito e godersi in armonia questi splendidi giorni.
Il Natale è il periodo preferito dell'anno non solo per i bambini smaniosi di giorni di vacanza e ricchi di doni, ma anche per tutte quelle persone che amano decorare con cura e attenzione la propria casa e quindi, in questo periodo possono dare libero sfogo alla loro creatività. Anche perché una casa addobbata ad hoc, ricca di simbolismi e richiami che rimandano alla festa rendono sicuramente l'ambiente più accogliente e ne esalta l'atmosfera magica che solo il Natale riesce a portare.
Quest'anno gli amanti del Natale tradizionale non rimarranno delusi, perché molto gettonate sono le proposte classiche dei colori rosso, verde e bianco declinati nel trendissimo stile country, ricco di fiocchi, nastri, festoni di pino, ghirlande, alberi addobbati, stelle di Natale, decorazioni in tartan e si devono abbinare a tema anche i cuscini, le luci e le immancabili candele, bianche.
Con lo stile country non si fallisce. Ricco inoltre di pupazzi, carillon, villaggi illuminati e macchinine sembra essere stato pensato a posta per far felici i bambini.
Per chi invece si volesse attenere ad un Natale minimal, è decisamente preferibile lo stile del Natale nordico che prende spunto dalla natura. In questo caso si prediligono decorazioni semplici, realizzate con materiali naturali e scandite da tonalità neutre. Per ricreare un perfetto stile nordico si devono assolutamente utilizzare i rami intrecciati, corone di pino, pigne, muschio, il tutto da mixare con oggetti in vetro, metallo, tessili in lana, lino e anche juta. Immancabili anche in questo caso le candele, rigorosamente bianche, dei fili luminosi e qualche bulbo per creare fantastici centro tavola.
Invece chi decisamente ha dei gusti più moderni e chic dovrà optare decisamente per l'oro. Dalla tavola alle decorazioni per l'albero e la casa, sono molte le proposte dei principali brand del settore che mixano l'elegante color oro con il bianco.
In effetti, l'oro è un classico del Natale, che ogni anno, trova accostamenti nuovi, pur rimanendo evergreen, ma quest'anno sarà utilissimo per arricchire anche gli alberi, con palline e decorazioni di questa tonalità. E ricoperta d'oro dovrebbe essere soprattutto la tavola. Dopo anni e anni di crisi, è arrivato finalmente il momento di riconcedersi qualche lusso.
Mentre per quanto riguarda i must culinari, oltre agli assodati panettoni, pandori e panforte, sulle tavole non deve assolutamente mancare un rustico di pasta sfoglia, preferibilmente sottoforma di stella o del super gettonato albero di Natale.
Queste sono le tendenze, qualche buona notizia di ripresa anche economica sta arrivando, le feste sono alle porte, non tocca che mettersi di buono spirito e godersi in armonia questi splendidi giorni.
lunedì 20 novembre 2017
L'app che fa coltivare orti veri a distanza...
...E poi arriva "quello che passa il convento". Merito del progetto dei "Coltivatori di emozioni" che propongono un'agricoltura sociale.
Se siete appassionati di giardinaggio o agricoltura, ma vivete in città o semplicemente non avete un appezzamento di terreno di vostra proprietà, non preoccupatevi. Arriva ora la piattaforma digitale farming italiana, fondata da Paolo Galluso nel 2016, che ha lo scopo di avvicinare il consumatore alla natura e alle attività agricole rendendolo partecipe del ciclo biologico e dandogli la possibilità di gustare un prodotto sano e genuino ottenuto attraverso coltivazioni che non utilizzano prodotti chimici dannosi.
Inoltre, permette di coltivare e ricevere a distanza i prodotti tipici della nostra terra, sostenendo il territorio, l'ambiente e le tradizioni del nostro Paese.
La piattaforma s'intitola "Coltivatori di emozioni" e ha ideato il progetto Quel che passa il convento dove il convento in questione è quello di San Pietro Celestino V a Ripolimasani (CB) per sviluppare percorsi di agricoltura sociale valorizzando le risorse del territorio e favorendo l'integrazione socio-lavorativa delle fasce più deboli di popolazione.
Con questo progetto si faranno percorsi formativi diversi, in particolare nell'ambito dell'orticoltura e nella coltivazione di canapa; favorirà l'inserimento lavorativo di migranti e richiedenti asilo; offrirà percorsi terapeutici a contatto con la natura a persone in condizioni di originalità sociale, organizzerà un "orto didattico" per iniziative rivolte ai ragazzi che frequentano il ciclo scolastico primario e secondario di primo grado. Infine incentiverà l'uso produttivo di terre incolte e abbandonate.
Non a caso l'ideatore dell'ambizioso progetto è Paolo Galluso, responsabile Centro Studi Federazione ANIMA e docente di Microeconomia e promuove la nascita di un nuovo ciclo di produzione responsabile in grado di dare vita a prodotti genuini, proteggere le tradizioni e la natura, sostenere le microeconomie locali, creando opportunità di lavoro per i giovani, disoccupati e emarginati.
Tutto è spiegato nel sito www.coltivatori diemozioni.com, dove si può anche "adottare la natura", un coltivato a scelta tra ulivi, filari per il vino, arnie e frumento. Così anche chi vive in città può divenire "proprietario" di una coltivazione, seguirne l'andamento vegetativo stagionale e infine ricevere a casa e gustare ciò che la terra produce.
Sono quattro le tipologie di adozione e azionano un contatore visibile direttamente sul sito: mille unità adottate equivalgono a un nuovo posto di lavoro. Si va dall'adozione semplice, alla modalità "adotta e assapora" che permette di ricevere anche un assaggio del prodotto. Oppure c'è "adotta e cresci" dove è possibile seguire il ciclo produttivo e ricevere direttamente a casa i prodotti (vino, olio, miele). Infine, "adotta e vivi un'emozione" che offre la possibilità di trascorrere una giornata a contatto con la natura nell'azienda agricola che ha in cura i coltivi adottati.
Dopo ogni transazione il sistema rilascia il Certificato di Adozione, un atto simbolico che suggella il patto con la natura.
L'iniziativa è patrocinata da: Regione Puglia, Comune di Novoli, GAL Valle della Cupe, Fondazione Emmanuel (Centro Temporanea Permanenza richiedenti Protezione Internazionale), Stato Generali dell'Innovazione, Comunità Mantea Oltrepò Pavese e GAL Etna Sud.
Fino a qualche anno fa c'era la moda di Farmville la fattoria virtuale che appassionava migliaia di provetti agricoltori in tutto il mondo, senza però poter beneficiare dei frutti di tanto lavori...molto meglio questo tipo di agricoltura dove il lavoro lo si crea (anche per gli altri) ed i frutti e buoni, sì che ci sono.
Se siete appassionati di giardinaggio o agricoltura, ma vivete in città o semplicemente non avete un appezzamento di terreno di vostra proprietà, non preoccupatevi. Arriva ora la piattaforma digitale farming italiana, fondata da Paolo Galluso nel 2016, che ha lo scopo di avvicinare il consumatore alla natura e alle attività agricole rendendolo partecipe del ciclo biologico e dandogli la possibilità di gustare un prodotto sano e genuino ottenuto attraverso coltivazioni che non utilizzano prodotti chimici dannosi.
Inoltre, permette di coltivare e ricevere a distanza i prodotti tipici della nostra terra, sostenendo il territorio, l'ambiente e le tradizioni del nostro Paese.
La piattaforma s'intitola "Coltivatori di emozioni" e ha ideato il progetto Quel che passa il convento dove il convento in questione è quello di San Pietro Celestino V a Ripolimasani (CB) per sviluppare percorsi di agricoltura sociale valorizzando le risorse del territorio e favorendo l'integrazione socio-lavorativa delle fasce più deboli di popolazione.
Con questo progetto si faranno percorsi formativi diversi, in particolare nell'ambito dell'orticoltura e nella coltivazione di canapa; favorirà l'inserimento lavorativo di migranti e richiedenti asilo; offrirà percorsi terapeutici a contatto con la natura a persone in condizioni di originalità sociale, organizzerà un "orto didattico" per iniziative rivolte ai ragazzi che frequentano il ciclo scolastico primario e secondario di primo grado. Infine incentiverà l'uso produttivo di terre incolte e abbandonate.
Non a caso l'ideatore dell'ambizioso progetto è Paolo Galluso, responsabile Centro Studi Federazione ANIMA e docente di Microeconomia e promuove la nascita di un nuovo ciclo di produzione responsabile in grado di dare vita a prodotti genuini, proteggere le tradizioni e la natura, sostenere le microeconomie locali, creando opportunità di lavoro per i giovani, disoccupati e emarginati.
Tutto è spiegato nel sito www.coltivatori diemozioni.com, dove si può anche "adottare la natura", un coltivato a scelta tra ulivi, filari per il vino, arnie e frumento. Così anche chi vive in città può divenire "proprietario" di una coltivazione, seguirne l'andamento vegetativo stagionale e infine ricevere a casa e gustare ciò che la terra produce.
Sono quattro le tipologie di adozione e azionano un contatore visibile direttamente sul sito: mille unità adottate equivalgono a un nuovo posto di lavoro. Si va dall'adozione semplice, alla modalità "adotta e assapora" che permette di ricevere anche un assaggio del prodotto. Oppure c'è "adotta e cresci" dove è possibile seguire il ciclo produttivo e ricevere direttamente a casa i prodotti (vino, olio, miele). Infine, "adotta e vivi un'emozione" che offre la possibilità di trascorrere una giornata a contatto con la natura nell'azienda agricola che ha in cura i coltivi adottati.
Dopo ogni transazione il sistema rilascia il Certificato di Adozione, un atto simbolico che suggella il patto con la natura.
L'iniziativa è patrocinata da: Regione Puglia, Comune di Novoli, GAL Valle della Cupe, Fondazione Emmanuel (Centro Temporanea Permanenza richiedenti Protezione Internazionale), Stato Generali dell'Innovazione, Comunità Mantea Oltrepò Pavese e GAL Etna Sud.
Fino a qualche anno fa c'era la moda di Farmville la fattoria virtuale che appassionava migliaia di provetti agricoltori in tutto il mondo, senza però poter beneficiare dei frutti di tanto lavori...molto meglio questo tipo di agricoltura dove il lavoro lo si crea (anche per gli altri) ed i frutti e buoni, sì che ci sono.
I figli più poveri dei genitori
Lo rivela il rapporto Caritas. Un giovane su dieci è povero assoluto, nel 2007 era uno su cinquanta. Monsignor Galatino rivela: "Dati straordinariamente negativi, non si tratta solo dei clochard. Oltre 200 mila persone hanno chiesto aiuto".
I dati parlano chiaro: i figli stanno peggio dei genitori, i nipoti peggio dei nonni. In Italia la povertà cresce al diminuire della città. In particolare, ad esserne più colpiti, sono i capofamiglia sotto i 34 anni, sempre più in difficoltà.
I tassi di disoccupazione giovanile (37,8% nel 2016) sono tra i più alti d'Europa (18,7%), l'ascensore sociale è bloccato e si registra un record di Neet (26%).
Nel corso dell'anno passato, si sono rivolte ai Centri di ascolto in rete (Cda) della Caritas 205.090 persone, di cui il 22,7% ha meno di 34 anni. Numeri allarmanti riuniti nel Rapporto "Futuro anteriore" e su povertà giovanile ed esclusione sociale 2017.
Altra nota importante è che il 42,8% è italiano. La maggior parte ha chiesto aiuto ai Cda del Nord (46%), dove vivono più stranieri, il 33,7 nel Centro, il 20,2% al Sud. Inoltre, il 43,8% è nuovo utente. L'età media è di 43,6 anni, il 64,4% è disoccupato.
La povertà inoltre è paritaria, colpisce sia gli uomini (49,2%) e donne (50,8%). Prevalgono le famiglie tradizionali con coniugi e figli (35,0%), seguite da quelle unipersonali (25,7%) in netto aumento rispetto al 2015. I senza dimora sono il 17,8% anch'essi in crescita e si attestano intorno alle 26mila persone.
Il problema più frequente anche nel 2016 è la povertà economica (76,7%), seguita da problemi occupazionali (56,9%) abitativi (24,1%) e familiari (14,0%). Le richieste più frequenti riguardano beni e servizi materiali (60,6%), sussidi economici (25,7%) e richieste per lavoro (14,0%) o alloggio (7,7%).
Un mare di richieste d'aiuto tra cui emerge la triste condizione secondo cui quella giovanile è più critica degli anziani. Da cinque anni è "più allarmante di quella vissuta un decennio fa dagli over 65". Nel nostro Paese 1 giovane su 10 vive in uno stato di povertà assoluta; nel 2007 era appena uno su cinquanta. Invece, diminuiscono i poveri tra gli over 65 (da 4,8% a 3,8%). Dal 1995 il divario di ricchezza tra giovani e anziani si è ampliato: la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia di 18-34 anni è meno della metà, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%.
Dati allarmanti che ci fanno aprire gli occhi sulla povertà. Erroneamente si è sempre ritenuto che la figura del povero fosse riconducibile soltanto a quella del clochard sdraiato sotto un ponte, o dell'immigrato che sbarca sulle nostre coste, invece la povertà ha allargato i suoi tentacoli. È una nuova povertà, negativa e meno materiale che va a ledere la fiducia nel progettare il proprio futuro, va a minare le possibilità di crearsi delle alternative a una vita di dipendenza. È una povertà ancora più crudele e spietata perché va a toccare i giovani.
I dati parlano chiaro: i figli stanno peggio dei genitori, i nipoti peggio dei nonni. In Italia la povertà cresce al diminuire della città. In particolare, ad esserne più colpiti, sono i capofamiglia sotto i 34 anni, sempre più in difficoltà.
I tassi di disoccupazione giovanile (37,8% nel 2016) sono tra i più alti d'Europa (18,7%), l'ascensore sociale è bloccato e si registra un record di Neet (26%).
Nel corso dell'anno passato, si sono rivolte ai Centri di ascolto in rete (Cda) della Caritas 205.090 persone, di cui il 22,7% ha meno di 34 anni. Numeri allarmanti riuniti nel Rapporto "Futuro anteriore" e su povertà giovanile ed esclusione sociale 2017.
Altra nota importante è che il 42,8% è italiano. La maggior parte ha chiesto aiuto ai Cda del Nord (46%), dove vivono più stranieri, il 33,7 nel Centro, il 20,2% al Sud. Inoltre, il 43,8% è nuovo utente. L'età media è di 43,6 anni, il 64,4% è disoccupato.
La povertà inoltre è paritaria, colpisce sia gli uomini (49,2%) e donne (50,8%). Prevalgono le famiglie tradizionali con coniugi e figli (35,0%), seguite da quelle unipersonali (25,7%) in netto aumento rispetto al 2015. I senza dimora sono il 17,8% anch'essi in crescita e si attestano intorno alle 26mila persone.
Il problema più frequente anche nel 2016 è la povertà economica (76,7%), seguita da problemi occupazionali (56,9%) abitativi (24,1%) e familiari (14,0%). Le richieste più frequenti riguardano beni e servizi materiali (60,6%), sussidi economici (25,7%) e richieste per lavoro (14,0%) o alloggio (7,7%).
Un mare di richieste d'aiuto tra cui emerge la triste condizione secondo cui quella giovanile è più critica degli anziani. Da cinque anni è "più allarmante di quella vissuta un decennio fa dagli over 65". Nel nostro Paese 1 giovane su 10 vive in uno stato di povertà assoluta; nel 2007 era appena uno su cinquanta. Invece, diminuiscono i poveri tra gli over 65 (da 4,8% a 3,8%). Dal 1995 il divario di ricchezza tra giovani e anziani si è ampliato: la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia di 18-34 anni è meno della metà, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%.
Dati allarmanti che ci fanno aprire gli occhi sulla povertà. Erroneamente si è sempre ritenuto che la figura del povero fosse riconducibile soltanto a quella del clochard sdraiato sotto un ponte, o dell'immigrato che sbarca sulle nostre coste, invece la povertà ha allargato i suoi tentacoli. È una nuova povertà, negativa e meno materiale che va a ledere la fiducia nel progettare il proprio futuro, va a minare le possibilità di crearsi delle alternative a una vita di dipendenza. È una povertà ancora più crudele e spietata perché va a toccare i giovani.
venerdì 17 novembre 2017
Chris Ulman il prof che insegna l'autostima ai bimbi affetti da disabilità
Lui è l'insegnante che ogni giorno fa 10 minuti di complimenti ai suoi studenti disabili.
Occhi azzurri e sorriso smagliante. Potrebbe fare il modello se non fosse che ha pure un cuore d'oro ed ha dedicato la sua vita all'insegnamento ai bambini affetti da disabilità. Si chiama Chris Ulman ed è un docente di Jacksonville, in Florida. Lui si è inventato un metodo per cui ogni mattina apre le sue lezioni elogiando uno alla volta tutti i suoi piccoli studenti. Così lui insegna l'autostima ai bimbi diversamente abili, soffermandosi ogni giorno sulle loro qualità e sulle cose che sanno fare meglio, in modo che imparino a guardare se stessi con occhi diversi.
Da ormai 3 anni Ulman è responsabile di una classe "mista" composta da bambini affetti da diverse patologie, che spaziano dall'autismo alla sindrome di Down, a disturbi neurologici fino a lesioni cerebrali gravi. Ultimamente, grazie al consenso dei loro genitori, documenta le giornate scolastiche con dei video postati sulla pagina Facebook: Special Books by Special Kids. Rendendo così, visibile a tutti il suo metedo educativo.
I suoi alunni hanno risposto bene, tanto che Ulman commenta: "Provengono tutti da esperienze di segregazione, nel senso che sono sempre stati separati dagli altri studenti. Ora invece partecipano alle attività scolastiche, ballano di fronte a centinaia di altri bambini e prendono la parola nei dibattiti".
L'insegnante non vuole meriti ma ammette che tali progressi sono dovuti ad un approccio educativo diverso, basato soprattutto su empatia e autostima. Per questo, ogni mattina prima di cominciare le lezioni esprime a ciascuno dei suoi studenti la sua soddisfazione nel vederlo lì e si complimenta per i traguardi raggiunti, siano corsi scolastici, sportivi o di altro genere.
"L'importante è che l'allievo si senta apprezzato, compreso e di conseguenza stimolato a fare meglio imparando, nello stesso tempo, a riconoscere i successi dei suoi compagni e gioire con loro". Inoltre aggiunge: "Il mio lavoro è di invertire la loro impostazione psicologica e aiutarli ad avere stima di sé. Ricordare loro le qualità che possiedono sposta l'attenzione da ciò che non possono fare a quello che, invece, sanno e possono fare. I bambini sono diventati molto più socievoli e anche le loro abilità comunicative, verbali e non, sono migliorate notevolmente".
Ulman avrebbe voluto pubblicare un libro dove raccontare le storie anche di progressi dei suoi ragazzi ma dopo aver ricevuto una cinquantina di rifiuti da altrettante case editrici, l'insegnante ha deciso di utilizzare i social media per divulgare la sua esperienza ed insegnare alle persone ad immedesimarsi nei suoi allievi, comprendendone meglio la realtà e le esigenze.
Purtroppo, le nozioni si possono insegnare ma per far capire o far provare reale empatia bisogna ancora lavorare duro.
Occhi azzurri e sorriso smagliante. Potrebbe fare il modello se non fosse che ha pure un cuore d'oro ed ha dedicato la sua vita all'insegnamento ai bambini affetti da disabilità. Si chiama Chris Ulman ed è un docente di Jacksonville, in Florida. Lui si è inventato un metodo per cui ogni mattina apre le sue lezioni elogiando uno alla volta tutti i suoi piccoli studenti. Così lui insegna l'autostima ai bimbi diversamente abili, soffermandosi ogni giorno sulle loro qualità e sulle cose che sanno fare meglio, in modo che imparino a guardare se stessi con occhi diversi.
Da ormai 3 anni Ulman è responsabile di una classe "mista" composta da bambini affetti da diverse patologie, che spaziano dall'autismo alla sindrome di Down, a disturbi neurologici fino a lesioni cerebrali gravi. Ultimamente, grazie al consenso dei loro genitori, documenta le giornate scolastiche con dei video postati sulla pagina Facebook: Special Books by Special Kids. Rendendo così, visibile a tutti il suo metedo educativo.
I suoi alunni hanno risposto bene, tanto che Ulman commenta: "Provengono tutti da esperienze di segregazione, nel senso che sono sempre stati separati dagli altri studenti. Ora invece partecipano alle attività scolastiche, ballano di fronte a centinaia di altri bambini e prendono la parola nei dibattiti".
L'insegnante non vuole meriti ma ammette che tali progressi sono dovuti ad un approccio educativo diverso, basato soprattutto su empatia e autostima. Per questo, ogni mattina prima di cominciare le lezioni esprime a ciascuno dei suoi studenti la sua soddisfazione nel vederlo lì e si complimenta per i traguardi raggiunti, siano corsi scolastici, sportivi o di altro genere.
"L'importante è che l'allievo si senta apprezzato, compreso e di conseguenza stimolato a fare meglio imparando, nello stesso tempo, a riconoscere i successi dei suoi compagni e gioire con loro". Inoltre aggiunge: "Il mio lavoro è di invertire la loro impostazione psicologica e aiutarli ad avere stima di sé. Ricordare loro le qualità che possiedono sposta l'attenzione da ciò che non possono fare a quello che, invece, sanno e possono fare. I bambini sono diventati molto più socievoli e anche le loro abilità comunicative, verbali e non, sono migliorate notevolmente".
Ulman avrebbe voluto pubblicare un libro dove raccontare le storie anche di progressi dei suoi ragazzi ma dopo aver ricevuto una cinquantina di rifiuti da altrettante case editrici, l'insegnante ha deciso di utilizzare i social media per divulgare la sua esperienza ed insegnare alle persone ad immedesimarsi nei suoi allievi, comprendendone meglio la realtà e le esigenze.
Purtroppo, le nozioni si possono insegnare ma per far capire o far provare reale empatia bisogna ancora lavorare duro.
La solitudine, 15 minuti al giorno aiutano a stare meglio
Elogio alla solitudine che aiuta a sentirsi in pace. Diversamente l'isolamento sociale che invece è negativo.
I poeti, i sognatori, gli idealisti e perché no, anche i riflessivi già lo sapevano, la solitudine è un toccasana. Uno studio rivela ora che trascorrere 15 minuti al giorno in solitudine può far sentire più in pace e calmi.
Lo evidenzia uno studio condotto dall'Università di Rochester, pubblicato su Personality and Social Psychology Bulletin. Per dimostrare i benefici dei momenti di solitudine scelti con accortezza, differenti dall'isolamento sociale che invece secondo diversi studi ha effetti negativi, sono state prese in esame per un esperimento 114 persone, a cui è stato chiesto di sedere da soli per 15 minuti, riducendo così il carico emotivo e di interesse suscitato da 15 minuti di conversazione.
Quando poi è stato chiesto loro di compilare un questionario, i partecipanti all'esperimento mostravano di avere meno probabilità di provare emozioni negative tra cui irritabilità, sofferenza o agitazione.
Per maggior sicurezza è seguita un'altra prova che ha coinvolto 1000 persone e ha mostrato invece che per il benessere non era importante cosa si facesse da soli, se si rimanesse in compagnia dei propri pensieri o si leggesse un libro. La cosa sorprendente è che dopo 15 minuti in alcuni subentrava una sensazione di solitudine.
Dopo, un secondo esperimento ha coinvolto 173 persone, a cui è stato chiesto di trascorrere da sole un quarto d'ora al giorno per una settimana, non facendolo poi per altri sette giorni.
Mentre è stato evidenziato che stare da soli per un periodo limitato, soprattutto se si sceglie di farlo volontariamente, aumenta le sensazioni riconducibili alla pace e al relax. Praticamente si mitigano gli aspetti positivi legati alla società se se ne recuperano altri, soprattutto quando si ha bisogno di un momento di decompressione.
Quindi è bello e utile starsene un po' da soli, perché come riporta un vecchio adagio: "Per stare bene con gli altri, devi stare prima bene con te stesso".
I poeti, i sognatori, gli idealisti e perché no, anche i riflessivi già lo sapevano, la solitudine è un toccasana. Uno studio rivela ora che trascorrere 15 minuti al giorno in solitudine può far sentire più in pace e calmi.
Non conta il facendo cosa, si può leggere un libro, così come si può ascoltare musica o lasciar fluire i pensieri, l'importante è far passare un quarto d'ora della giornata stando da soli, perché aiuta a sentirsi meglio.
Lo evidenzia uno studio condotto dall'Università di Rochester, pubblicato su Personality and Social Psychology Bulletin. Per dimostrare i benefici dei momenti di solitudine scelti con accortezza, differenti dall'isolamento sociale che invece secondo diversi studi ha effetti negativi, sono state prese in esame per un esperimento 114 persone, a cui è stato chiesto di sedere da soli per 15 minuti, riducendo così il carico emotivo e di interesse suscitato da 15 minuti di conversazione.
Quando poi è stato chiesto loro di compilare un questionario, i partecipanti all'esperimento mostravano di avere meno probabilità di provare emozioni negative tra cui irritabilità, sofferenza o agitazione.
Per maggior sicurezza è seguita un'altra prova che ha coinvolto 1000 persone e ha mostrato invece che per il benessere non era importante cosa si facesse da soli, se si rimanesse in compagnia dei propri pensieri o si leggesse un libro. La cosa sorprendente è che dopo 15 minuti in alcuni subentrava una sensazione di solitudine.
Dopo, un secondo esperimento ha coinvolto 173 persone, a cui è stato chiesto di trascorrere da sole un quarto d'ora al giorno per una settimana, non facendolo poi per altri sette giorni.
Mentre è stato evidenziato che stare da soli per un periodo limitato, soprattutto se si sceglie di farlo volontariamente, aumenta le sensazioni riconducibili alla pace e al relax. Praticamente si mitigano gli aspetti positivi legati alla società se se ne recuperano altri, soprattutto quando si ha bisogno di un momento di decompressione.
Quindi è bello e utile starsene un po' da soli, perché come riporta un vecchio adagio: "Per stare bene con gli altri, devi stare prima bene con te stesso".
giovedì 16 novembre 2017
L'accusano di aver rubato e venduto un Picasso. L'attrice Lucia Bosè rischia 2 anni di carcere
In realtà erano amici, ma la Procura di Madrid ha chiesto 2 anni di prigione con l'accusa di appropriazione indebita per la famosa attrice e madre del cantante Miguel.
Al secolo si chiama Lucia Bertoni, sebbene i più la conoscono e si sono innamorati di lei come Lucia Bosè, famosissima ed apprezzata attrice internazionale. Ora è nei guai per un Picasso. È stata accusata di aver venduto all'asta un disegno di Pablo Picasso che in realtà apparteneva ad una sua domestica deceduta nel 1999.
Dalla vendita, l'attrice avrebbe ricavato 198.607 euro. Somma che, secondo l'accusa, non sarebbe mai stata consegnata ai nipoti della domestica e che ora la Procura vuole che venga restituita a quelli che ritiene i suoi eredi diretti. Per questo sono stati chiesti per lei 2 anni di reclusione con l'accusa di appropriazione indebita.
Dal suo canto, l'attrice ormai 86enne si difende sottolineando la sua nota amicizia con il pittore. La storia vuole che si conobbero nel 1958 quando Picasso strinse una forte amicizia con il torero Luis Miguel Dominquin, con cui la Bosè era sposata. Da lì, il terzetto ha condiviso e vissuto tra salotti e vacanze in Spagna e Francia. Una profonda amicizia cementata anche dalla scelta di avere il pittore come padrino della figlia Paula.
Quest'affetto decennale ha elargito anche una raccolta di dipinti, incisioni, disegni e collage che l'amico pittore aveva donato alla donna.
Una collezione privata che Bosè aveva venduto in parte il 25 Giugno 2008 con un'asta affidata alla nota casa Christie's di Londra.
Proprio in quell'anno furono 40 le opere vendute. Tra queste c'erano i disegni dedicati alla famiglia, realizzati dal pittore. Tra essi anche il dipinto al centro della diatriba: "La Chumbera", un quadro che riporta la dedica di Picasso a "Reme", diminuitivo del nome della domestica, e la data di realizzazione (12-2-1963).
Il quadro prima della vendita si trovava nella casa di Bosè a Madrid, dove per circa 50 anni, e fino al giorno della sua morte, ha vissuto la domestica con il compito di curare i beni dell'attrice.
I parenti della defunta hanno invece rivendicato la proprietà del disegno, o meglio il ricavato della vendita del medesimo. Quindi l'ufficio del Procuratore chiede il risarcimento del ricavato della vendita per darlo ai nipoti e si attende la data del processo.
A volte i rapporti realmente esistenti tra persone cambia in base alla vita o alla morte. Per esempio la Bosè e la domestica si volevano bene e non c'erano state mai questioni. Meno male, che a fermare gli attimi d'esistenza vera, c'è l'arte.
Al secolo si chiama Lucia Bertoni, sebbene i più la conoscono e si sono innamorati di lei come Lucia Bosè, famosissima ed apprezzata attrice internazionale. Ora è nei guai per un Picasso. È stata accusata di aver venduto all'asta un disegno di Pablo Picasso che in realtà apparteneva ad una sua domestica deceduta nel 1999.
Dalla vendita, l'attrice avrebbe ricavato 198.607 euro. Somma che, secondo l'accusa, non sarebbe mai stata consegnata ai nipoti della domestica e che ora la Procura vuole che venga restituita a quelli che ritiene i suoi eredi diretti. Per questo sono stati chiesti per lei 2 anni di reclusione con l'accusa di appropriazione indebita.
Dal suo canto, l'attrice ormai 86enne si difende sottolineando la sua nota amicizia con il pittore. La storia vuole che si conobbero nel 1958 quando Picasso strinse una forte amicizia con il torero Luis Miguel Dominquin, con cui la Bosè era sposata. Da lì, il terzetto ha condiviso e vissuto tra salotti e vacanze in Spagna e Francia. Una profonda amicizia cementata anche dalla scelta di avere il pittore come padrino della figlia Paula.
Quest'affetto decennale ha elargito anche una raccolta di dipinti, incisioni, disegni e collage che l'amico pittore aveva donato alla donna.
Una collezione privata che Bosè aveva venduto in parte il 25 Giugno 2008 con un'asta affidata alla nota casa Christie's di Londra.
Proprio in quell'anno furono 40 le opere vendute. Tra queste c'erano i disegni dedicati alla famiglia, realizzati dal pittore. Tra essi anche il dipinto al centro della diatriba: "La Chumbera", un quadro che riporta la dedica di Picasso a "Reme", diminuitivo del nome della domestica, e la data di realizzazione (12-2-1963).
Il quadro prima della vendita si trovava nella casa di Bosè a Madrid, dove per circa 50 anni, e fino al giorno della sua morte, ha vissuto la domestica con il compito di curare i beni dell'attrice.
I parenti della defunta hanno invece rivendicato la proprietà del disegno, o meglio il ricavato della vendita del medesimo. Quindi l'ufficio del Procuratore chiede il risarcimento del ricavato della vendita per darlo ai nipoti e si attende la data del processo.
A volte i rapporti realmente esistenti tra persone cambia in base alla vita o alla morte. Per esempio la Bosè e la domestica si volevano bene e non c'erano state mai questioni. Meno male, che a fermare gli attimi d'esistenza vera, c'è l'arte.
Arrivano i Black Friday
Sta per arrivare il giorno più atteso per fare shopping a prezzi scontatissimi. Tutti i Paesi, tra cui l'Italia, si stanno adeguando e fino alla data clou del 27 Novembre ci saranno molti sconti e promozioni sui negozi online.
Il Black Friday è nato negli Stati Uniti ed è il giorno in cui dopo la Festa del Ringraziamento, alla fine di Novembre, i negozi fisici fanno i saldi e da alcuni anni questa ricorrenza dello shopping è stata acquisita anche in altri Paesi: in Italia per ora, si parla in questo giorno soprattutto di shopping online.
Un tempo gli sconti erano disponibili solo nel giorno esatto del Black Friday, l'ultimo venerdì di Novembre che quest'anno cade il 24 Novembre, ma su moltissimi siti e-commerce ci sono già sconti e promozioni. Per non parlare del fatto, che il primo lunedì dopo il Black Friday, ad esempio, è il Cyber Monday: un'altra giornata di saldi riguardante esclusivamente i siti e-commerce.
I vari siti online, si sono adeguati alla spropositata richiesta del mercato, cominciando a proporre sconti da alcuni giorni. Per esempio, ePrice, negozio di elettrodomestici e prodotti tecnologici ha una promozione che si chiama "Black Hour", una specie di lettera che prevede che ogni giorno, per un'ora, un ristrettissimo numero di utenti selezionati di volta in volta possa acquistare 60 prodotti (anche televisori e console di gioco) a 0,99 centesimi ognuno.
Non di meno è il sito di Euronics che lo stesso propone offerte vantaggiosissime. Mentre, la parte da leone la fa Amazon, che per la "settimana del conto alla rovescia" propone prodotti scontati fino al 50%, le offerte cambiano ogni giorno, sono diverse e vengono aggiornate costantemente.
Anche il settore viaggi e vacanze viene rappresentato da Groupon che propone di farvi viaggiare a prezzi stracciatissimi. E sempre in linea con l'occhio di riguardo per l'occasione è Ikea che fino al 19 propone un sondaggio per far si che l'azienda di mobili e prodotti per la casa metta in sconto i prodotti che più interessano.
In Italia è pronto per un Black Friday da paura anche il sito MediaWorld, sia per i suoi negozi online che per quelli fisici e lo stesso farà il negozio di tecnologia ed elettrodomestici Comet.
Unieuro proporrà solo sconti online. Invece GameStop, negozio di videogiochi, proporrà sconti sia online che bei punti vendita fisici, dalle 10 del 24 Novembre alle 18 del 28.
Per le ragazze sempre attente alle ultime tendenze nel campo dell'abbigliamento, sia Zalando che Asos promuoveranno allettanti promozioni come pure Sephora nel campo dei cosmetici.
Insomma tantissime le offerte in cui perdersi, basta solo mettere mano al portafoglio, essere veloci nell'acquisto sia esso online che fisico e qualche desiderio materiale potrà realizzarsi e colorare un po' di più il Black Friday.
Il Black Friday è nato negli Stati Uniti ed è il giorno in cui dopo la Festa del Ringraziamento, alla fine di Novembre, i negozi fisici fanno i saldi e da alcuni anni questa ricorrenza dello shopping è stata acquisita anche in altri Paesi: in Italia per ora, si parla in questo giorno soprattutto di shopping online.
Un tempo gli sconti erano disponibili solo nel giorno esatto del Black Friday, l'ultimo venerdì di Novembre che quest'anno cade il 24 Novembre, ma su moltissimi siti e-commerce ci sono già sconti e promozioni. Per non parlare del fatto, che il primo lunedì dopo il Black Friday, ad esempio, è il Cyber Monday: un'altra giornata di saldi riguardante esclusivamente i siti e-commerce.
I vari siti online, si sono adeguati alla spropositata richiesta del mercato, cominciando a proporre sconti da alcuni giorni. Per esempio, ePrice, negozio di elettrodomestici e prodotti tecnologici ha una promozione che si chiama "Black Hour", una specie di lettera che prevede che ogni giorno, per un'ora, un ristrettissimo numero di utenti selezionati di volta in volta possa acquistare 60 prodotti (anche televisori e console di gioco) a 0,99 centesimi ognuno.
Non di meno è il sito di Euronics che lo stesso propone offerte vantaggiosissime. Mentre, la parte da leone la fa Amazon, che per la "settimana del conto alla rovescia" propone prodotti scontati fino al 50%, le offerte cambiano ogni giorno, sono diverse e vengono aggiornate costantemente.
Anche il settore viaggi e vacanze viene rappresentato da Groupon che propone di farvi viaggiare a prezzi stracciatissimi. E sempre in linea con l'occhio di riguardo per l'occasione è Ikea che fino al 19 propone un sondaggio per far si che l'azienda di mobili e prodotti per la casa metta in sconto i prodotti che più interessano.
In Italia è pronto per un Black Friday da paura anche il sito MediaWorld, sia per i suoi negozi online che per quelli fisici e lo stesso farà il negozio di tecnologia ed elettrodomestici Comet.
Unieuro proporrà solo sconti online. Invece GameStop, negozio di videogiochi, proporrà sconti sia online che bei punti vendita fisici, dalle 10 del 24 Novembre alle 18 del 28.
Per le ragazze sempre attente alle ultime tendenze nel campo dell'abbigliamento, sia Zalando che Asos promuoveranno allettanti promozioni come pure Sephora nel campo dei cosmetici.
Insomma tantissime le offerte in cui perdersi, basta solo mettere mano al portafoglio, essere veloci nell'acquisto sia esso online che fisico e qualche desiderio materiale potrà realizzarsi e colorare un po' di più il Black Friday.
mercoledì 15 novembre 2017
L'Ikea porta in scena la violenza domestica
Dal 13 al 25 Novembre due compagnie teatrali inscenano la violenza domestica negli store di tutta Italia per testimoniare esempi di vita reale e rompere il muro del silenzio.
Una delle esperienze più carine che si possono fare nel tempo libero è quella di passeggiare negli ambienti casalinghi ben allestiti negli spazi Ikea. Si immagina così un'ipotetica propria casa futura e scenari di vita domestica. Si vedono quindi persone sdraiarsi comodamente su un divano o godersi il meritato riposo su qualche poltrona dopo una dura giornata di lavoro, oppure ridere felici attorno ad un tavolo. Perché la casa è dolce "casa" o almeno così dovrebbe essere.
Invece, purtroppo, per molte donne la casa diventa il luogo dove si subiscono abusi, la casa diventa una prigione. Il teatro di violenza fisica, psicologica ed economica che molte donne sono costrette a subire tra le pareti domestiche.
Da queste riflessioni, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, l'Ikea, l'azienda che mette al centro "la vita in casa" e Telefono Donna, l'associazione che ogni giorno ascolta numerose storie di donne che subiscono aggressioni, hanno annunciato la loro campagna di sensibilizzazione sul tema, anticipata da uno spot, volutamente inquietante "La casa non è fatta per difendersi".
E così, dal 13 fino al 25 Novembre, i 21 store Ikea disseminati lungo tutto lo stivale saranno il palcoscenico dove attori professionisti del Teatro Filodrammatico di Milano e dello Stabile d'Abruzzo rappresenteranno scene di violenza tratte da storie reali.
Una campagna coraggiosa, sia per il tema, delicato, sia perché le pièce teatrali saranno inserite all'improvviso nelle room settings in giornate di shopping prenatalizio quando tantissime famiglie visiteranno i grandi magazzini.
Sara Del Fabbro, deputy ad Ikea Italia commenta: "L'intento non è creare disagio, ma raccontare loro storie e aprire un dibattito su un tema inaccettabile con il fine di riportare il concetto di casa bella e accogliente che ci appartiene. Vedere dal vivo alcune situazioni crea un impatto molto più forte che leggerle o ascoltarle".
Della medesima idea Maurizio Maresca e Stefania Bortoccetti rappresentanti di Telefono Donna che dichiarano: "Sebbene abbiamo ascoltato per anni storie di violenze sulle donne, vederle qui rappresentate è stato come un pugno nello stomaco. Si ha la vera dimensione e sensazione di quello che è un maltrattamento reale".
Praticamente è #PerunaGiustaCasa, il filo conduttore della campagna che vuole promuovere l'urgenza di attivare progetti che offrono a donne e bambini idonee garanzie e tutele. Altro messaggio importante lanciato dalla campagna è che si può uscire dall'incubo e ricominciare una nuova vita! Un piano inoltre, per far si che sempre più donne denuncino i maltrattamenti subiti, perché ancora oggi, 8 donne su 10 non lo fanno. Sebbene per legge, secondo l'articolo 572 del Codice Penale, chiunque maltratti una persona della famiglia, o comunque convivente, viene punito con la reclusione da 2 a 6 anni. La pena si inasprisce con l'aggravarsi del maltrattamento.
Speriamo allora che la campagna ideata dall'Ikea nei suoi ambienti domestici tanto accoglienti, possa ispirare a far diventare qualsiasi casa, dei veri e reali focolari domestici accoglienti.
Una delle esperienze più carine che si possono fare nel tempo libero è quella di passeggiare negli ambienti casalinghi ben allestiti negli spazi Ikea. Si immagina così un'ipotetica propria casa futura e scenari di vita domestica. Si vedono quindi persone sdraiarsi comodamente su un divano o godersi il meritato riposo su qualche poltrona dopo una dura giornata di lavoro, oppure ridere felici attorno ad un tavolo. Perché la casa è dolce "casa" o almeno così dovrebbe essere.
Invece, purtroppo, per molte donne la casa diventa il luogo dove si subiscono abusi, la casa diventa una prigione. Il teatro di violenza fisica, psicologica ed economica che molte donne sono costrette a subire tra le pareti domestiche.
Da queste riflessioni, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, l'Ikea, l'azienda che mette al centro "la vita in casa" e Telefono Donna, l'associazione che ogni giorno ascolta numerose storie di donne che subiscono aggressioni, hanno annunciato la loro campagna di sensibilizzazione sul tema, anticipata da uno spot, volutamente inquietante "La casa non è fatta per difendersi".
E così, dal 13 fino al 25 Novembre, i 21 store Ikea disseminati lungo tutto lo stivale saranno il palcoscenico dove attori professionisti del Teatro Filodrammatico di Milano e dello Stabile d'Abruzzo rappresenteranno scene di violenza tratte da storie reali.
Una campagna coraggiosa, sia per il tema, delicato, sia perché le pièce teatrali saranno inserite all'improvviso nelle room settings in giornate di shopping prenatalizio quando tantissime famiglie visiteranno i grandi magazzini.
Sara Del Fabbro, deputy ad Ikea Italia commenta: "L'intento non è creare disagio, ma raccontare loro storie e aprire un dibattito su un tema inaccettabile con il fine di riportare il concetto di casa bella e accogliente che ci appartiene. Vedere dal vivo alcune situazioni crea un impatto molto più forte che leggerle o ascoltarle".
Della medesima idea Maurizio Maresca e Stefania Bortoccetti rappresentanti di Telefono Donna che dichiarano: "Sebbene abbiamo ascoltato per anni storie di violenze sulle donne, vederle qui rappresentate è stato come un pugno nello stomaco. Si ha la vera dimensione e sensazione di quello che è un maltrattamento reale".
Praticamente è #PerunaGiustaCasa, il filo conduttore della campagna che vuole promuovere l'urgenza di attivare progetti che offrono a donne e bambini idonee garanzie e tutele. Altro messaggio importante lanciato dalla campagna è che si può uscire dall'incubo e ricominciare una nuova vita! Un piano inoltre, per far si che sempre più donne denuncino i maltrattamenti subiti, perché ancora oggi, 8 donne su 10 non lo fanno. Sebbene per legge, secondo l'articolo 572 del Codice Penale, chiunque maltratti una persona della famiglia, o comunque convivente, viene punito con la reclusione da 2 a 6 anni. La pena si inasprisce con l'aggravarsi del maltrattamento.
Speriamo allora che la campagna ideata dall'Ikea nei suoi ambienti domestici tanto accoglienti, possa ispirare a far diventare qualsiasi casa, dei veri e reali focolari domestici accoglienti.
Il Piemonte hi-tech più ingegnoso della Baviera
L'Aspen promuove auto e robotica made nel Nord Italia.
Sembra la favola della piccola provincia che batte i mostri sacri della tecnologia. Eppure è così. Il digitale trasforma l'industria e l'industria italiana sta vincendo la sua partita soprattutto nel Nord. Portabandiera di questa rinascita sono i distretti piemontesi e in particolare nel torinese.
Quindici anni fa si temeva l'incubo delocalizzazione, oggi solo il 13% della nostra attività manifatturiera è considerata delocalizzabile (contro il 25% di quello statunitense) perché tutto il resto è un esempio di alta tecnologia e qualità, che gli altri Paesi possono solo tentare di replicare.
I dati sono riportati da una ricerca prodotta dall'Aspen Insitute Italia in collaborazione con la Compagnia di San Paolo, un'analisi accurata della capacità di spostarsi verso l'industria avanzata mostrata negli ultimi anni ai distretti piemontesi.
Tutto questo mentre il declino dei consumi interni iniziato a metà degli anni Novanta travolgeva chi non era in grado di affermarsi anche sul mercato internazionale. Invece tutt'oggi nel Nord-ovest italiano si contano 1,6 milioni di lavoratori del manifatturiero, circa il 23% della forza lavoro totale, considerando anche il numero di brevetti registrati in Piemonte ed Emilia Romagna fanno meglio della Baviera.
Il merito va soprattutto al fatto che si spende in ricerca e sviluppo, che in Piemonte equivale al 2,2% del Pil regionale, quota più alta di quella registrata in Canada, Paesi Bassi e Regno Unito e simile a quelle delle due regioni tedesche che stanno in cima alla classifica, la Baviera e Baden-Wurttemberg.
Sempre in primo piano c'è l'auto, ma si fa spazio lo sviluppo tecnologico, e la robotica cresce dell' 1,6% in un anno raggiungendo il valore di 676 milioni di euro, i principali nomi correlati appartengono al Piemonte. Solo a Torino si contano almeno due società-attive nella produzione di componenti hi-tech per l'aerospaziale e l'energia.
Il punto di forza è la connessione macchina-persona: stampanti 3D accanto a chi è capace di intervenire a mano sulla puntura di un peso. Un'industria 4.0 caratterizzata da crescita esponenziale dei servizi che accompagnano i prodotti sul mercato globale. Certo ci si dovrà adeguare a nuovi concetti come quelli del car pooling via internet e alla progettazione dei software che guideranno le auto senza pilota.
Ma come sottolinea Silvio Angori, amministratore delegato di Pininfarina dichiara: "Il peggio è alle spalle. Abbiamo perso di lavoro tradizionali, dobbiamo essere capaci di conquistare quelli del futuro. Distretti come il nostro lavoreranno soprattutto ai servizi per il mercato di massa, ma la gamma alta resterà qui".
L'operoso Piemonte dimostra come non solo la creatività ma anche il saper fare e la voglia di fare siano sempre la chiave principale del successo. Anche nel campo dell'hi-tech e riuscendo a battere altri Paesi dove la tecnologia era invece di tradizione.
Sembra la favola della piccola provincia che batte i mostri sacri della tecnologia. Eppure è così. Il digitale trasforma l'industria e l'industria italiana sta vincendo la sua partita soprattutto nel Nord. Portabandiera di questa rinascita sono i distretti piemontesi e in particolare nel torinese.
Quindici anni fa si temeva l'incubo delocalizzazione, oggi solo il 13% della nostra attività manifatturiera è considerata delocalizzabile (contro il 25% di quello statunitense) perché tutto il resto è un esempio di alta tecnologia e qualità, che gli altri Paesi possono solo tentare di replicare.
I dati sono riportati da una ricerca prodotta dall'Aspen Insitute Italia in collaborazione con la Compagnia di San Paolo, un'analisi accurata della capacità di spostarsi verso l'industria avanzata mostrata negli ultimi anni ai distretti piemontesi.
Tutto questo mentre il declino dei consumi interni iniziato a metà degli anni Novanta travolgeva chi non era in grado di affermarsi anche sul mercato internazionale. Invece tutt'oggi nel Nord-ovest italiano si contano 1,6 milioni di lavoratori del manifatturiero, circa il 23% della forza lavoro totale, considerando anche il numero di brevetti registrati in Piemonte ed Emilia Romagna fanno meglio della Baviera.
Il merito va soprattutto al fatto che si spende in ricerca e sviluppo, che in Piemonte equivale al 2,2% del Pil regionale, quota più alta di quella registrata in Canada, Paesi Bassi e Regno Unito e simile a quelle delle due regioni tedesche che stanno in cima alla classifica, la Baviera e Baden-Wurttemberg.
Sempre in primo piano c'è l'auto, ma si fa spazio lo sviluppo tecnologico, e la robotica cresce dell' 1,6% in un anno raggiungendo il valore di 676 milioni di euro, i principali nomi correlati appartengono al Piemonte. Solo a Torino si contano almeno due società-attive nella produzione di componenti hi-tech per l'aerospaziale e l'energia.
Il punto di forza è la connessione macchina-persona: stampanti 3D accanto a chi è capace di intervenire a mano sulla puntura di un peso. Un'industria 4.0 caratterizzata da crescita esponenziale dei servizi che accompagnano i prodotti sul mercato globale. Certo ci si dovrà adeguare a nuovi concetti come quelli del car pooling via internet e alla progettazione dei software che guideranno le auto senza pilota.
Ma come sottolinea Silvio Angori, amministratore delegato di Pininfarina dichiara: "Il peggio è alle spalle. Abbiamo perso di lavoro tradizionali, dobbiamo essere capaci di conquistare quelli del futuro. Distretti come il nostro lavoreranno soprattutto ai servizi per il mercato di massa, ma la gamma alta resterà qui".
L'operoso Piemonte dimostra come non solo la creatività ma anche il saper fare e la voglia di fare siano sempre la chiave principale del successo. Anche nel campo dell'hi-tech e riuscendo a battere altri Paesi dove la tecnologia era invece di tradizione.
martedì 14 novembre 2017
Sos dolci, mancano 100 mln di uova al mese
Natale a rischio? Forse no, ma Coldiretti avverte che c'è una produzione in calo del 10% per misure cautelative.
Perché la festa senza neve si può affrontare, ma senza dolci? Sarebbe davvero difficile e proprio per questo motivo sono state adottate misure cautelative atte a garantire la qualità e la sicurezza dopo i casi di aviaria e fipronil scoppiati in Europa, e che hanno ridotto del 10% la produzione nazionale.
Tale accorgimento sta causando una perdita di oltre 100 milioni di uova al mese, proprio durante quel periodo in cui invece, si assiste ad un forte aumento della domanda a livello industriale per la produzione dei tipici dolci di Natale.
Lo riporta un'analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che gli italiani consumano in media circa 215 uova a testa all'anno, di quei 140 quintali mentre le restanti, circa 1/3 sottoforma di pasta, dolci ed altre preparazioni alimentari.
La Coldiretti spiega: "La minore disponibilità sul mercato, dove si registrano anche casi di scaffali vuoti nei supermercati, sta avendo come risultato un aumento dei prezzi che alla produzione hanno fatto registrare a Novembre una crescita del 55,6% per un importo medio di 14,2 euro ogni cento pezzi, secondo le ultime rivelazioni Ismea".
Inoltre, la "crisi" della grande produzione ha fatto sì che cambiassero anche le modalità di acquisto. Nel senso che l'organizzazione agricola si è adeguata e si registra una netta tendenza a rivolgersi direttamente agli allevatori nelle aziende agricole o nei mercati contadini, innescando anche una maggiore preferenza per le produzioni biologiche o del pollame allevato a terra.
Sebbene non vada dimenticato che sulle uova in guscio è presente l'indicazione di origine ma è necessario comunque migliorare la visibilità e la leggibilità.
Insomma, con un po' più di trasparenza e di limitazione della produzione, ma le uova, buone, ci sono e i dolci natalizi sono salvi.
Perché la festa senza neve si può affrontare, ma senza dolci? Sarebbe davvero difficile e proprio per questo motivo sono state adottate misure cautelative atte a garantire la qualità e la sicurezza dopo i casi di aviaria e fipronil scoppiati in Europa, e che hanno ridotto del 10% la produzione nazionale.
Tale accorgimento sta causando una perdita di oltre 100 milioni di uova al mese, proprio durante quel periodo in cui invece, si assiste ad un forte aumento della domanda a livello industriale per la produzione dei tipici dolci di Natale.
Lo riporta un'analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che gli italiani consumano in media circa 215 uova a testa all'anno, di quei 140 quintali mentre le restanti, circa 1/3 sottoforma di pasta, dolci ed altre preparazioni alimentari.
La Coldiretti spiega: "La minore disponibilità sul mercato, dove si registrano anche casi di scaffali vuoti nei supermercati, sta avendo come risultato un aumento dei prezzi che alla produzione hanno fatto registrare a Novembre una crescita del 55,6% per un importo medio di 14,2 euro ogni cento pezzi, secondo le ultime rivelazioni Ismea".
Inoltre, la "crisi" della grande produzione ha fatto sì che cambiassero anche le modalità di acquisto. Nel senso che l'organizzazione agricola si è adeguata e si registra una netta tendenza a rivolgersi direttamente agli allevatori nelle aziende agricole o nei mercati contadini, innescando anche una maggiore preferenza per le produzioni biologiche o del pollame allevato a terra.
Sebbene non vada dimenticato che sulle uova in guscio è presente l'indicazione di origine ma è necessario comunque migliorare la visibilità e la leggibilità.
Insomma, con un po' più di trasparenza e di limitazione della produzione, ma le uova, buone, ci sono e i dolci natalizi sono salvi.
Vincere le delusioni
Pascale Chapaux-Morelli ed Eugenio Murrali stilano un vademecum per superare quei momenti di impasse che si possono verificare sul lavoro, in amore e in altre situazioni.
Avere sempre una vita semplice e perfetta è impensabile. Tutti, anche quelli che di primo acchito possono sembrare più baciati dalla fortuna, almeno una volta nel loro percorso di vita hanno sperimentato qualche delusione. Le delusioni non si possono evitare. Possono spiazzare o mettere a repentaglio il nostro equilibrio, ma si possono superare. Si possono addirittura trasformare in un trampolino verso nuove sfide e opportunità.
La chiave della buona riuscita sta nel conoscere bene se stessi, nel non coltivare aspettative spropositate e nel salvaguardare l'autostima. Poi, bisognerebbe anche "non chiudersi al desiderio", mantenendo la voglia di fare e andare avanti.
A caldo sembra difficile, ma non è impossibile. Inoltre, Pascale Chapaux-Morelli, psicologa e autrice di libri su temi di psicologia e sociologia ed Eugenio Murrali, giornalista e scrittore, ci vengono incontro con la loro ultima fatica letteraria "Vincere le delusioni" (Feltrinelli). Un vademecum per "superarle e non farsi avvelenare la vita".
Nel libro gli autori descrivono e analizzano la delusione, indagano le radici del malessere, guardano alle emozioni e alle conseguenze del disincanto, dedicando successivamente ampio spazio a come trasformare ogni delusione in un'opportunità, e a come "andare oltre", alla ricerca del lieto fine.
L'osservazione principale è che a ciascuno di noi è capitato e capita di rimanere delusi, e quando succede si frantumano le nostre aspettative e spesso noi con loro. In queste occasioni, la prima ad essere intaccata è proprio la nostra autostima. Ma possiamo sempre reagire e attraversare l'esperienza dolorosa con successo, per uscirne in positivo.
Per abbattere i meccanismi della delusione e il dolore che si porta dietro i consigli sono: smascherare l'inganno o autoinganno, non accettare mai la dipendenza affettiva, individuare in anticipo ciò che ci potrà deludere quasi certamente ed evitarlo. Quindi passo dopo passo il libro descrive le fasi della delusione e insegna a gestirle.
Ci suggerisce anche di avere a nostra volta il coraggio di deludere, uscire dal rischio delle delusioni a catena, e superare le frustrazioni. Per riconquistare lucidità ed equilibrio.
Quindi vincere le delusioni insegna che sebbene esse siano inevitabili non devono spaventare. Invece, questa consapevolezza deve aiutare a non considerare la delusione un nostro insuccesso personale, come se fossimo responsabili per nostra incapacità. Chiarendo che difendersi dalla delusione significa soprattutto non esporsi troppo al rischio, mantenendo sempre il contatto con la realtà, nutrendo aspettative realistiche, imparando a conoscersi bene. Perché la conoscenza di se stessi è alla base si un buon rapporto con la realtà. Essere coscienti dei nostri limiti come del nostro potenziale. Mentre difendersi significa saper reagire, innanzitutto alimentare la propria autostima, volendosi bene a sufficienza si superano tutte le delusioni. L'importante è non isolarsi, essere fiduciosi e capire che le delusioni sono solo un incidente di percorso e si possono superare.
Ci vorrà coraggio ma in qualsiasi viaggio ci vuole e la vita è il più bello e misterioso viaggio che si possa intraprendere.
Avere sempre una vita semplice e perfetta è impensabile. Tutti, anche quelli che di primo acchito possono sembrare più baciati dalla fortuna, almeno una volta nel loro percorso di vita hanno sperimentato qualche delusione. Le delusioni non si possono evitare. Possono spiazzare o mettere a repentaglio il nostro equilibrio, ma si possono superare. Si possono addirittura trasformare in un trampolino verso nuove sfide e opportunità.
La chiave della buona riuscita sta nel conoscere bene se stessi, nel non coltivare aspettative spropositate e nel salvaguardare l'autostima. Poi, bisognerebbe anche "non chiudersi al desiderio", mantenendo la voglia di fare e andare avanti.
A caldo sembra difficile, ma non è impossibile. Inoltre, Pascale Chapaux-Morelli, psicologa e autrice di libri su temi di psicologia e sociologia ed Eugenio Murrali, giornalista e scrittore, ci vengono incontro con la loro ultima fatica letteraria "Vincere le delusioni" (Feltrinelli). Un vademecum per "superarle e non farsi avvelenare la vita".
Nel libro gli autori descrivono e analizzano la delusione, indagano le radici del malessere, guardano alle emozioni e alle conseguenze del disincanto, dedicando successivamente ampio spazio a come trasformare ogni delusione in un'opportunità, e a come "andare oltre", alla ricerca del lieto fine.
L'osservazione principale è che a ciascuno di noi è capitato e capita di rimanere delusi, e quando succede si frantumano le nostre aspettative e spesso noi con loro. In queste occasioni, la prima ad essere intaccata è proprio la nostra autostima. Ma possiamo sempre reagire e attraversare l'esperienza dolorosa con successo, per uscirne in positivo.
Per abbattere i meccanismi della delusione e il dolore che si porta dietro i consigli sono: smascherare l'inganno o autoinganno, non accettare mai la dipendenza affettiva, individuare in anticipo ciò che ci potrà deludere quasi certamente ed evitarlo. Quindi passo dopo passo il libro descrive le fasi della delusione e insegna a gestirle.
Ci suggerisce anche di avere a nostra volta il coraggio di deludere, uscire dal rischio delle delusioni a catena, e superare le frustrazioni. Per riconquistare lucidità ed equilibrio.
Quindi vincere le delusioni insegna che sebbene esse siano inevitabili non devono spaventare. Invece, questa consapevolezza deve aiutare a non considerare la delusione un nostro insuccesso personale, come se fossimo responsabili per nostra incapacità. Chiarendo che difendersi dalla delusione significa soprattutto non esporsi troppo al rischio, mantenendo sempre il contatto con la realtà, nutrendo aspettative realistiche, imparando a conoscersi bene. Perché la conoscenza di se stessi è alla base si un buon rapporto con la realtà. Essere coscienti dei nostri limiti come del nostro potenziale. Mentre difendersi significa saper reagire, innanzitutto alimentare la propria autostima, volendosi bene a sufficienza si superano tutte le delusioni. L'importante è non isolarsi, essere fiduciosi e capire che le delusioni sono solo un incidente di percorso e si possono superare.
Ci vorrà coraggio ma in qualsiasi viaggio ci vuole e la vita è il più bello e misterioso viaggio che si possa intraprendere.
lunedì 13 novembre 2017
Da Tiffany ora si potrà fare davvero colazione
Come già da anni aveva preannunciato il titolo del fortunato film con Audrey Hepburn, nello store di gioielli sulla Fifth Avenue è stato aperto un cafè.
Da ora in poi ci sarà un motivo in più per fare una vacanza a New York. L'imperdibile occasione di farsi un selfie da postare sui social, sedute trionfanti al nuovo Blue Box Cafè, il locale sito al quarto piano della più famosa gioielleria della storia (almeno cinematografica) ubicata sulla Fifth Avenue a New York.
Ora si potrà fare "colazione da Tiffany". Perché nel negozio punta della campagna di gioielli a Manhattan, dove Holly (la protagonista del film) del 1961 andava per tirarsi su di morale mangiando in piedi il suo croissant all'esterno delle vetrine di Tiffany & Co., oggi ha aperto una speciale caffetteria, il cui nome richiama l'iconico azzurro Tiffany.
Tutte le ragazze che finora si sono ispirate al film, potranno andare oltre, non limitarsi a spelucchiare all'esterno, ma potranno accomodarsi nella sala con vista su quella strada simbolo dello shopping di New York, avvolte dal tipico light-blue che riveste pareti e poltroncine, e colora piatti e tovaglioli.
Su questo stile, dopo l'ampia ristrutturazione del quarto piano del negozio bandiera, Tiffany ha aperto anche il suo primo spazio per la vendita al dettaglio con una collezione Home & Accessories, che ha mandato in visibilio le fashion addicted.
Inoltre è stata lanciata anche una boutique per bambini, una selezione di libri vintage, curata da Assoline, e un laboratorio di profumi.
Il curatore artistico della campagna, Reed Krakoff dichiara che: "Sia la caffetteria che la riprogettazione dello spazio Home & Accessories riflettono un'esperienza di lusso moderna, uno spazio sperimentale ed esperenziale, una finestra sul nuovo Tiffany".
E non a caso la campagna si volge alla conquista dei millenials sottolineando come il blu Tiffany sia lo sfondo perfetto per i selfie. Anche il menù sarà flessibile, composto da piatti semplici che cambieranno seguendo le stagioni. Incentrati sui classici newyorkesi come la "Fifth Avenue Salad" con aragosta e avocado al C.L.T. sandwich che significa "Charles Lewis Tiffany" con pollo, lattuga e pomodoro.
Tutto sommato i prezzi sono molto contenuti. Si parte dai 29 dollari per la colazione ai 49 dollari per il tè. Un piccolo lusso che anche le novelle Holly potranno permettersi. D'altronde Audrey Hepburn insegna che solo atteggiamento e il portamento che contano: "Si può essere tres chic pur non essendo ricche". E come sottolinea una delle frasi cult del film: "Lascia che ti dica una cosa, tesoro: se io avessi i suoi quattrini, sarei più ricca di lei".
Quindi, se proprio si va alla ricerca del selfie che possa suscitare invidia, perché non farlo elegantemente sedute mentre si fa colazione da Tiffany?
Da ora in poi ci sarà un motivo in più per fare una vacanza a New York. L'imperdibile occasione di farsi un selfie da postare sui social, sedute trionfanti al nuovo Blue Box Cafè, il locale sito al quarto piano della più famosa gioielleria della storia (almeno cinematografica) ubicata sulla Fifth Avenue a New York.
Ora si potrà fare "colazione da Tiffany". Perché nel negozio punta della campagna di gioielli a Manhattan, dove Holly (la protagonista del film) del 1961 andava per tirarsi su di morale mangiando in piedi il suo croissant all'esterno delle vetrine di Tiffany & Co., oggi ha aperto una speciale caffetteria, il cui nome richiama l'iconico azzurro Tiffany.
Tutte le ragazze che finora si sono ispirate al film, potranno andare oltre, non limitarsi a spelucchiare all'esterno, ma potranno accomodarsi nella sala con vista su quella strada simbolo dello shopping di New York, avvolte dal tipico light-blue che riveste pareti e poltroncine, e colora piatti e tovaglioli.
Su questo stile, dopo l'ampia ristrutturazione del quarto piano del negozio bandiera, Tiffany ha aperto anche il suo primo spazio per la vendita al dettaglio con una collezione Home & Accessories, che ha mandato in visibilio le fashion addicted.
Inoltre è stata lanciata anche una boutique per bambini, una selezione di libri vintage, curata da Assoline, e un laboratorio di profumi.
Il curatore artistico della campagna, Reed Krakoff dichiara che: "Sia la caffetteria che la riprogettazione dello spazio Home & Accessories riflettono un'esperienza di lusso moderna, uno spazio sperimentale ed esperenziale, una finestra sul nuovo Tiffany".
E non a caso la campagna si volge alla conquista dei millenials sottolineando come il blu Tiffany sia lo sfondo perfetto per i selfie. Anche il menù sarà flessibile, composto da piatti semplici che cambieranno seguendo le stagioni. Incentrati sui classici newyorkesi come la "Fifth Avenue Salad" con aragosta e avocado al C.L.T. sandwich che significa "Charles Lewis Tiffany" con pollo, lattuga e pomodoro.
Tutto sommato i prezzi sono molto contenuti. Si parte dai 29 dollari per la colazione ai 49 dollari per il tè. Un piccolo lusso che anche le novelle Holly potranno permettersi. D'altronde Audrey Hepburn insegna che solo atteggiamento e il portamento che contano: "Si può essere tres chic pur non essendo ricche". E come sottolinea una delle frasi cult del film: "Lascia che ti dica una cosa, tesoro: se io avessi i suoi quattrini, sarei più ricca di lei".
Quindi, se proprio si va alla ricerca del selfie che possa suscitare invidia, perché non farlo elegantemente sedute mentre si fa colazione da Tiffany?