A 35 chilometri da Romnicu Valcea sono state scoperte delle rocce capaci di crescere e riprodursi proprio come se fossero delle piante, reagendo a contatto con l'acqua.
Finora si era sempre pensato ai sassi, le pietre, come a degli esseri inorganici. Già dalle elementari ci avevano insegnato che le pietre appartengono al regno non animale.
Invece, in Romania, a 35 chilometri da Romnicu Valcea si trovano Le Trovants, pietre da avere caratteristiche così uniche da essere considerate delle "rocce vive". Da formazioni di 6-8 millimetri, possono arrivare a formarsi rocce da 6 a 10 metri di diametro. A sorpresa, quindi le pietre crescono! Una cosa sbalorditiva anche se per farlo, impiegano tempi molto lunghi, in media per una crescita di 5 centimetri servono 1200 anni.
Nella lingua d'origine, Trovants significa "sabbia cementata". Così potrebbe essere, poiché i geologi ritengono che queste straordinarie pietre primordiali si siano formata 6 milioni di anni fa e che il loro aumento di volume sia dovuto all'alta concentrazione di sali minerali che si trova nel loro "impasto" di arenaria: una complessa stratificazione di sabbia cementata con carbonato e acque calcaree.
Una spiegazione potrebbe essere che quando l'acqua piovana entra a contatto con le sostanze chimiche che le formano si grnera un repentino aumento della pressione interna, scatenando la caratteristica "crescita". Analizzando una sezione di trovant è infatti possibile vedere al suo interno una serie di cerchi concentrici che ricordano proprio quelli dei tronchi degli alberi.
La maggior concentrazione di rocce viventi si trovano nella riserva naturale di Muruel Trovantilor, gestite dall'associazione Kogayan sotto il patrocinio dell'Unesco.
Oppure si possono ammirare queste straordinarie pietre anche in un'altra decina di siti romeni, dove sono state individuate altre pietre con le stesse caratteristiche, ma diverse dal resto del mondo.
La natura non finisce mai di stupirci e reinventarsi. Dovremmo prendere esempio. Anche le pietre, lentamente, "crescono" e cambiano...perché la vita è una continua sorpresa.
Notizie curiose, psicologia, cultura, arte ed attualità,articoli interessanti e mai pesanti.
mercoledì 31 gennaio 2018
martedì 30 gennaio 2018
Talking Statues: le statue letterarie parlanti
Dublino dà voce alle statue letterarie. Basta uno smartphone per parlare con Oscar Wilde, James Joyce e gli altri.
A quanti almeno una volta nella vita, non sarebbe piaciuto conversare con il proprio scrittore preferito? A Dublino, questo sogno può avverarsi! Perché un divertente progetto culturale racconta la storia di dieci statue dislocate in vari luoghi della capitale irlandese.
Non a caso, Dublino è stata eletta "Città della Letteratura" dall'UNESCO. È lei la tappa imperdibile per tutti gli appassionati della letteratura, magari che sognano di diventare scrittori o semplicemente vogliono calcare le orme dei grandi scrittori che l'hanno amata, descritta e vissuta.
Ora sarà possibile non acquistando guide o libri ma conversando con le statue. Grazie alle Talking Statues, le statue parlanti dislocate per la capitale, con le fattezze dei grandi letterati, tra cui Oscar Wilde o James Joyce, solo per citarne alcuni.
Talking Statues è un progetto promosso dall'organizzazione no-profit Sing London, con il sostegno di Failte Ireland e dal Dublin City Council.
Tramite il proprio smartphone ci si potrà connettere con il passato, si potrà "telefonare" con le Talking Statues che saranno pronte a raccontare la propria storia.
Le statue che possono essere sia di bronzo che di pietra, sono dislocate per tutta la planimetria della città e per cominciare l'interazione basta semplicemente posizionare il proprio cellulare sopra la targa presente sulla statua e rispondere alla chuamata: circa due minuti e mezzo di cultura a porata d'orecchio.
In Irlanda la voce dei letterati è stata prestata da attori e attrici mto famosi, tipo: Brenda Fricker, Ruth Negga, Stephen Rea, Brendan Gleeson e Gabriel Byrne che, si sono messi in gioco leggendo i testi scritti dal romanziere John Bonville e dallo scrittore/sceneggiatore Roddy Doyle.
Gli itinerari, ossia le tappe obbligatorie dove sono ubicate le Talking Statues sono riportate sull'apposito sito: www.talkingstatuesdublin.ie; mentre per avere un'anteprima dei racconti, si possono ascoltare alcuni estratti audio su Sound Cloud. Poi, la sera se si è stanchi dopo una lunga disquisizione con i grandi letterati, si possono ricaricare le pile con il Dublin Literary Pub Crawl, il tour dei pub in chiave letteraria.
Dublino è una città magica, per tutti gli appassionati della letteratura. Sarà per l'atmosfera, sarà per i luoghi, sarà per le Talking Statues, ma la "gente di Dublino" fa davvero tutto per giustamente meritarsi il titolo di "Città della Letteratura".
A quanti almeno una volta nella vita, non sarebbe piaciuto conversare con il proprio scrittore preferito? A Dublino, questo sogno può avverarsi! Perché un divertente progetto culturale racconta la storia di dieci statue dislocate in vari luoghi della capitale irlandese.
Non a caso, Dublino è stata eletta "Città della Letteratura" dall'UNESCO. È lei la tappa imperdibile per tutti gli appassionati della letteratura, magari che sognano di diventare scrittori o semplicemente vogliono calcare le orme dei grandi scrittori che l'hanno amata, descritta e vissuta.
Ora sarà possibile non acquistando guide o libri ma conversando con le statue. Grazie alle Talking Statues, le statue parlanti dislocate per la capitale, con le fattezze dei grandi letterati, tra cui Oscar Wilde o James Joyce, solo per citarne alcuni.
Talking Statues è un progetto promosso dall'organizzazione no-profit Sing London, con il sostegno di Failte Ireland e dal Dublin City Council.
Tramite il proprio smartphone ci si potrà connettere con il passato, si potrà "telefonare" con le Talking Statues che saranno pronte a raccontare la propria storia.
Le statue che possono essere sia di bronzo che di pietra, sono dislocate per tutta la planimetria della città e per cominciare l'interazione basta semplicemente posizionare il proprio cellulare sopra la targa presente sulla statua e rispondere alla chuamata: circa due minuti e mezzo di cultura a porata d'orecchio.
In Irlanda la voce dei letterati è stata prestata da attori e attrici mto famosi, tipo: Brenda Fricker, Ruth Negga, Stephen Rea, Brendan Gleeson e Gabriel Byrne che, si sono messi in gioco leggendo i testi scritti dal romanziere John Bonville e dallo scrittore/sceneggiatore Roddy Doyle.
Gli itinerari, ossia le tappe obbligatorie dove sono ubicate le Talking Statues sono riportate sull'apposito sito: www.talkingstatuesdublin.ie; mentre per avere un'anteprima dei racconti, si possono ascoltare alcuni estratti audio su Sound Cloud. Poi, la sera se si è stanchi dopo una lunga disquisizione con i grandi letterati, si possono ricaricare le pile con il Dublin Literary Pub Crawl, il tour dei pub in chiave letteraria.
Dublino è una città magica, per tutti gli appassionati della letteratura. Sarà per l'atmosfera, sarà per i luoghi, sarà per le Talking Statues, ma la "gente di Dublino" fa davvero tutto per giustamente meritarsi il titolo di "Città della Letteratura".
Boom di iscritti per il corso sulla Ricerca della Felicità
A Yale, la rinomata università del Connecticut, uno studente su quattro è interessato al corso sulla felicità.
È così difficile al giorno d'oggi essere felici? Evidentemente deve essere proprio così se anche in una "antica" e rinomata università come quella di Yale è stato istituito un corso sulla Ricerca della Felicità.
"Psychology and The Good Life" (La Psicologia e la Buona Vita) con 1200 iscritti, uno studente su quattro, sta letteralmente sbancando! È il corso più popolare negli oltre tre secoli di storia dell'ateneo Ivy League nel Connecticut.
Tiene il corso il professore Laurie Santos, docente di Psicologia, che attraverso due lezioni a settimana cerca di insegnare agli studenti come avere una vita più felice e soddisfatta.
Secondo Santos il corso sulla felicità si è rivelato necessario poiché: "Gli studenti sono interessati perché negli anni del liceo hanno dovuto mettere in secondo piano la loro felicità per essere ammessi a scuola, adottando abitudini di vita dannose che hanno portato a quelle che si chiamano "crisi di salute mentale", che si vedono in posti come Yale. Non a caso, secondo uno studio del 2013 della stessa università, oltre la metà degli studenti ha cercato cure mentali durante il corso di laurea di primo livello".
Evidentemente, dover dire sempre il massimo, dover emergere ed eccellere, non solo per gli studenti di Yale, ma per la società in genere è una pesante fonte di stress.
Anche una studentessa americana riporta: "Molti di noi sono ansiosi, stressati, infelici, intorpiditi, se un corso del genere ha tanto successo la dice tutta sul fatto che gli studenti sono stanchi di mostrare di essere insensibili".
Già, forse davvero le persone ora sono un po' stanche di mostrarsi sempre al top, sempre tanto perfette, sempre quasi invulnerabili, perché essere umani non significa questo, l'umanità nella sua condizione, contempla anche la fragilità, il dover accettare i propri limiti e convivere con le cose belle e brutte, in una perpetua ricerca della felicità.
È così difficile al giorno d'oggi essere felici? Evidentemente deve essere proprio così se anche in una "antica" e rinomata università come quella di Yale è stato istituito un corso sulla Ricerca della Felicità.
"Psychology and The Good Life" (La Psicologia e la Buona Vita) con 1200 iscritti, uno studente su quattro, sta letteralmente sbancando! È il corso più popolare negli oltre tre secoli di storia dell'ateneo Ivy League nel Connecticut.
Tiene il corso il professore Laurie Santos, docente di Psicologia, che attraverso due lezioni a settimana cerca di insegnare agli studenti come avere una vita più felice e soddisfatta.
Secondo Santos il corso sulla felicità si è rivelato necessario poiché: "Gli studenti sono interessati perché negli anni del liceo hanno dovuto mettere in secondo piano la loro felicità per essere ammessi a scuola, adottando abitudini di vita dannose che hanno portato a quelle che si chiamano "crisi di salute mentale", che si vedono in posti come Yale. Non a caso, secondo uno studio del 2013 della stessa università, oltre la metà degli studenti ha cercato cure mentali durante il corso di laurea di primo livello".
Evidentemente, dover dire sempre il massimo, dover emergere ed eccellere, non solo per gli studenti di Yale, ma per la società in genere è una pesante fonte di stress.
Anche una studentessa americana riporta: "Molti di noi sono ansiosi, stressati, infelici, intorpiditi, se un corso del genere ha tanto successo la dice tutta sul fatto che gli studenti sono stanchi di mostrare di essere insensibili".
Già, forse davvero le persone ora sono un po' stanche di mostrarsi sempre al top, sempre tanto perfette, sempre quasi invulnerabili, perché essere umani non significa questo, l'umanità nella sua condizione, contempla anche la fragilità, il dover accettare i propri limiti e convivere con le cose belle e brutte, in una perpetua ricerca della felicità.
lunedì 29 gennaio 2018
In Inghilterra un reality sugli oligarchi russi
La Bbc produce "Meet the Russians", un programma dove i protagonisti sono espatriati post sovietici ultra miliardari.
La serie è già un cult. Racconta la comunità degli oligarchi russi sulle rive del Tamigi. Le vicende sono presentate come quelle di una banda di criminali dediti ai commerci più luridi, dalla tratta delle bianche alla droga, passando per il cybercrime, tutto all'insegna del riciclaggio del denaro sporco proveniente da mezzo mondo tramite le moderne e super efficienti società della city.
La serie è tutto un susseguirsi di ostentazione, macchinoni, superville, oro e cristalli, cavalli, abiti firmati, caviale e champagne, donne appariscenti in pelliccia. Lo stereotipo è stato ricavato da un'altra fortunata serie prodotta da Bbc One (e ispirata al libro di Misha Glenny: Mc Mafia, droga, armi, essere umani, viaggio attraverso il nuovo crimine organizzato globale"). Un'esacerbazione e diverse punte di distrazione politicamente scorretto che però incuriosisce ed attrae il grande pubblico.
In realtà a Londra vivono tanti russi, circa 3000, ma tra essi c'è anche gente normale, una classe media di impiegati e professionisti, che hanno semplicemente lasciato la madrepatria dopo la caduta del muro per stabilirsi in Occidente e non amano sentirsi descrivere con questo biglietto da visita.
Poi, non si può negare che nella city vivono anche gli oligarchi super ricchi, spesso provenienti dalla cerchia di potere che ruotava intorno a Putin e hanno preferito esiliare...Loro non godono di buona reputazione. Si sono autodefiniti Novyi Russkii, Nuovi Russi e sono davvero tanto, tanto ma tanto ricchi. E sono diventati un argomento.
I pregiudizi nei loro confronti esistono ma quando su Fox Uk è andato in onda "Meet The Russians" il successo è stato immediato. Non certo per il cast particolarmente ricercato composto infatti da: attricette, modelle, calciatori, miliardari. La punta di diamante è Komaliya, modella e moglie del miliardario Zahoor, famosa per aver svelato che il suo segreto di bellezza sta nei bagni di champagne che ammorbidiscono la pelle.
Poi le vicende dei nuovi ricchi si dipanano tra le zone più costose della capitale. Dagli attici di Knightsbridge, le super ville di Kensington, Chelsea, Nottinghamhill Hampstead, St' John's Wend, e la strapiena di miliardari russi Belgrave Square, da essere stata ribattezzata "Red square", piazza rossa.
Questo tripudio di ricchezza e superlusso, anche palesemente creato dall'illegalità e spesso ignoranza dei protagonisti sta però conquistando il Regno Unito. Speriamo che il pubblico in essi apprezzi solamente gli scenari sfarzosi che richiamano ad uno stile di vita che razionalmente non tutti possono permettersi.
La serie è già un cult. Racconta la comunità degli oligarchi russi sulle rive del Tamigi. Le vicende sono presentate come quelle di una banda di criminali dediti ai commerci più luridi, dalla tratta delle bianche alla droga, passando per il cybercrime, tutto all'insegna del riciclaggio del denaro sporco proveniente da mezzo mondo tramite le moderne e super efficienti società della city.
La serie è tutto un susseguirsi di ostentazione, macchinoni, superville, oro e cristalli, cavalli, abiti firmati, caviale e champagne, donne appariscenti in pelliccia. Lo stereotipo è stato ricavato da un'altra fortunata serie prodotta da Bbc One (e ispirata al libro di Misha Glenny: Mc Mafia, droga, armi, essere umani, viaggio attraverso il nuovo crimine organizzato globale"). Un'esacerbazione e diverse punte di distrazione politicamente scorretto che però incuriosisce ed attrae il grande pubblico.
In realtà a Londra vivono tanti russi, circa 3000, ma tra essi c'è anche gente normale, una classe media di impiegati e professionisti, che hanno semplicemente lasciato la madrepatria dopo la caduta del muro per stabilirsi in Occidente e non amano sentirsi descrivere con questo biglietto da visita.
Poi, non si può negare che nella city vivono anche gli oligarchi super ricchi, spesso provenienti dalla cerchia di potere che ruotava intorno a Putin e hanno preferito esiliare...Loro non godono di buona reputazione. Si sono autodefiniti Novyi Russkii, Nuovi Russi e sono davvero tanto, tanto ma tanto ricchi. E sono diventati un argomento.
I pregiudizi nei loro confronti esistono ma quando su Fox Uk è andato in onda "Meet The Russians" il successo è stato immediato. Non certo per il cast particolarmente ricercato composto infatti da: attricette, modelle, calciatori, miliardari. La punta di diamante è Komaliya, modella e moglie del miliardario Zahoor, famosa per aver svelato che il suo segreto di bellezza sta nei bagni di champagne che ammorbidiscono la pelle.
Poi le vicende dei nuovi ricchi si dipanano tra le zone più costose della capitale. Dagli attici di Knightsbridge, le super ville di Kensington, Chelsea, Nottinghamhill Hampstead, St' John's Wend, e la strapiena di miliardari russi Belgrave Square, da essere stata ribattezzata "Red square", piazza rossa.
Questo tripudio di ricchezza e superlusso, anche palesemente creato dall'illegalità e spesso ignoranza dei protagonisti sta però conquistando il Regno Unito. Speriamo che il pubblico in essi apprezzi solamente gli scenari sfarzosi che richiamano ad uno stile di vita che razionalmente non tutti possono permettersi.
E la "Merla" non arriva
Ancora niente "giorni della Merla" per l'Italia. Temperature ancora alte, almeno per il periodo, sia al Nord segnato da sole e nebbia e una media di 17 gradi al Sud.
Si, dovrebbe peggiorare, ma non in quei giorni tradizionalmente definiti i più freddi dell'anno: gli ultimi tre di Gennaio: i giorni della merla.
Di per sé, quest'ultimo non si sta portando un inverno freddo e pure l'ultima perturbazione di Gennaio la 12° del mese, si è allontanata definitivamente verso l'Africa. Così pure gli ultimi tre giorni 29, 30, 31 che dovevano essere i più freddi dell'anno, non rispetteranno il detto popolare e non risolleveranno le sorti di un clima mite nell'atmosfera ma crudele nei risultati.
C'è bisogno di freddo e neve ed invece ci attende una fine del mese molto mite in montagna e nelle aree assolate. Ci sarà un clima di stampo più autunnale in pianura, nelle valli e lungo i litorali (specie del Nord Italia), a causa di nebbie e nubi basse ed un insolito caldo al Sud.
La causa è un vasto campo di alta pressione che si allunga dall'Atlantico fino alla Penisola Balcanica e che garantirà tempo stabile in tutto il Paese fino a mercoledì. La buona notizia, ossia un cambiamento della circolazione atmosferica in grado di portare un raffreddamento generale è atteso per l'inizio di Febbraio.
Quindi, per questa settimana i valori rimamgono ancora sopra la norma anche per 4-5 gradi e tempo in prevalenza soleggiato su gran parte del Paese. Gennaio se ne andrà senza grandi colpi di scena e senza i tanto attesi almeno negli ultimi anni, giorni della merla. Almeno fino a mercoledì non sono previste nemmeno precipitazioni.
Perché la "merla" ci metterà un po' di più ad arrivare, portando i cambiamenti verso giovedì, a Febbraio iniziato a quando dovrebbe cominciare a cambiare la circolazione atmosferica e le prime piogge dovrebbero palesarsi nelle regioni Centro-Settentrionali e Nord-Est, per proseguire intorno a venerdì e sabato verso il Centro-Sud e graziarle con pioggia e aria più fredda.
Tra tanti cambiamenti climatici in atto, anche la "merla" ha perso un po' la bussola, l'importante è che anche con qualche giorno di ritardo porti un po' di freddo e temperature più consone al periodo.
Si, dovrebbe peggiorare, ma non in quei giorni tradizionalmente definiti i più freddi dell'anno: gli ultimi tre di Gennaio: i giorni della merla.
Di per sé, quest'ultimo non si sta portando un inverno freddo e pure l'ultima perturbazione di Gennaio la 12° del mese, si è allontanata definitivamente verso l'Africa. Così pure gli ultimi tre giorni 29, 30, 31 che dovevano essere i più freddi dell'anno, non rispetteranno il detto popolare e non risolleveranno le sorti di un clima mite nell'atmosfera ma crudele nei risultati.
C'è bisogno di freddo e neve ed invece ci attende una fine del mese molto mite in montagna e nelle aree assolate. Ci sarà un clima di stampo più autunnale in pianura, nelle valli e lungo i litorali (specie del Nord Italia), a causa di nebbie e nubi basse ed un insolito caldo al Sud.
La causa è un vasto campo di alta pressione che si allunga dall'Atlantico fino alla Penisola Balcanica e che garantirà tempo stabile in tutto il Paese fino a mercoledì. La buona notizia, ossia un cambiamento della circolazione atmosferica in grado di portare un raffreddamento generale è atteso per l'inizio di Febbraio.
Quindi, per questa settimana i valori rimamgono ancora sopra la norma anche per 4-5 gradi e tempo in prevalenza soleggiato su gran parte del Paese. Gennaio se ne andrà senza grandi colpi di scena e senza i tanto attesi almeno negli ultimi anni, giorni della merla. Almeno fino a mercoledì non sono previste nemmeno precipitazioni.
Perché la "merla" ci metterà un po' di più ad arrivare, portando i cambiamenti verso giovedì, a Febbraio iniziato a quando dovrebbe cominciare a cambiare la circolazione atmosferica e le prime piogge dovrebbero palesarsi nelle regioni Centro-Settentrionali e Nord-Est, per proseguire intorno a venerdì e sabato verso il Centro-Sud e graziarle con pioggia e aria più fredda.
Tra tanti cambiamenti climatici in atto, anche la "merla" ha perso un po' la bussola, l'importante è che anche con qualche giorno di ritardo porti un po' di freddo e temperature più consone al periodo.
sabato 27 gennaio 2018
Un wc d'oro per Trump
Donald Trump chiede in prestito al Museo Guggenheim di New York un dipinto di Vincet Van Gogh per il suo appartamento, gli arriva invece un wc d'oro.
Sicuramente non è la stessa cosa! E sicuramente questo "dono" non si avvicina particolarmente al concetto di opera d'arte comunemente inteso. Ma al Presidente della Casa Bianca che aveva chiesto in prestito un Van Gogh per il suo appartamento privato, gli è stato invece offerta un'altra opera, un wc d'oro massiccio, stimato oltre un milione di dollari, opera dell'artista italiano Maurizio Cattelan.
Al Presidente Usa è arrivata anche la mail di Nancy Spector, curatore del Museo che non ama Trump, che con educazione, fermezza e un pizzico di sarcasmo, motiva: "Nessuna chance di ottenere il Van Gogh "Landscape with snow" (Paesaggio con neve) realizzato nel 1888 dall'artista olandese nel suo lungo soggiorno ad Arles in Francia. Invece è disponibile la Toilette del 2016 che l'autore Maurizio Cattelan ha battezzato "America". Opera che lo stesso autore definì un simbolo della società degli eccessi e della ricchezza Usa".
L'opera "America" è stata visibile ed usufruibile al Museo per un anno. In quanto il Guggenheim l'aveva esposto in un bagno per visitatori al quinto piano del Museo, consentendone l'uso senza problemi.
Ma ora che la mostra è finita, spiega Spector, il gabinetto d'oro massiccio è disponibile "se il Presidente e la First Lady dovessero essere interessati ad installarlo alla Casa Bianca".
Inoltre ha aggiunto che Cattelan, 57 anni, "amerebbe" offrirla alla Casa Bianca per un prestito a lungo termine. Ovviamente è un grandissimo valore e in qualche modo anche fragile ma saremo lieti di fornire tutte le istruzioni per la sua installazione e manutenzione".
La mail è stata inviata dalla curatrice del Museo il 15 Settembre scorso, a Donna Hayashi Smith, responsabile delle opere d'arte della Casa Bianca, che non ha però risposto all'offerta. Solo oggi il Washington Post è entrato in possesso della corrispondenza via mail tra Casa Bianca e Museo e ha reso nota la notizia.
Ancora non sono chiare le motivazioni della singolare controfferta del Guggenheim al Presidente. Diciamo che risulta alquanto strano pensare che tale dono sia stato fatto tenendo presente esclusivamente la passione per gli oggetti d'oro di Trump.
Sicuramente non è la stessa cosa! E sicuramente questo "dono" non si avvicina particolarmente al concetto di opera d'arte comunemente inteso. Ma al Presidente della Casa Bianca che aveva chiesto in prestito un Van Gogh per il suo appartamento privato, gli è stato invece offerta un'altra opera, un wc d'oro massiccio, stimato oltre un milione di dollari, opera dell'artista italiano Maurizio Cattelan.
Al Presidente Usa è arrivata anche la mail di Nancy Spector, curatore del Museo che non ama Trump, che con educazione, fermezza e un pizzico di sarcasmo, motiva: "Nessuna chance di ottenere il Van Gogh "Landscape with snow" (Paesaggio con neve) realizzato nel 1888 dall'artista olandese nel suo lungo soggiorno ad Arles in Francia. Invece è disponibile la Toilette del 2016 che l'autore Maurizio Cattelan ha battezzato "America". Opera che lo stesso autore definì un simbolo della società degli eccessi e della ricchezza Usa".
L'opera "America" è stata visibile ed usufruibile al Museo per un anno. In quanto il Guggenheim l'aveva esposto in un bagno per visitatori al quinto piano del Museo, consentendone l'uso senza problemi.
Ma ora che la mostra è finita, spiega Spector, il gabinetto d'oro massiccio è disponibile "se il Presidente e la First Lady dovessero essere interessati ad installarlo alla Casa Bianca".
Inoltre ha aggiunto che Cattelan, 57 anni, "amerebbe" offrirla alla Casa Bianca per un prestito a lungo termine. Ovviamente è un grandissimo valore e in qualche modo anche fragile ma saremo lieti di fornire tutte le istruzioni per la sua installazione e manutenzione".
La mail è stata inviata dalla curatrice del Museo il 15 Settembre scorso, a Donna Hayashi Smith, responsabile delle opere d'arte della Casa Bianca, che non ha però risposto all'offerta. Solo oggi il Washington Post è entrato in possesso della corrispondenza via mail tra Casa Bianca e Museo e ha reso nota la notizia.
Ancora non sono chiare le motivazioni della singolare controfferta del Guggenheim al Presidente. Diciamo che risulta alquanto strano pensare che tale dono sia stato fatto tenendo presente esclusivamente la passione per gli oggetti d'oro di Trump.
Viene negato il volo al suo cane, non vedente non prende più l'aereo
"Il suo cane non può viaggiare", e il non vedente non sale sul volo Ryanair da Palermo.
Davvero un brutto scivolone per la compagnia aerea Ryanair che ha proibito a Bella, una cagnona dal fluente pelo nero di salire sul volo insieme al suo padrone.
Nulla di particolarmente grave se non fosse che Bella è l' inseparabile ed indispensabile caneguida di Andrea Barbera, non vedente, passeggero in partenza dallo scalo siciliano di Palermo.
Quando l'uomo si è sentito negare di far salire il suo fedele animale sul volo, letteralmente degli operatori della compagnia gli hanno detto: "Il suo cane non può viaggiare", ha deciso di rimanere a terra con la sua Bella.
Questo è quanto racconta Andrea all'emittente televisiva Telesud che ha seguito la storia. L'uomo dichiara anche di aver volato altre volte con la Ryanair, sia da Trapani che da Palermo, ma questa volta la campagna ha sostenuto di non riconoscere questo tipo di cane nel loro programma. E che riconoscono solo quelli delle scuole di Firenze e Milano. Andrea comunque ha esibito certificato e tesserino che non si sono rivelati però utili.
Quindi quello che doveva essere uno sfizioso viaggio di piacere verso il Nord per una vacanza sulle navi, si è trasformato in una brutta giornata, dove la reale necessità di una persona di dover viaggiare accompagnato si è scontrata con l'ottusa "burocrazia" di una compagnia che però già altre volte era stata invece elastica in merito.
L'ulteriore beffa per Andrea si è poi verificata con l'arrivo a destinazione, prima e senza di lui, dei suoi bagagli che erano stati regolarmente imbarcati.
Insomma quando capitano queste disavventure è spiacevole anche per chi deve parlarne, figuriamoci per chi le ha esperite.
Bella, da animale, sicuramente non porterà astio e non ricorderà quest'avventura, resta però la brutta giornata e i disagi provocati anche solo temporaneamente dalla compagnia al suo padrone.
Davvero un brutto scivolone per la compagnia aerea Ryanair che ha proibito a Bella, una cagnona dal fluente pelo nero di salire sul volo insieme al suo padrone.
Nulla di particolarmente grave se non fosse che Bella è l' inseparabile ed indispensabile caneguida di Andrea Barbera, non vedente, passeggero in partenza dallo scalo siciliano di Palermo.
Quando l'uomo si è sentito negare di far salire il suo fedele animale sul volo, letteralmente degli operatori della compagnia gli hanno detto: "Il suo cane non può viaggiare", ha deciso di rimanere a terra con la sua Bella.
Questo è quanto racconta Andrea all'emittente televisiva Telesud che ha seguito la storia. L'uomo dichiara anche di aver volato altre volte con la Ryanair, sia da Trapani che da Palermo, ma questa volta la campagna ha sostenuto di non riconoscere questo tipo di cane nel loro programma. E che riconoscono solo quelli delle scuole di Firenze e Milano. Andrea comunque ha esibito certificato e tesserino che non si sono rivelati però utili.
Quindi quello che doveva essere uno sfizioso viaggio di piacere verso il Nord per una vacanza sulle navi, si è trasformato in una brutta giornata, dove la reale necessità di una persona di dover viaggiare accompagnato si è scontrata con l'ottusa "burocrazia" di una compagnia che però già altre volte era stata invece elastica in merito.
L'ulteriore beffa per Andrea si è poi verificata con l'arrivo a destinazione, prima e senza di lui, dei suoi bagagli che erano stati regolarmente imbarcati.
Insomma quando capitano queste disavventure è spiacevole anche per chi deve parlarne, figuriamoci per chi le ha esperite.
Bella, da animale, sicuramente non porterà astio e non ricorderà quest'avventura, resta però la brutta giornata e i disagi provocati anche solo temporaneamente dalla compagnia al suo padrone.
venerdì 26 gennaio 2018
Filosofa lascia 3 milioni d'eredità per rilanciare la cultura a Domodossola
L'amore per la città suggellato dalla Fondazione dedicata a Paola Ruminelli, filosofa genovese morta nel 2016.
A volte ci si innamora di un luogo, di un piatto o di un'intera popolazione, la filosofa Paola Ruminelli, scomparsa due anni fa, era invece innamorata di una città: Domodossola. A lei lascia in dote 3 milioni d'euro "interamente" da spendere in cultura.
A tanto ammonta il patrimonio accumulato in vita dalla donna nata a Brescia, vissuta a Genova e che a Domodossola aveva trovato le sue radici familiari, infatti suo padre e suo nonno avevano vissuto nell'Ossola.
Così lunedì pomeriggio è stata inaugurata nella città la Fondazione Paola Angela Ruminelli a lei dedicata, presente Antonio Pagani, caro amico nonché esecutore testamentario della filosofa e primo presidente della Fondazione: " Non bisogna stupirsi solo per la grande quantità di denaro lasciato in eredità a Domodossola. Quello che rende ancora più speciale la donazione di Paola è la scelta di regalare tutto ciò che possedeva a una città che sentiva come una famiglia, nonostante qui fosse nata e avesse vissuto solo pochi anni in tempo di guerra. Ed è a questa città che ha pensato: è ancora palpabile in noi lo stupore di quanto abbiamo scoperto quelle che erano state le sue ultime volontà".
Stupore alimentato dal fatto che in realtà la Ruminelli avesse vissuto poco a Domodossola. Eccetto una breve parentesi alle elementari, la donna ha sempre vissuto lontano. Evidentemente tanto è bastato a far entrare comunque la città nel suo cuore e a spingerla a lasciarle in dote una tale eredità.
Lo stesso Pagani aggiunge: "Qua Paola si sentiva come a casa, la mia famiglia è legata alla sua. Di questi luoghi, soprattutto del borgo della cultura, del Calvario si era innamorata".
Tanto che a Dicembre 2015 fondò l'Associazione Mario Ruminelli in memoria del padre violinista per promuovere la cultura a Domo. Cultura che verrà ancora promossa grazie al lascito e alla nuova Fondazione che ogni anno darà 50 mila euro all'Associazione Mario Ruminelli.
La Fondazione poi seguirà anche altri progetti come restauri, borse di studio e pubblicazioni e ridare alle stampe alcuni libri di filosofia scritti da Paola.
Spesso si valuta il valore di un'eredità in base alla quantità di denaro che rappresenta, dimenticando invece , che il dono più grande che si può avere è la cultura....il diritto all'istruzione.
A volte ci si innamora di un luogo, di un piatto o di un'intera popolazione, la filosofa Paola Ruminelli, scomparsa due anni fa, era invece innamorata di una città: Domodossola. A lei lascia in dote 3 milioni d'euro "interamente" da spendere in cultura.
A tanto ammonta il patrimonio accumulato in vita dalla donna nata a Brescia, vissuta a Genova e che a Domodossola aveva trovato le sue radici familiari, infatti suo padre e suo nonno avevano vissuto nell'Ossola.
Così lunedì pomeriggio è stata inaugurata nella città la Fondazione Paola Angela Ruminelli a lei dedicata, presente Antonio Pagani, caro amico nonché esecutore testamentario della filosofa e primo presidente della Fondazione: " Non bisogna stupirsi solo per la grande quantità di denaro lasciato in eredità a Domodossola. Quello che rende ancora più speciale la donazione di Paola è la scelta di regalare tutto ciò che possedeva a una città che sentiva come una famiglia, nonostante qui fosse nata e avesse vissuto solo pochi anni in tempo di guerra. Ed è a questa città che ha pensato: è ancora palpabile in noi lo stupore di quanto abbiamo scoperto quelle che erano state le sue ultime volontà".
Stupore alimentato dal fatto che in realtà la Ruminelli avesse vissuto poco a Domodossola. Eccetto una breve parentesi alle elementari, la donna ha sempre vissuto lontano. Evidentemente tanto è bastato a far entrare comunque la città nel suo cuore e a spingerla a lasciarle in dote una tale eredità.
Lo stesso Pagani aggiunge: "Qua Paola si sentiva come a casa, la mia famiglia è legata alla sua. Di questi luoghi, soprattutto del borgo della cultura, del Calvario si era innamorata".
Tanto che a Dicembre 2015 fondò l'Associazione Mario Ruminelli in memoria del padre violinista per promuovere la cultura a Domo. Cultura che verrà ancora promossa grazie al lascito e alla nuova Fondazione che ogni anno darà 50 mila euro all'Associazione Mario Ruminelli.
La Fondazione poi seguirà anche altri progetti come restauri, borse di studio e pubblicazioni e ridare alle stampe alcuni libri di filosofia scritti da Paola.
Spesso si valuta il valore di un'eredità in base alla quantità di denaro che rappresenta, dimenticando invece , che il dono più grande che si può avere è la cultura....il diritto all'istruzione.
Giallo all'Università di Bristol
Una catena di suicidi misteriosi sconvolge il rinomato ateneo britannico.
Con il ritrovamento del cadavere di Justin Cheng sale a 7 il numero delle vittime, tutti allievi, che in 16 mesi presumibilmente si sono tolti la vita a Bristol. Una catena di suicidi inspiegabili sta sconvolgendo la quiete del tranquillo, almeno fino ad ora, ateneo; uno tra i più prestigiosi e popolari fra gli studenti d'Oltremanica.
Da sempre una delle più evolute del Regno Unito e del mondo, tant'è che occupa il 50° posto della classifica globale. A ragione, gli studenti fanno la fila per accedervi. La cronaca degli ultimi mesi però, sta portando alla ribalta l'ateneo anche per un ben più triste primato. Quello dei suicidi dei suoi allievi.
Tutto è cominciato nell'Ottobre 2016 quando è stata ritrovata morta Miranda Williams, studentessa in Filosofia di 19 anni, deceduta dopo aver ingerito un'overdose di farmaci. Pochi giorni dopo è toccato a Daniel Green, diciottenne al primo anno di Storia, trovato impiccato. Qualche settimana più tardi è stato ritrovato Kim Long, altro 18enne studente di Legge; morto asfissiato nella sua residenza.
Un altro suicidio è stato registrato nel Gennaio 2017, era Lara Nosiru ventitreenne all'ultimo anno di Neuroscienze. Poi è stata la volta di Elsa Scaburri, ventunenne al 3° anno di Lingue trovata impiccata vicino casa a Marzo e lo scorso Ottobre venne ritrovato, sempre impiccato, James Thompson ventenne al secondo anno di matematica.
Pochi giorni fa, invece con un post su Facebook Tiffany Cheng sorella dell'ultima vittima, annuncia: "Mio fratello soffriva di una grave depressione che alla fine lo ha condotto al suo decesso".
Coincidenze alquanto particolari. Così l'Università di Bristol ha di recente rivisto i suoi servizi di assistenza agli studenti e ha speso un milione di sterline in consiglieri per il benessere, oltre ad assumere un team di 28 psicologi.
Va ricordato che il sistema britannico è altamente competitivo e l'aumento delle rette a 9.250 sterline, (oltre 10 mila euro) ha esacerbato il problema: gli studenti finiscono gli studi provati da debiti fino a 50 mila sterline che debbono ripagare una volta trovato lavoro: diventa quindi imperativo eccellere negli studi per avere la garanzia di un impiego ben remunerato. La pressione è estrema e tanti non la reggono. Ora bisognerà indagare perché soprattutto a Bristol, tutti questi fattori si tramutano in suicidi.
Con il ritrovamento del cadavere di Justin Cheng sale a 7 il numero delle vittime, tutti allievi, che in 16 mesi presumibilmente si sono tolti la vita a Bristol. Una catena di suicidi inspiegabili sta sconvolgendo la quiete del tranquillo, almeno fino ad ora, ateneo; uno tra i più prestigiosi e popolari fra gli studenti d'Oltremanica.
Da sempre una delle più evolute del Regno Unito e del mondo, tant'è che occupa il 50° posto della classifica globale. A ragione, gli studenti fanno la fila per accedervi. La cronaca degli ultimi mesi però, sta portando alla ribalta l'ateneo anche per un ben più triste primato. Quello dei suicidi dei suoi allievi.
Tutto è cominciato nell'Ottobre 2016 quando è stata ritrovata morta Miranda Williams, studentessa in Filosofia di 19 anni, deceduta dopo aver ingerito un'overdose di farmaci. Pochi giorni dopo è toccato a Daniel Green, diciottenne al primo anno di Storia, trovato impiccato. Qualche settimana più tardi è stato ritrovato Kim Long, altro 18enne studente di Legge; morto asfissiato nella sua residenza.
Un altro suicidio è stato registrato nel Gennaio 2017, era Lara Nosiru ventitreenne all'ultimo anno di Neuroscienze. Poi è stata la volta di Elsa Scaburri, ventunenne al 3° anno di Lingue trovata impiccata vicino casa a Marzo e lo scorso Ottobre venne ritrovato, sempre impiccato, James Thompson ventenne al secondo anno di matematica.
Pochi giorni fa, invece con un post su Facebook Tiffany Cheng sorella dell'ultima vittima, annuncia: "Mio fratello soffriva di una grave depressione che alla fine lo ha condotto al suo decesso".
Coincidenze alquanto particolari. Così l'Università di Bristol ha di recente rivisto i suoi servizi di assistenza agli studenti e ha speso un milione di sterline in consiglieri per il benessere, oltre ad assumere un team di 28 psicologi.
Va ricordato che il sistema britannico è altamente competitivo e l'aumento delle rette a 9.250 sterline, (oltre 10 mila euro) ha esacerbato il problema: gli studenti finiscono gli studi provati da debiti fino a 50 mila sterline che debbono ripagare una volta trovato lavoro: diventa quindi imperativo eccellere negli studi per avere la garanzia di un impiego ben remunerato. La pressione è estrema e tanti non la reggono. Ora bisognerà indagare perché soprattutto a Bristol, tutti questi fattori si tramutano in suicidi.
giovedì 25 gennaio 2018
Curcuma mania: migliora la memoria e l'umore
Ora si scopre che la spezia del momento ha degli effetti benefici anche sul sistema nervoso centrale. Nel cervello diminuisce i segnali di proteine legate all'Alzheimer.
Su tutte le tavole, casalinghe, nei locali, nelle bevande e in tanti snack salati è un trionfare di curcuma. Spesso anche con accostamenti molto bizzarri, l'importante è che ci sia, poiché la spezia orientale ha conquistato i palati e la speranza di molti, anche di chi vede in essa "un'alleata" per la dieta.
Sono tanti gli estimatori del curry e una ricerca rivela che fanno pure bene, in quanto la curcuma fa migliorare la memoria e l'umore. Da qui spiegato il perché del fatto che in India ci sarebbero migliori performance cognitive e meno malati di Alzheimer.
A rivelare le ulteriori proprietà benefiche della spezia è una ricerca condotta dall'Università della California e pubblicata sull'American Journal of Geriatric Psychiatry.
Per lo studio sono stati interpellati 40 adulti tra i 50 e i 90 anni con lievi disturbi della memoria. Sono stati divisi in due gruppi: ad uno è stato assegnato un placebo e all'altro 90 milligrammi di curcumina, per due volte al giorno per 18 mesi. I test di memoria per chi aveva assunto curcuma erano migliori del 28%. Rivelato inoltre un lieve miglioramento dell'umore e meno segnali delle proteine amiloidi e tau nell'amigdala e dell'ipotalamo, le regioni del cervello deputate al controllo delle funzioni emotive e della memoria. Queste due proteine sono associate alle malattie neurodegenerative come l'Alzheimer.
Gli stessi ricercatori sono rimasti sorpresi dai risultati lo si evince pure dalle parole del primo autore dello studio, Gary Small :"Esattamente come la curcuma esercita i suoi effetti non è certo, ma potrebbe essere dovuta alla sua capacità di ridurre l'infiammazione cerebrale, che è stata collegata sia alla malattia di Alzheimer sia alla Depressione maggiore".
Spesso si sente dire che il buon umore e la salute passano soprattutto per la tavola. Quindi perché non condire le nostre pietanze tradizionali con un pizzico di "speziato" in più, usando la curcuma saremmo anche tremendamente trendy.
Su tutte le tavole, casalinghe, nei locali, nelle bevande e in tanti snack salati è un trionfare di curcuma. Spesso anche con accostamenti molto bizzarri, l'importante è che ci sia, poiché la spezia orientale ha conquistato i palati e la speranza di molti, anche di chi vede in essa "un'alleata" per la dieta.
Sono tanti gli estimatori del curry e una ricerca rivela che fanno pure bene, in quanto la curcuma fa migliorare la memoria e l'umore. Da qui spiegato il perché del fatto che in India ci sarebbero migliori performance cognitive e meno malati di Alzheimer.
A rivelare le ulteriori proprietà benefiche della spezia è una ricerca condotta dall'Università della California e pubblicata sull'American Journal of Geriatric Psychiatry.
Per lo studio sono stati interpellati 40 adulti tra i 50 e i 90 anni con lievi disturbi della memoria. Sono stati divisi in due gruppi: ad uno è stato assegnato un placebo e all'altro 90 milligrammi di curcumina, per due volte al giorno per 18 mesi. I test di memoria per chi aveva assunto curcuma erano migliori del 28%. Rivelato inoltre un lieve miglioramento dell'umore e meno segnali delle proteine amiloidi e tau nell'amigdala e dell'ipotalamo, le regioni del cervello deputate al controllo delle funzioni emotive e della memoria. Queste due proteine sono associate alle malattie neurodegenerative come l'Alzheimer.
Gli stessi ricercatori sono rimasti sorpresi dai risultati lo si evince pure dalle parole del primo autore dello studio, Gary Small :"Esattamente come la curcuma esercita i suoi effetti non è certo, ma potrebbe essere dovuta alla sua capacità di ridurre l'infiammazione cerebrale, che è stata collegata sia alla malattia di Alzheimer sia alla Depressione maggiore".
Spesso si sente dire che il buon umore e la salute passano soprattutto per la tavola. Quindi perché non condire le nostre pietanze tradizionali con un pizzico di "speziato" in più, usando la curcuma saremmo anche tremendamente trendy.
Hockey, le sorelle Brandt: una è coreana l'altra è americana
Sorelle. Stesso cognome, una con tratti asiatici e giocherà per la Nazionale della Corea. Mentre, l'altra biondissima le è avversaria nella squadra americana.
Ad Hannah (l'americana) i genitori dissero che la sorellina "era nata in cielo"...un modo molto dolce per dire che Marissa (la coreana) era arrivata in Minnesota su un aereo a 10 mila metri d'altezza in quanto adottata.
Marissa nacque, infatti, in qualche parte della Corea e fu adottata da Greg e Robin Brandt, quando aveva solo 5 mesi, nel Maggio del 1993. Due settimane dopo aver completato le pratiche di adozione, la signora Brandt scoprì di essere incinta di Hannah, che nacque a Novembre del 1993. Nello stesso anno due figlie, due sorelle, a colmare il bisogno di maternità della coppia.
Tutte e due americane, del Minnesota, solo una con i lineamenti asiatici e l'altra biondissima. Ed entrambe unite anche dall'amore per lo sport. In particolare per il re degli sport invernali , l'hockey. Ed entrambe in partenza per i Giochi di Pyenogchang, dove si fronteggieranno sul ghiaccio giocando per due nazioni diverse.
Hannah è l'attaccante di Team Usa, la fortissima Nazionale americana. Marissa invece fa parte della squadra di ragazze di origine coreana ma nazionalità straniera reclutate da Seul per rinforzare la rappresentativa di hockey su ghiaccio. Per questo, tre anni fa, Marissa dal Minnesota è tornata a Seul per diventare cittadina della Repubblica di Corea, per i cui colori si sta ora allenando. "All'inizio è stata un'esperienza terrificante, non capivo e parlavo, non conoscevo un solo carattere di coreano". Ricorda, mentre continua ad imparare la lingua ed apprezzare la cucina locale.
Una storia nata da una serie di casualità, come quella della passione dell'hockey che finora aveva unito le due ragazze. Perché a Marissa non piaceva giocare a hockey, preferiva il pattinaggio artistico, cambiò disciplina solo per seguire la sorella Hannah, vera appassionata di questo particolare sport. Così mentre Hannah giocava in Nazionale, Marissa militava nella squadra del college fino a quando non è stata "richiamata" da Seul per partecipare alle Olimpiadi.
Giochi a cui Marissa parteciperà con stampato sulla maglia il suo nome coreano: Pork Yoon-jing: "Perché quando ho visto la maglia blu e ho sentito l'inno ho capito che sono coreana".
Per ora i giochi di Pyenogchang hanno già avuto il merito di far avvicinare le due Coree e "riportare" in patria tanti dei suoi figli sparsi per il mondo. Speriamo che lo sport e in questo caso l'hockey "dividano" in modo solo giocoso e leale le due sorelle e solo sul campo di ghiaccio.
Ad Hannah (l'americana) i genitori dissero che la sorellina "era nata in cielo"...un modo molto dolce per dire che Marissa (la coreana) era arrivata in Minnesota su un aereo a 10 mila metri d'altezza in quanto adottata.
Marissa nacque, infatti, in qualche parte della Corea e fu adottata da Greg e Robin Brandt, quando aveva solo 5 mesi, nel Maggio del 1993. Due settimane dopo aver completato le pratiche di adozione, la signora Brandt scoprì di essere incinta di Hannah, che nacque a Novembre del 1993. Nello stesso anno due figlie, due sorelle, a colmare il bisogno di maternità della coppia.
Tutte e due americane, del Minnesota, solo una con i lineamenti asiatici e l'altra biondissima. Ed entrambe unite anche dall'amore per lo sport. In particolare per il re degli sport invernali , l'hockey. Ed entrambe in partenza per i Giochi di Pyenogchang, dove si fronteggieranno sul ghiaccio giocando per due nazioni diverse.
Hannah è l'attaccante di Team Usa, la fortissima Nazionale americana. Marissa invece fa parte della squadra di ragazze di origine coreana ma nazionalità straniera reclutate da Seul per rinforzare la rappresentativa di hockey su ghiaccio. Per questo, tre anni fa, Marissa dal Minnesota è tornata a Seul per diventare cittadina della Repubblica di Corea, per i cui colori si sta ora allenando. "All'inizio è stata un'esperienza terrificante, non capivo e parlavo, non conoscevo un solo carattere di coreano". Ricorda, mentre continua ad imparare la lingua ed apprezzare la cucina locale.
Una storia nata da una serie di casualità, come quella della passione dell'hockey che finora aveva unito le due ragazze. Perché a Marissa non piaceva giocare a hockey, preferiva il pattinaggio artistico, cambiò disciplina solo per seguire la sorella Hannah, vera appassionata di questo particolare sport. Così mentre Hannah giocava in Nazionale, Marissa militava nella squadra del college fino a quando non è stata "richiamata" da Seul per partecipare alle Olimpiadi.
Giochi a cui Marissa parteciperà con stampato sulla maglia il suo nome coreano: Pork Yoon-jing: "Perché quando ho visto la maglia blu e ho sentito l'inno ho capito che sono coreana".
Per ora i giochi di Pyenogchang hanno già avuto il merito di far avvicinare le due Coree e "riportare" in patria tanti dei suoi figli sparsi per il mondo. Speriamo che lo sport e in questo caso l'hockey "dividano" in modo solo giocoso e leale le due sorelle e solo sul campo di ghiaccio.
mercoledì 24 gennaio 2018
In Italia un centro per la diffusione della cultura digitale
Facebook sceglie l'Europa. Gli investimenti riguarderanno anche altri Paesi, come la Spagna, la Polonia e maggiormente la Francia, dove si trova il centro sull'intelligenza artificiale.
È lo stesso Zuckerberg ad annunciare l'apertura in Europa di tre nuovi centri dedicati alla diffusione della cultura digitale. Facebook ha intenzione di "istruire" così un milione di persone, nell'arco temporale di due anni, a sfruttare al meglio le potenzialità dell'economia digitale.
Gli investimenti sono previsti in Italia, Spagna e Polonia, sebbene ancora non siano note le città direttamente interessate. Più fortunata la Francia per cui è stato annunciato un investimento da 10 milioni di euro nel centro di ricerca sull'intelligenza artificiale che Facebook ha aperto nel 2013 a Parigi.
Sheryl Sondberg, portavoce del colosso dei social spiega: "Le persone sono preoccupate che la trasformazione in corso le lasci indietro, noi stiamo investendo per assicurarci che tutti abbiano invece gli strumenti necessari a partecipare con successo all'economia digitale".
I tre centri offriranno quindi corsi di formazione pensati innanzitutto per le piccole medie imprese, ma anche per le persone più in difficoltà con l'avanzamento tecnologico, categorie nelle quali far rientrare gli immigrati, gli anziani o i giovanissimi.
L'annuncio è stato dato dopo mesi di scontri tra Facebook e l'Unione Europea, preoccupata dalla posizione dominante del social e dal suo utilizzo dei dati privati cittadini nonché dal suo ruolo nella diffusione massiva di fake news.
L'apertura di questi centri sembra quasi una richiesta di pace all'Unione Europea, che in diverse occasioni ha sottolineato l'importanza di espandere le competenze digitali degli europei per consentire loro di partecipare con maggiore successo al mercato del lavoro.
I centri avranno anche l'obiettivo di insegnare alle piccole imprese di sfruttare al meglio le potenzialità di internet per incrementare il proprio volume d'affari anche grazie alla visibilità di cui il social dispone.
L'economia cambia, come il mercato e la cultura globale. Per farla avanzare, però, servono sempre gli investimenti e allora ben venga l'interesse del social per il Vecchio Continente e l'Italia in particolare.
È lo stesso Zuckerberg ad annunciare l'apertura in Europa di tre nuovi centri dedicati alla diffusione della cultura digitale. Facebook ha intenzione di "istruire" così un milione di persone, nell'arco temporale di due anni, a sfruttare al meglio le potenzialità dell'economia digitale.
Gli investimenti sono previsti in Italia, Spagna e Polonia, sebbene ancora non siano note le città direttamente interessate. Più fortunata la Francia per cui è stato annunciato un investimento da 10 milioni di euro nel centro di ricerca sull'intelligenza artificiale che Facebook ha aperto nel 2013 a Parigi.
Sheryl Sondberg, portavoce del colosso dei social spiega: "Le persone sono preoccupate che la trasformazione in corso le lasci indietro, noi stiamo investendo per assicurarci che tutti abbiano invece gli strumenti necessari a partecipare con successo all'economia digitale".
I tre centri offriranno quindi corsi di formazione pensati innanzitutto per le piccole medie imprese, ma anche per le persone più in difficoltà con l'avanzamento tecnologico, categorie nelle quali far rientrare gli immigrati, gli anziani o i giovanissimi.
L'annuncio è stato dato dopo mesi di scontri tra Facebook e l'Unione Europea, preoccupata dalla posizione dominante del social e dal suo utilizzo dei dati privati cittadini nonché dal suo ruolo nella diffusione massiva di fake news.
L'apertura di questi centri sembra quasi una richiesta di pace all'Unione Europea, che in diverse occasioni ha sottolineato l'importanza di espandere le competenze digitali degli europei per consentire loro di partecipare con maggiore successo al mercato del lavoro.
I centri avranno anche l'obiettivo di insegnare alle piccole imprese di sfruttare al meglio le potenzialità di internet per incrementare il proprio volume d'affari anche grazie alla visibilità di cui il social dispone.
L'economia cambia, come il mercato e la cultura globale. Per farla avanzare, però, servono sempre gli investimenti e allora ben venga l'interesse del social per il Vecchio Continente e l'Italia in particolare.
Turismo enogastronomico in continua crescita
In Italia è boom del turismo enogastronomico. Avanza del 10%. La Toscana è tra le mete preferite.
Un fenomeno in continua ascesa. Un italiano su 3, nell'ultimo triennio ha svolto almeno un viaggio enogastronomico. Il turismo enogastronomico è il trend del momento, piace e cresce.
Nel 2016 come rivelato dal Food Travel Monitor, la media dei "nuovi viaggiatori" aveva toccato il 21%, per arrivare al 30% del 2017.
Un'ascesa che rivela come l'enogastronomia sia passata da ruolo "accessorio" a componente in grado di influenzare le scelte di viaggio.
Lo sanno bene i cultori del mangiar buono e sano, i visitatori che hanno voglia di conoscere un territorio anche attraverso i prodotti tipici, culinari ed enogastronomici.
Questo è quanto emerge da uno studio patrocinato dall'Università degli Studi di Bergamo e dalla World Food Travel Association, con il patrocinio di Touring Club, Ismea Qualivita, Feder Culture e la collaborazione di Seminario Veronelli, più il preziosissimo contributo di The Fork e TripAdvisor, Roberta Garibaldi, esperta a livello nazionale e internazionale di Turismo enogastronomico.
Il "Primo rapporto sul turismo enogastronomico italiano" è stato presentato a Milano e chiarisce: "Questo lavoro mette a fuoco un trand in forte ascesa. Risulta sempre più evidente come la gastronomia stia condizionando la scelta dei viaggi. Troviamo un rafforzamento su ogni fronte: ora gli italiani si muovono anche per cercare esperienze legate al cibo e al vino. Un atteggiamento sempre più simile a quello di molti stranieri".
Tra le mete, quella più ambita risulta essere la Toscana, seguita poi dall'interesse crescente per la Sicilia, la Puglia, al 4° posto con un +9% si assesta l'Emilia Romagna, la segue la Campania ed infine il Lazio.
I turisti italiani sono cambiati. In vacanza desiderano sperimentare l'enogastronomia in tutte le sue sfaccettature, partecipano ad esperienze di food più popolari (come alcun sagre diventate ormai degli eventi...) , oppure prediligono i piatti tipici del luogo consumati anche in ristoranti locali (70%); oppure comprano cibo da un food truck (59%) e non si disdegna nemmeno di visitare un mercato con i prodotti del territorio (73%).
Insomma un cambio di tendenza verso un turismo forse più semplice, dove si va alla ricerca di sapori autentici, da guastare sul momento, in loco e immersi nelle atmosfere originarie che ne decretano il particolare gusto.
Un fenomeno in continua ascesa. Un italiano su 3, nell'ultimo triennio ha svolto almeno un viaggio enogastronomico. Il turismo enogastronomico è il trend del momento, piace e cresce.
Nel 2016 come rivelato dal Food Travel Monitor, la media dei "nuovi viaggiatori" aveva toccato il 21%, per arrivare al 30% del 2017.
Un'ascesa che rivela come l'enogastronomia sia passata da ruolo "accessorio" a componente in grado di influenzare le scelte di viaggio.
Lo sanno bene i cultori del mangiar buono e sano, i visitatori che hanno voglia di conoscere un territorio anche attraverso i prodotti tipici, culinari ed enogastronomici.
Questo è quanto emerge da uno studio patrocinato dall'Università degli Studi di Bergamo e dalla World Food Travel Association, con il patrocinio di Touring Club, Ismea Qualivita, Feder Culture e la collaborazione di Seminario Veronelli, più il preziosissimo contributo di The Fork e TripAdvisor, Roberta Garibaldi, esperta a livello nazionale e internazionale di Turismo enogastronomico.
Il "Primo rapporto sul turismo enogastronomico italiano" è stato presentato a Milano e chiarisce: "Questo lavoro mette a fuoco un trand in forte ascesa. Risulta sempre più evidente come la gastronomia stia condizionando la scelta dei viaggi. Troviamo un rafforzamento su ogni fronte: ora gli italiani si muovono anche per cercare esperienze legate al cibo e al vino. Un atteggiamento sempre più simile a quello di molti stranieri".
Tra le mete, quella più ambita risulta essere la Toscana, seguita poi dall'interesse crescente per la Sicilia, la Puglia, al 4° posto con un +9% si assesta l'Emilia Romagna, la segue la Campania ed infine il Lazio.
I turisti italiani sono cambiati. In vacanza desiderano sperimentare l'enogastronomia in tutte le sue sfaccettature, partecipano ad esperienze di food più popolari (come alcun sagre diventate ormai degli eventi...) , oppure prediligono i piatti tipici del luogo consumati anche in ristoranti locali (70%); oppure comprano cibo da un food truck (59%) e non si disdegna nemmeno di visitare un mercato con i prodotti del territorio (73%).
Insomma un cambio di tendenza verso un turismo forse più semplice, dove si va alla ricerca di sapori autentici, da guastare sul momento, in loco e immersi nelle atmosfere originarie che ne decretano il particolare gusto.
venerdì 19 gennaio 2018
Gli studenti italiani: connessi anche di notte e attratti dal gioco d'azzardo
Questo è l'autoscatto degli studenti italiani dopo un questionario sottoposto a 35mila studenti di 8 province da Nord a Sud. Inoltre, svela che l'84% dei bambini sotto i 10 anni ha acquistato almeno una volta un Gratta e Vinci con la complicità di un genitore.
L'autoscatto dei giovani studenti italiani under 18 è un quadro pregno di connessione allo smartphone, dovuto ad una dipendenza da social network ed isolamento rispetto al mondo degli adulti e forte inquietudine.
L'immagine è stata sapientemente immortalata da "Selfie" il questionario progettato in forma sperimentale dal Centro Seni di Melo della Fondazione Exodus in collaborazione con la Casa del Giovane di Pavia e diventato uno strumento scientifico grazie al supporto dell'Università Bicocca di Milano.
Sono stati chiamati in causa 35mila alunni provenienti dalle province di Varese, Milano, Bergamo, Pavia, Mantova, Cremona, Cosenza e Potenza.
Ne emerge che i giovani vanno pazzi per i social, più Instagram che Facebook e l'84% dei bambini sotto i 10 anni almeno una volta ha giocato d'azzardo comprando un Gratta e Vinci, complice un genitore.
Sebbene va precisato che per i ragazzi intervistati azzardo significa sfruttamento di una persona su un'altra e la parola gioco venga associato al concetto di divertimento e non di azzardo, per gli under 18 è difficile è considerare in maniera negativa un'azione familiare e accettare che sia legale qualcosa che fa male.
Altro dato allarmante è quello secondo cui i giovani sarebbero connessi soprattutto di notte, per il 46% dei 35 mila studenti delle scuole superiori intervistati è normale usarlo nelle ore notturne, soprattutto per chattare anche se non è da escludere quel 43% che usa proprio la chat per scambiarsi immagini provocanti con coetanei. Ed esiste anche un 10% che non usa mai lo smartphone per telefonare.
Insomma, il "Selfie" che emerge da questa immagine è un po' sconfortante. Mostra giovani troppo nascosti dietro uno schermo che perdono gran parte del loro tempo per immaginarsi cose che invece potrebbero vivere realmente di giorno.
L'autoscatto dei giovani studenti italiani under 18 è un quadro pregno di connessione allo smartphone, dovuto ad una dipendenza da social network ed isolamento rispetto al mondo degli adulti e forte inquietudine.
L'immagine è stata sapientemente immortalata da "Selfie" il questionario progettato in forma sperimentale dal Centro Seni di Melo della Fondazione Exodus in collaborazione con la Casa del Giovane di Pavia e diventato uno strumento scientifico grazie al supporto dell'Università Bicocca di Milano.
Sono stati chiamati in causa 35mila alunni provenienti dalle province di Varese, Milano, Bergamo, Pavia, Mantova, Cremona, Cosenza e Potenza.
Ne emerge che i giovani vanno pazzi per i social, più Instagram che Facebook e l'84% dei bambini sotto i 10 anni almeno una volta ha giocato d'azzardo comprando un Gratta e Vinci, complice un genitore.
Sebbene va precisato che per i ragazzi intervistati azzardo significa sfruttamento di una persona su un'altra e la parola gioco venga associato al concetto di divertimento e non di azzardo, per gli under 18 è difficile è considerare in maniera negativa un'azione familiare e accettare che sia legale qualcosa che fa male.
Altro dato allarmante è quello secondo cui i giovani sarebbero connessi soprattutto di notte, per il 46% dei 35 mila studenti delle scuole superiori intervistati è normale usarlo nelle ore notturne, soprattutto per chattare anche se non è da escludere quel 43% che usa proprio la chat per scambiarsi immagini provocanti con coetanei. Ed esiste anche un 10% che non usa mai lo smartphone per telefonare.
Insomma, il "Selfie" che emerge da questa immagine è un po' sconfortante. Mostra giovani troppo nascosti dietro uno schermo che perdono gran parte del loro tempo per immaginarsi cose che invece potrebbero vivere realmente di giorno.
mercoledì 17 gennaio 2018
La nuova sfida: rispondere subito o meno ai messaggi
Quando la risposta ad un messaggio non arriva subito crea ansia. È stato provato scientificamente e sarebbe bene disintossicarsi.
Come se l'uomo contemporaneo non fosse già abbastanza incasinato o non avesse già mille motivi per essere ansioso, ora si è creato pure il pallino dei messaggi che non sortiscono una risposta immediata.
Perché l'hic et nunc per i messaggi non deve essere valido. Aspettare la risposta genera malessere. La vera sfida non è quella di rispondere o non rispondere ad un messaggio, che non crea la libertà, ma bisogna farlo quando è meglio. Giovanni Boccia Artieri, sociologo dei media digitali all'Università di Urbino Carlo Bo, parla di: "Sovraccarico informativo, istantaneo e quotidiano". Oggi più che mai ci stiamo rendendo, più che reperibili, sempre più disponibili a comunicare. Praticamente, stiamo sempre con gli occhi al cellulare.
Il telefonino non è più uno strumento per essere rintracciabili, ma un "hub multimediale", una centrale sovraccaricata di email, sms, messaggi istantanei.
Questo genera ansia! Come sottolinea un'altra esperta del tema, Sherry Turkle, antropologa digitale: "Abbiamo creato un ambiente in cui le persone credono di poter ricevere una risposta all'istante. Quando non succede, entrano in ansia".
A cui si potrebbe porre rimedio imparando a scartare, ovvero trasfomare quello spazio mentale in cui ci sentiamo sotto assedio in un avamposto di una nuova comunicazione digitale.
All'estero già sono attivi metodi di disintossicazione dalle comunicazioni attraverso corsi e buone pratiche negli uffici. In Italia, invece, un'etica adeguata è ancora lontana e lo stesso Boccia Artieri suggerisce di dover "cominciare a trovare soluzioni".
L'equivoco di fondo è che ci aspettiamo una risposta immediata dal destinatario di un messaggio, come se fosse lì di fronte ai nostri occhi. Come nella comunicazione diretta, quando un interlocutore è a 70 cm dal nostro naso, e la risposta arriva in 200 millesimi di secondo.
"È un processo cognitivo automatico, messo in atto dal cervello, lo stesso che si genera in un faccia a faccia". Ma invece non è così, quindi bisogna allentare la presa: disabilitando le notifiche, per esempio, almeno durante le vacanze o nel weekend; in modo da non essere distratti ed educare l'interlocutore a non aspettarsi una risposta fino al lunedì successivo. Oppure è consigliato togliersi dai gruppi Whatsapp, a cui nostro malgrado ci troviamo inseriti. E si può sempre scegliere di togliere la spuntatura azzurra alla lettura dei messaggi.
Insomma, non si deve scappare ma stabilire i tempi dell'interazione. In cui non deve essere un'attesa spasmodica né nell'attesa di un messaggio che deve arrivare, né nel dover attendere per forza una risposta immediata.
Certo, tutto giustissimo! Se non fosse che proprio considerando il fatto che le persone sono sempre con il cellulare a portata, quando poi non rispondono ad un messaggio, umanamente, un po' d'ansia t'assale.
Come se l'uomo contemporaneo non fosse già abbastanza incasinato o non avesse già mille motivi per essere ansioso, ora si è creato pure il pallino dei messaggi che non sortiscono una risposta immediata.
Perché l'hic et nunc per i messaggi non deve essere valido. Aspettare la risposta genera malessere. La vera sfida non è quella di rispondere o non rispondere ad un messaggio, che non crea la libertà, ma bisogna farlo quando è meglio. Giovanni Boccia Artieri, sociologo dei media digitali all'Università di Urbino Carlo Bo, parla di: "Sovraccarico informativo, istantaneo e quotidiano". Oggi più che mai ci stiamo rendendo, più che reperibili, sempre più disponibili a comunicare. Praticamente, stiamo sempre con gli occhi al cellulare.
Il telefonino non è più uno strumento per essere rintracciabili, ma un "hub multimediale", una centrale sovraccaricata di email, sms, messaggi istantanei.
Questo genera ansia! Come sottolinea un'altra esperta del tema, Sherry Turkle, antropologa digitale: "Abbiamo creato un ambiente in cui le persone credono di poter ricevere una risposta all'istante. Quando non succede, entrano in ansia".
A cui si potrebbe porre rimedio imparando a scartare, ovvero trasfomare quello spazio mentale in cui ci sentiamo sotto assedio in un avamposto di una nuova comunicazione digitale.
All'estero già sono attivi metodi di disintossicazione dalle comunicazioni attraverso corsi e buone pratiche negli uffici. In Italia, invece, un'etica adeguata è ancora lontana e lo stesso Boccia Artieri suggerisce di dover "cominciare a trovare soluzioni".
L'equivoco di fondo è che ci aspettiamo una risposta immediata dal destinatario di un messaggio, come se fosse lì di fronte ai nostri occhi. Come nella comunicazione diretta, quando un interlocutore è a 70 cm dal nostro naso, e la risposta arriva in 200 millesimi di secondo.
"È un processo cognitivo automatico, messo in atto dal cervello, lo stesso che si genera in un faccia a faccia". Ma invece non è così, quindi bisogna allentare la presa: disabilitando le notifiche, per esempio, almeno durante le vacanze o nel weekend; in modo da non essere distratti ed educare l'interlocutore a non aspettarsi una risposta fino al lunedì successivo. Oppure è consigliato togliersi dai gruppi Whatsapp, a cui nostro malgrado ci troviamo inseriti. E si può sempre scegliere di togliere la spuntatura azzurra alla lettura dei messaggi.
Insomma, non si deve scappare ma stabilire i tempi dell'interazione. In cui non deve essere un'attesa spasmodica né nell'attesa di un messaggio che deve arrivare, né nel dover attendere per forza una risposta immediata.
Certo, tutto giustissimo! Se non fosse che proprio considerando il fatto che le persone sono sempre con il cellulare a portata, quando poi non rispondono ad un messaggio, umanamente, un po' d'ansia t'assale.
Ventenne americano vince 370 milioni alla lotteria
Shane Missler vince la lotteria milionaria e dichiara: "Ora voglio divertirmi e fare qualcosa per l'umanità".
In effetti con 451 milioni di dollari circa 370 milioni di euro, questa la cifra vinta dal giovane della Florida, si potrebbero fare davvero tante cose.
La sua è la quarta vincita più alta nella storia delle lotterie americane. Shane ha optato per ricevere in una sola volta oltre la metà della vincita, invece di dilazionarla in forme di rendita negli anni a venire.
Il giovane è originario di Tallahassee, in Florida e subito dopo aver capito di essere il vincitore del premio, con tanto di biglietto fortunato in bella mostra, dichiara: "Ho solo vent'anni ma spero di usare la vincita per perseguire le mie passioni, aiutare la mia famiglia e fare del bene all'umanità. Voglio anche divertirmi un po' e mettere a punto un percorso verso il successo finanziario in modo da lasciare un'eredità per il futuro".
Il giovane ha acquistato i biglietti in un negozio a nord di Tampa, scegliendo la "combinazione casuale", cioè è stata la macchina a fare la combinazione vincente con i numeri fortunati.
In merito alla sua vincita dichiara: "Me lo sentivo che avrei vinto se c'è una cosa che ho capito è che coloro che mantengono una mentalità positiva e rimangono fedeli a se stessi prima o poi vengono premiati".
Certo, dopo aver vinto circa 370 milioni di euro; Shane ha diverse ragioni per rimanere con una mentalità positiva. Speriamo che impieghi bene questo denaro per vivere al meglio la futura vita da nababbo.
In effetti con 451 milioni di dollari circa 370 milioni di euro, questa la cifra vinta dal giovane della Florida, si potrebbero fare davvero tante cose.
La sua è la quarta vincita più alta nella storia delle lotterie americane. Shane ha optato per ricevere in una sola volta oltre la metà della vincita, invece di dilazionarla in forme di rendita negli anni a venire.
Il giovane è originario di Tallahassee, in Florida e subito dopo aver capito di essere il vincitore del premio, con tanto di biglietto fortunato in bella mostra, dichiara: "Ho solo vent'anni ma spero di usare la vincita per perseguire le mie passioni, aiutare la mia famiglia e fare del bene all'umanità. Voglio anche divertirmi un po' e mettere a punto un percorso verso il successo finanziario in modo da lasciare un'eredità per il futuro".
Il giovane ha acquistato i biglietti in un negozio a nord di Tampa, scegliendo la "combinazione casuale", cioè è stata la macchina a fare la combinazione vincente con i numeri fortunati.
In merito alla sua vincita dichiara: "Me lo sentivo che avrei vinto se c'è una cosa che ho capito è che coloro che mantengono una mentalità positiva e rimangono fedeli a se stessi prima o poi vengono premiati".
Certo, dopo aver vinto circa 370 milioni di euro; Shane ha diverse ragioni per rimanere con una mentalità positiva. Speriamo che impieghi bene questo denaro per vivere al meglio la futura vita da nababbo.
martedì 16 gennaio 2018
Il Sudafrica discrimina i cinesi. Costretti alla fuga
"Strozzati dai debiti e discriminati da tutti". I cinesi arrivati lì con la fine dell'apartheid, vengono cacciati dalla nuova classe media. Intanto Pechino continua a investire miliardi in miniere e infrastrutture.
La chiamano "Nazione Arcobaleno", ma ultimamente il Sudafrica è tutt'altro che accogliente o aperto alla diversità, almeno per quanto riguarda il suo rapporto con i cittadini cinesi. La comunità orientale è vittima di attacchi xenofobi e discriminazioni varie, tanto che molti cinesi si sono visti costretti a tornare in patria.
L'immagine del "Dragone conquistatore" capace di imporre i suoi prodotti sul mercato africano sembra ormai un ricordo lontano. A pochi giorni dalle celebrazioni del Capodanno cinese, gli oltre 500 negozi del centro commerciale "China Mall" di Am algam, a sud di Johannesburg, sono quasi vuote, così pure come il negozio di casalinghi "Forever Helen" di Zhu Jianying, arrivata nel Sudafrica nel 2000 e parte dei 500 mila cinesi presenti nello Stato.
Zhu Jianying cambiò in Helen il suo nome du battesimo quando approdò in Sudafrica e racconta che rispetto al 2015 vende meno della metà dei prodotti mentre sono aumentati la crisi e gli attacchi xenofobi, in modo così esponenziale da farle ritenere opportuno ritornare in Cina. E mentre Pechino continua ad investire miliardi di dollari in progetti di estrazione mineraria, infrastrutture e istruzione, i commercianti cinesi di prima generazione, arrivati subito dopo la fine dell'Apartheid hanno le valigie pronte per tornare a casa.
Le cause sono da ricondurre alla burocrazia più complessa, al protezionismo e la crescita esponenziale di imprenditori locali capaci di stabilire relazioni commerciali dirette con il "Gigante Asiatico". Fattori che costringono i cinesi a migrare nei Paesi africani limitrofi, sebbene molti di essi, prima di lasciare il Sudafrica devono saldare i debiti contratti per avviare le proprie attività.
Inoltre la crescita della classe media sudafricana ha messo in crisi il sistema di importazione di merci a basso costo da rivendere sul mercato locale. Inoltre la decisione del governo di inserire i cinesi nati prima del 1994 tra i fruitori degli incentivi della politica a supporto della classe nera (Bbe) non è bastato a generare uno sviluppo duraturo.
E pensare che il boom dei primi anni 2000 aveva portato alla costruzione di 18 enormi centri commerciali cinesi tra Johannesburg, Durban e Città del Capo, senza considerare i piccoli negozi sorti anche nelle township e nelle città di frontiera. Molte di queste strutture sono oggi chiese o semi abbandonati, poiche molti cinesi sono ritornati in patria e gli africani vanno più volentieri a spendere direttamente in Cina che non in questi negozi in Sudafrica.
La legge dell'economia si dimostra più forte e spietata di qualsiasi buon proposito di accoglienza o integrazione. Anche dove la discriminazione è stata di casa, purtroppo e si sarebbe dovuta evitare per sempre.
La chiamano "Nazione Arcobaleno", ma ultimamente il Sudafrica è tutt'altro che accogliente o aperto alla diversità, almeno per quanto riguarda il suo rapporto con i cittadini cinesi. La comunità orientale è vittima di attacchi xenofobi e discriminazioni varie, tanto che molti cinesi si sono visti costretti a tornare in patria.
L'immagine del "Dragone conquistatore" capace di imporre i suoi prodotti sul mercato africano sembra ormai un ricordo lontano. A pochi giorni dalle celebrazioni del Capodanno cinese, gli oltre 500 negozi del centro commerciale "China Mall" di Am algam, a sud di Johannesburg, sono quasi vuote, così pure come il negozio di casalinghi "Forever Helen" di Zhu Jianying, arrivata nel Sudafrica nel 2000 e parte dei 500 mila cinesi presenti nello Stato.
Zhu Jianying cambiò in Helen il suo nome du battesimo quando approdò in Sudafrica e racconta che rispetto al 2015 vende meno della metà dei prodotti mentre sono aumentati la crisi e gli attacchi xenofobi, in modo così esponenziale da farle ritenere opportuno ritornare in Cina. E mentre Pechino continua ad investire miliardi di dollari in progetti di estrazione mineraria, infrastrutture e istruzione, i commercianti cinesi di prima generazione, arrivati subito dopo la fine dell'Apartheid hanno le valigie pronte per tornare a casa.
Le cause sono da ricondurre alla burocrazia più complessa, al protezionismo e la crescita esponenziale di imprenditori locali capaci di stabilire relazioni commerciali dirette con il "Gigante Asiatico". Fattori che costringono i cinesi a migrare nei Paesi africani limitrofi, sebbene molti di essi, prima di lasciare il Sudafrica devono saldare i debiti contratti per avviare le proprie attività.
Inoltre la crescita della classe media sudafricana ha messo in crisi il sistema di importazione di merci a basso costo da rivendere sul mercato locale. Inoltre la decisione del governo di inserire i cinesi nati prima del 1994 tra i fruitori degli incentivi della politica a supporto della classe nera (Bbe) non è bastato a generare uno sviluppo duraturo.
E pensare che il boom dei primi anni 2000 aveva portato alla costruzione di 18 enormi centri commerciali cinesi tra Johannesburg, Durban e Città del Capo, senza considerare i piccoli negozi sorti anche nelle township e nelle città di frontiera. Molte di queste strutture sono oggi chiese o semi abbandonati, poiche molti cinesi sono ritornati in patria e gli africani vanno più volentieri a spendere direttamente in Cina che non in questi negozi in Sudafrica.
La legge dell'economia si dimostra più forte e spietata di qualsiasi buon proposito di accoglienza o integrazione. Anche dove la discriminazione è stata di casa, purtroppo e si sarebbe dovuta evitare per sempre.
Gli insegnanti che messaggiano sui social con gli alunni rischiano sanzioni
È una nuova norma prevista dal contratto con cui possono arrivare denunce e provvedimenti per gli insegnanti che abusano dei social. I sindacati insorgono: Fb e Whatsapp "fanno parte della vita".
Da più di 10 giorni i sindacati e Aran stanno discutendo sull'uso dei social nel nuovo contratto degli insegnanti. Le nuove norme prevedono sanzioni per i docenti che scambiano, in privato, opinioni con gli studenti. Il diverbio è molto accesso e non si riesce nemmeno a trovare un accordo sul metodo della trattiva.
I sindacati rappresentano la parte più agguerrita e definiscono le ipotesi suggerite "irricevibili". Per loro è inimmaginabile sanzionare le comunicazioni via Facebook o Whatsapp tra insegnanti ed alunni, anche perché essi sono degli "strumenti" di vita quotidiana, un vincolo dettato dalle nuove esigenze del mondo della scuola.
I più concilianti sono gli esponenti della Cisl: "Dare delle regole su questi temi è inevitabile ma tutto questo rientra nell'etica e nella professionalità della categoria, non mi scandalizza. Quello che mi preme è che però la discussione entri nel merito di tutto il resto della figura professionale dei docenti, dai nuovi profili alle prospettive di carriera per superare la situazione attuale che fa si che i docenti italiani siano tra i meno pagati". Sottolineando che questa richiesta fa parte del nuovo codice comportamentale per le Pubbliche Amministrazioni.
Mentre per Francesco Singoli, segretario generale della Flc Cgl: "Il problema è l'atteggiamento dilatatorio tenuto finora dall'Aran che impedisce alla trattativa di partire".
Di fatto resta il problema che dare delle regole su questi temi è inevitabile e comprensibile. È sempre meglio far chiarezza e non lasciar adito a dubbi quando si tratta dell'etica e della professionalità di una categoria, poi particolarmente "delicata" come quella dei docenti.
In effetti, poi sarebbe giusto non "abusare" di alcuni strumenti come può essere l'uso smodato dei social. Tanto si deve ancora discutere e chiarire. Per il momento tra le sensazioni previste sui rapporti social, c'è pure le possibilità di farle assegnare direttamente dal capo d'istituto,con media pari fino a 4 ore di lavoro e la sospensione dal servizio fino a 10 giorni lavorativi".
Il rapporto alunno-insegnante è in continuo cambiamento, in divenire, un po' confuso e vittima di troppe variabili che con la scusa della modernità finiscono per allentare quella giusta distanza fra ruoli che invece per la corretta educazione delle parti dovrebbe esserci.
Da più di 10 giorni i sindacati e Aran stanno discutendo sull'uso dei social nel nuovo contratto degli insegnanti. Le nuove norme prevedono sanzioni per i docenti che scambiano, in privato, opinioni con gli studenti. Il diverbio è molto accesso e non si riesce nemmeno a trovare un accordo sul metodo della trattiva.
I sindacati rappresentano la parte più agguerrita e definiscono le ipotesi suggerite "irricevibili". Per loro è inimmaginabile sanzionare le comunicazioni via Facebook o Whatsapp tra insegnanti ed alunni, anche perché essi sono degli "strumenti" di vita quotidiana, un vincolo dettato dalle nuove esigenze del mondo della scuola.
I più concilianti sono gli esponenti della Cisl: "Dare delle regole su questi temi è inevitabile ma tutto questo rientra nell'etica e nella professionalità della categoria, non mi scandalizza. Quello che mi preme è che però la discussione entri nel merito di tutto il resto della figura professionale dei docenti, dai nuovi profili alle prospettive di carriera per superare la situazione attuale che fa si che i docenti italiani siano tra i meno pagati". Sottolineando che questa richiesta fa parte del nuovo codice comportamentale per le Pubbliche Amministrazioni.
Mentre per Francesco Singoli, segretario generale della Flc Cgl: "Il problema è l'atteggiamento dilatatorio tenuto finora dall'Aran che impedisce alla trattativa di partire".
Di fatto resta il problema che dare delle regole su questi temi è inevitabile e comprensibile. È sempre meglio far chiarezza e non lasciar adito a dubbi quando si tratta dell'etica e della professionalità di una categoria, poi particolarmente "delicata" come quella dei docenti.
In effetti, poi sarebbe giusto non "abusare" di alcuni strumenti come può essere l'uso smodato dei social. Tanto si deve ancora discutere e chiarire. Per il momento tra le sensazioni previste sui rapporti social, c'è pure le possibilità di farle assegnare direttamente dal capo d'istituto,con media pari fino a 4 ore di lavoro e la sospensione dal servizio fino a 10 giorni lavorativi".
Il rapporto alunno-insegnante è in continuo cambiamento, in divenire, un po' confuso e vittima di troppe variabili che con la scusa della modernità finiscono per allentare quella giusta distanza fra ruoli che invece per la corretta educazione delle parti dovrebbe esserci.
sabato 13 gennaio 2018
LegalFling: l'app per dichiarare il consenso sessuale
Verrà lanciata a breve l'app per dare la propria adesione (o no) a rapporti sessuali.
Ci ha pensato l'azienda olandese LegalThigs. Il progetto è ancora in fase di sviluppo, ma a breve verrà lanciato LegalFling. L'app per chiarire le proprie intenzioni sessuali.
L'idea è quella di permettere ai partner in procinto di fare sesso di stipulare un accordo, valido a livello legale, in cui ci si dichiara entrambi consenzienti a fare sesso e nel quale viene assicurato che ognuno dei due rispetterà tutto ciò che l'altro è o non è disponibile a fare. L'applicazione prevede infatti una sezione "Do's and Dont's", una lista che comprende le patriche contemplate e quelle no.
Sembra strano, ma dal sito web del "prodotto" su uno sfondo fucsia emergono slogan tipo: "Get explicit about sexual consent", oppure, "Safe sex redefined". Rick Schimtz, Ceo dell'azienda chiarisce: "Chiedere a qualcuno di firmare un contratto prima di fare sesso potrebbe risultare un po' scomodo e strano. Con LegalFling basta uno swipe per essere sicuri che il tutto sia perfettamente legale".
Innanzitutto, app del genere gironzolano nell'area del web, e sicuramente sono nate perché ci può essere qualcuno che ne possa aver bisogno o le voglia usare. Ma, rende tutto abbastanza triste. "Trattare" alcuni argomenti come fossero un contratto. Dover chiarire e mettere nero su bianco le proprie intenzioni. Prima, a prescindere, e dando per scontato che le persone non sono più in grado d'interpretare il contatto o le intezioni dell'altro. Tralasciando pure che spesso le persone si possano far trasportare dalle emozioni e dimenticare previ contratti.
Inoltre, dare il proprio consenso per una determinata azione, non vuol dire che dopo si sarà disponibili a praticarla. Cioè, una persona, dopo aver "firmato" il contratto con un "ok" selezionato con un semplice swipe, potrebbe cambiare idea e non avere più voglia di procedere con l'incontro sessuale.
Anche se, nella pagina FAQ di LegalFling è spiegato che sempre semplicemente, con "un singolo click" si può ritirare il proprio consenso. Ma, non sarebbe sicuramente più facile e ovvio chiedere direttamente al partner, che "si ha di fronte" come si sente, invece che mandargli nel "bel mezzo di..." un messaggio tramite app?
Insomma, si aprono scenari controversi e se quelli delineati in Hag the Dj, il quarto episodio dell'ultima stagione di Black Mirror, aveva anticipato un po' i tempi, c'è da ben riflettere sulle ripercussioni che un'app del genere può avere sulla vita privata delle persone, e su come potrebbe essere strumentalizzata nei casi di stupro o di rapporti che poi si potrebbero ricelare non consenzienti.
Mala tempora current. Non solo per i superatissimi romantici, ma anche per i normalissimi amanti dei rapporti veri e spontanei.
Ci ha pensato l'azienda olandese LegalThigs. Il progetto è ancora in fase di sviluppo, ma a breve verrà lanciato LegalFling. L'app per chiarire le proprie intenzioni sessuali.
L'idea è quella di permettere ai partner in procinto di fare sesso di stipulare un accordo, valido a livello legale, in cui ci si dichiara entrambi consenzienti a fare sesso e nel quale viene assicurato che ognuno dei due rispetterà tutto ciò che l'altro è o non è disponibile a fare. L'applicazione prevede infatti una sezione "Do's and Dont's", una lista che comprende le patriche contemplate e quelle no.
Sembra strano, ma dal sito web del "prodotto" su uno sfondo fucsia emergono slogan tipo: "Get explicit about sexual consent", oppure, "Safe sex redefined". Rick Schimtz, Ceo dell'azienda chiarisce: "Chiedere a qualcuno di firmare un contratto prima di fare sesso potrebbe risultare un po' scomodo e strano. Con LegalFling basta uno swipe per essere sicuri che il tutto sia perfettamente legale".
Innanzitutto, app del genere gironzolano nell'area del web, e sicuramente sono nate perché ci può essere qualcuno che ne possa aver bisogno o le voglia usare. Ma, rende tutto abbastanza triste. "Trattare" alcuni argomenti come fossero un contratto. Dover chiarire e mettere nero su bianco le proprie intenzioni. Prima, a prescindere, e dando per scontato che le persone non sono più in grado d'interpretare il contatto o le intezioni dell'altro. Tralasciando pure che spesso le persone si possano far trasportare dalle emozioni e dimenticare previ contratti.
Inoltre, dare il proprio consenso per una determinata azione, non vuol dire che dopo si sarà disponibili a praticarla. Cioè, una persona, dopo aver "firmato" il contratto con un "ok" selezionato con un semplice swipe, potrebbe cambiare idea e non avere più voglia di procedere con l'incontro sessuale.
Anche se, nella pagina FAQ di LegalFling è spiegato che sempre semplicemente, con "un singolo click" si può ritirare il proprio consenso. Ma, non sarebbe sicuramente più facile e ovvio chiedere direttamente al partner, che "si ha di fronte" come si sente, invece che mandargli nel "bel mezzo di..." un messaggio tramite app?
Insomma, si aprono scenari controversi e se quelli delineati in Hag the Dj, il quarto episodio dell'ultima stagione di Black Mirror, aveva anticipato un po' i tempi, c'è da ben riflettere sulle ripercussioni che un'app del genere può avere sulla vita privata delle persone, e su come potrebbe essere strumentalizzata nei casi di stupro o di rapporti che poi si potrebbero ricelare non consenzienti.
Mala tempora current. Non solo per i superatissimi romantici, ma anche per i normalissimi amanti dei rapporti veri e spontanei.
venerdì 12 gennaio 2018
Ridotto del 20% il buco nell'ozono
Dopo anni, arriva, una buona notizia che riguarda la Terra. "Il buco dell'ozono" si è ridotto del 20% dal 2005.
A confermarlo sono i recenti dati raccolti dai satelliti che scrutano in dettaglio l'atmosfera del nostro pianeta. Dal 2005, il buco dell'ozono si è ridotto del 20% ed il merito sarebbe dovuto al successo delle politiche di divieto dei gas cfc.
Il primo ad annunciare la notizia è stato il New York Post, quotidiano statunitense che ha citato direttamente le fonti NASA.
L'attenzione per il buco nello strato di ozono sopra l'Antartide cominciò dagli anni '70, quando fu notato dai satelliti della NASA della serie "Nimbus" per rappresentare poi un allarme nel 1985 quando il punto nella calotta polare divenne abbastanza consistente.
D'allora, tra alti e bassi è stato quasi sempre in espansione fino ad arrivare alla buona notizia dei nostri giorni. I dati sono confortanti e come spiega Susan Strahan, ricercatrice del Goddard Space Flight Center della NASA, con sede nel Maryland: "Si osserva come la presenza del cloro sia diminuita all'interno del buco, e per questo si ha un minore esaurimento dell'ozono".
I gas cfc (cloro fluori carburi) sono dei composti chimici clorati che finiscono per innalzarsi nella stratosfera, dove vengono decomposti dalla radiazione ultravioletta del Sole. Le molecole di cloro liberate in tal modo distruggono quelle di ozono. Poiché, lo strato di ozono nella stratosfera ha l'effetto di scudo contro la radiazione radioattiva responsabile nell'uomo di cancro alla pelle, cataratta e soppressione del sistema immunitario, per non parlare dei danni alla vita vegetale.
Per cercare di arginare il fenomeno, nel 1987 fu varato il "Protocollo di Montréal" con cui si metteva a bando l'uso dei cfc e delle altre sostanze in grado di danneggiare lo strato di ozono, con la progressiva eliminazione dei procedimenti industriali basati su "cloro-fluoro-carburi". Tipo il freon, di essi particolarmente sotto accusa erano quelli contenuti nelle bombolette spray, nei frigoriferi e nei condizionatori.
Finalmente, la battaglia ha portato buoni frutti e il controllo continuo dei satelliti nipoti degli storici Nimbus lancia segnali positivi. D'altronde altro non poteva essere quando l'impiego è comunitario, di tutti, nel mondo.
A confermarlo sono i recenti dati raccolti dai satelliti che scrutano in dettaglio l'atmosfera del nostro pianeta. Dal 2005, il buco dell'ozono si è ridotto del 20% ed il merito sarebbe dovuto al successo delle politiche di divieto dei gas cfc.
Il primo ad annunciare la notizia è stato il New York Post, quotidiano statunitense che ha citato direttamente le fonti NASA.
L'attenzione per il buco nello strato di ozono sopra l'Antartide cominciò dagli anni '70, quando fu notato dai satelliti della NASA della serie "Nimbus" per rappresentare poi un allarme nel 1985 quando il punto nella calotta polare divenne abbastanza consistente.
D'allora, tra alti e bassi è stato quasi sempre in espansione fino ad arrivare alla buona notizia dei nostri giorni. I dati sono confortanti e come spiega Susan Strahan, ricercatrice del Goddard Space Flight Center della NASA, con sede nel Maryland: "Si osserva come la presenza del cloro sia diminuita all'interno del buco, e per questo si ha un minore esaurimento dell'ozono".
I gas cfc (cloro fluori carburi) sono dei composti chimici clorati che finiscono per innalzarsi nella stratosfera, dove vengono decomposti dalla radiazione ultravioletta del Sole. Le molecole di cloro liberate in tal modo distruggono quelle di ozono. Poiché, lo strato di ozono nella stratosfera ha l'effetto di scudo contro la radiazione radioattiva responsabile nell'uomo di cancro alla pelle, cataratta e soppressione del sistema immunitario, per non parlare dei danni alla vita vegetale.
Per cercare di arginare il fenomeno, nel 1987 fu varato il "Protocollo di Montréal" con cui si metteva a bando l'uso dei cfc e delle altre sostanze in grado di danneggiare lo strato di ozono, con la progressiva eliminazione dei procedimenti industriali basati su "cloro-fluoro-carburi". Tipo il freon, di essi particolarmente sotto accusa erano quelli contenuti nelle bombolette spray, nei frigoriferi e nei condizionatori.
Finalmente, la battaglia ha portato buoni frutti e il controllo continuo dei satelliti nipoti degli storici Nimbus lancia segnali positivi. D'altronde altro non poteva essere quando l'impiego è comunitario, di tutti, nel mondo.
Guarda la palestra attraverso il vetro perché non può permettersi l'abbonamento, ora potrà andarci gratis a vita
Un 12enne turco con tanto di poggiapiedi legato dietro le spalle ogni giorno finito di lavorare si fermava davanti la vetrata di una palestra. Qualcuno l'ha immortalato in una foto e ora ha ricevuto l'abbonamento a vita proprio in quella palestra.
Per Mohammed Khaled è stato un po' come trovare il biglietto d'oro nella tavoletta di cioccolato di Willy Wonka in "La fabbrica di cioccolato". Un piccolo ed inaspettato premio per questo ragazzino, un rifugiato siriano di 12 anni che vive in Turchia dove lavora come lustrascarpe nel Sud del Paese.
Ogni giorno, finito di lavorare il giovane si soffermava a guardare chi si allena all'interno di una palestra. Magari si immaginava alle prese con qualche attrezzo, nell'intento di fare anche lui qualche sport, sicuramente un "impiego" più normale per un ragazzino della sua età. Qualcuno lo ha immortalato nella scena e la foto è diventa subito virale sui social.
La notizia è arriva anche alle orecchie del proprietario della palestra, Engin Dogan che ha quindi deciso di regalare al ragazzo un abbonamento alla palestra per la vita. Commentando: "È uno dei membri del nostro club ora. E poi è arrivata anche l'immagine di lui, davanti alla palestra, con gli altri che si allenano". Inoltre, sottolinea ai media turchi: "La sua storia mi ha toccato tantissimo, perché questo ragazzino non aveva niente".
Dal canto suo il piccolo Khaled ringrazia e fa sapere: "Mi hanno aiutato. Ho sempre sognato di perdere peso e credo di poterlo fare ora allenandomi".
Tutti i ragazzini avrebbero diritto ad una vita "spensierata", dove l'unica preoccupazione ammissibile dovrebbe essere quella di organizzarsi per poi concedersi un po' di palestra. Invece la vita per Mohammed Khaled, e tanti altri piccoli rifugiati come lui, o purtroppo, tanti altri ragazzini nel mondo, è tutt'altro che facile o benevola. Menomale che nell'indifferenza generale c'è ancora qualcuno che sa cogliere lo stato di un ragazzino solo, davanti ad una vetrina e contribuisce a rendere possibile seppur piccolo e banale il sogno che un dodicenne puo' avere.
Per Mohammed Khaled è stato un po' come trovare il biglietto d'oro nella tavoletta di cioccolato di Willy Wonka in "La fabbrica di cioccolato". Un piccolo ed inaspettato premio per questo ragazzino, un rifugiato siriano di 12 anni che vive in Turchia dove lavora come lustrascarpe nel Sud del Paese.
Ogni giorno, finito di lavorare il giovane si soffermava a guardare chi si allena all'interno di una palestra. Magari si immaginava alle prese con qualche attrezzo, nell'intento di fare anche lui qualche sport, sicuramente un "impiego" più normale per un ragazzino della sua età. Qualcuno lo ha immortalato nella scena e la foto è diventa subito virale sui social.
La notizia è arriva anche alle orecchie del proprietario della palestra, Engin Dogan che ha quindi deciso di regalare al ragazzo un abbonamento alla palestra per la vita. Commentando: "È uno dei membri del nostro club ora. E poi è arrivata anche l'immagine di lui, davanti alla palestra, con gli altri che si allenano". Inoltre, sottolinea ai media turchi: "La sua storia mi ha toccato tantissimo, perché questo ragazzino non aveva niente".
Dal canto suo il piccolo Khaled ringrazia e fa sapere: "Mi hanno aiutato. Ho sempre sognato di perdere peso e credo di poterlo fare ora allenandomi".
Tutti i ragazzini avrebbero diritto ad una vita "spensierata", dove l'unica preoccupazione ammissibile dovrebbe essere quella di organizzarsi per poi concedersi un po' di palestra. Invece la vita per Mohammed Khaled, e tanti altri piccoli rifugiati come lui, o purtroppo, tanti altri ragazzini nel mondo, è tutt'altro che facile o benevola. Menomale che nell'indifferenza generale c'è ancora qualcuno che sa cogliere lo stato di un ragazzino solo, davanti ad una vetrina e contribuisce a rendere possibile seppur piccolo e banale il sogno che un dodicenne puo' avere.
giovedì 11 gennaio 2018
Giovani d'oggi: sempre più perfezionisti e la salute mentale ne risente
Troppo oppressi dalle pressioni della società ad avere successo. E in continua competizione l'uno verso l'altro.
Per i giovani d'oggi non conta cercare di fare bene, l'imperativo è raggiungere la perfezione, nel corpo, nella mente e nella carriera. Questo fenomeno è andato via via crescendo dal 1980 dilagando attualmente tra i giovani universitari. Tanto che gli psicologi lanciano l'allarme: la ricerca ossessiva della perfezione può mettere a dura prova la salute mentale dei ragazzi.
Lo evidenzia uno studio della York St. John University pubblicato su Psychological Bullettin che ha coinvolto i dati relativi a 41.641 studenti universitari di nazionalità americana, canadese e britannica.
Per la ricerca, sono stati effettuati test sui cambiamenti generazionali e perfezionismo, prendendo in considerazione l'arco di tempo che va dal 1980 al 2016. Sono stati misurati 3 tipi di perfezionismo: quello orientato verso se stessi, inteso come un desiderio irrazionale d'essere perfetti; quello "prescritto" socialmente, ossia relativo alla percezione di aspettative eccessive da parte degli altri, e infine, quello orientato verso l'altro, che ci fa avere standard non realistici su altre persone.
Lo studio ha evidenziato che le generazioni più recenti hanno riportato punteggi significativamente più alti per ognuna delle forme di perfezionismo analizzate, in particolare del perfezionismo prescritto socialmente, aumentato del 33%. E tale aumento potrebbe proprio dipendere dall'influenza dei social media, che possono rendere insoddisfatti dei propri corpi e aumentare l'isolamento sociale.
Il principale autore dello studio, Thomas Curran spiega: "I giovani d'oggi sono in competizione l'uno con l'altro per soddisfare le pressioni della società ad avere successo e sentono che il perfezionismo è necessario per sentirsi sicuri, socialmente connessi e di valere".
Una ricerca spasmodica ed irrealizzabile che in parte mina la salute mentale dei ragazzi, facendo registrare livelli più alti di depressione, ansia e pensieri suicidi rispetto ad un decennio fa.
Un tempo, t'insegnavano che la perfezione non esiste, l'importante, nella vita, era impegnarsi al massimo, con onestà e dedizione e imparare così ad accettare anche i propri limiti. Ma oggi è un'altra società, e forse le persone non vogliono più accettare il fatto che qualche limite, invece, lo devono avere per forza.
Per i giovani d'oggi non conta cercare di fare bene, l'imperativo è raggiungere la perfezione, nel corpo, nella mente e nella carriera. Questo fenomeno è andato via via crescendo dal 1980 dilagando attualmente tra i giovani universitari. Tanto che gli psicologi lanciano l'allarme: la ricerca ossessiva della perfezione può mettere a dura prova la salute mentale dei ragazzi.
Lo evidenzia uno studio della York St. John University pubblicato su Psychological Bullettin che ha coinvolto i dati relativi a 41.641 studenti universitari di nazionalità americana, canadese e britannica.
Per la ricerca, sono stati effettuati test sui cambiamenti generazionali e perfezionismo, prendendo in considerazione l'arco di tempo che va dal 1980 al 2016. Sono stati misurati 3 tipi di perfezionismo: quello orientato verso se stessi, inteso come un desiderio irrazionale d'essere perfetti; quello "prescritto" socialmente, ossia relativo alla percezione di aspettative eccessive da parte degli altri, e infine, quello orientato verso l'altro, che ci fa avere standard non realistici su altre persone.
Lo studio ha evidenziato che le generazioni più recenti hanno riportato punteggi significativamente più alti per ognuna delle forme di perfezionismo analizzate, in particolare del perfezionismo prescritto socialmente, aumentato del 33%. E tale aumento potrebbe proprio dipendere dall'influenza dei social media, che possono rendere insoddisfatti dei propri corpi e aumentare l'isolamento sociale.
Il principale autore dello studio, Thomas Curran spiega: "I giovani d'oggi sono in competizione l'uno con l'altro per soddisfare le pressioni della società ad avere successo e sentono che il perfezionismo è necessario per sentirsi sicuri, socialmente connessi e di valere".
Una ricerca spasmodica ed irrealizzabile che in parte mina la salute mentale dei ragazzi, facendo registrare livelli più alti di depressione, ansia e pensieri suicidi rispetto ad un decennio fa.
Un tempo, t'insegnavano che la perfezione non esiste, l'importante, nella vita, era impegnarsi al massimo, con onestà e dedizione e imparare così ad accettare anche i propri limiti. Ma oggi è un'altra società, e forse le persone non vogliono più accettare il fatto che qualche limite, invece, lo devono avere per forza.
Il web che ci piace: maxi colletta per i funerali della famiglia francese morta nell'incidente dell'A21
La famiglia Kornatowski deceduta il 2 Gennaio nel terribile incidente avvenuto sulla A21 all'altezza del casello di Brescia Sud, avrà una degna sepoltura grazie alla gara di solidarietà scatenatasi online che in pochi giorni ha raccolto più di 25 mila euro.
Oltre 700 persone, quasi tutte francesi, hanno fatto una donazione per riportare a casa Wilfrid Kornatowski, 32 anni, la moglie Sabrina, 29, i loro figli Nolhan e Lina, 7 e 2 anni e il piccolo Matheo, 13 anni, fratello di Wilfrid. La raccolta si protrarrà ancora per altre 42 giornate.
Un appello partito spontaneamente che ha puntato dritto alla generosità di chi li conosceva per riportare le cinque vittime a a Saint Vallier de Thiey, cittadina nell'entroterra della Costa Azzurra, a pochi chilometri da Grasse, dove vivevano e svolgevano l'attività di venditori ambulanti con il loro food truck parcheggiato vicino al camping des Arboins.
La tranquilla vita della famigliola francese si è spezzata poco prima delle 14.30 di un anonimo martedì post vacanze sull'autostrada A21 all'altezza del casello di Brescia Sud. Un tir carico di cereali ha tamponato la Kia Sportage della famiglia Kornatowski, che a sua volta ha urtato contro un'autocisterna. Il gasolio fuoriuscito ha preso fuoco scatenando l'inferno. Nell'incidente sono morti tutti e cinque i componenti della famiglia francese e l'autista del tir. L'unico sopravvissuto è Gianni Giuliani, conducente dell'autocisterna.
Un dramma che ha commosso un po' tutti e che ha innescato una lodevole campagna di solidarietà online: "La data dei funerali non è ancora stata fissata. Aiutateci ad assicurarci che l'ultimo viaggio di questi 5 angeli sia fatto nell'immagine dell'amore che regna in questa famiglia. Il costo totale di una sepoltura è un fardello pesante, per cinque rappresenta un certo sforzo. Alcuni offrono fiori, ghirlande o qualsiasi altra cosa al funerale, ti chiediamo in nome della famiglia di offrire loro pochi euro che, accumulati, permetteranno loro di finanziare tutto ciò che è necessario perché i propri cari possano vivere il loro lutto in serenità".
Questo è il web che ci piace. Quello utile che si può mettere a disposizione delle persone per aiutarne altre in difficoltà, anche se non l'hanno chiesto e non cose fatte solo per farsi della mera pubblicità.
Oltre 700 persone, quasi tutte francesi, hanno fatto una donazione per riportare a casa Wilfrid Kornatowski, 32 anni, la moglie Sabrina, 29, i loro figli Nolhan e Lina, 7 e 2 anni e il piccolo Matheo, 13 anni, fratello di Wilfrid. La raccolta si protrarrà ancora per altre 42 giornate.
Un appello partito spontaneamente che ha puntato dritto alla generosità di chi li conosceva per riportare le cinque vittime a a Saint Vallier de Thiey, cittadina nell'entroterra della Costa Azzurra, a pochi chilometri da Grasse, dove vivevano e svolgevano l'attività di venditori ambulanti con il loro food truck parcheggiato vicino al camping des Arboins.
La tranquilla vita della famigliola francese si è spezzata poco prima delle 14.30 di un anonimo martedì post vacanze sull'autostrada A21 all'altezza del casello di Brescia Sud. Un tir carico di cereali ha tamponato la Kia Sportage della famiglia Kornatowski, che a sua volta ha urtato contro un'autocisterna. Il gasolio fuoriuscito ha preso fuoco scatenando l'inferno. Nell'incidente sono morti tutti e cinque i componenti della famiglia francese e l'autista del tir. L'unico sopravvissuto è Gianni Giuliani, conducente dell'autocisterna.
Un dramma che ha commosso un po' tutti e che ha innescato una lodevole campagna di solidarietà online: "La data dei funerali non è ancora stata fissata. Aiutateci ad assicurarci che l'ultimo viaggio di questi 5 angeli sia fatto nell'immagine dell'amore che regna in questa famiglia. Il costo totale di una sepoltura è un fardello pesante, per cinque rappresenta un certo sforzo. Alcuni offrono fiori, ghirlande o qualsiasi altra cosa al funerale, ti chiediamo in nome della famiglia di offrire loro pochi euro che, accumulati, permetteranno loro di finanziare tutto ciò che è necessario perché i propri cari possano vivere il loro lutto in serenità".
Questo è il web che ci piace. Quello utile che si può mettere a disposizione delle persone per aiutarne altre in difficoltà, anche se non l'hanno chiesto e non cose fatte solo per farsi della mera pubblicità.
mercoledì 10 gennaio 2018
Prodotta la mela artica: una volta aperta non imbrunisce
Arriva dagli Usa la mela che non diventa mai scura. Già venduta a fette sugli scaffali di 400 supermercati. Gli analisti: "Test fondamentale per capire il futuro degli ogm".
Per gli americani è il frutto simbolo di un popolo, l'ingrediente fondamentale alla base del più tipico dei dolci, l'Aple pie, e di altre innumerevoli ricette. Proprio la mela è stata scelta per testare la propensione degli States verso i prodotti ogm.
Infatti in America sta per approdare sugli scaffali dei supermercati la prima mela geneticamente modificata che non imbrunisce una volta tagliata.
Da anni teneva banco una battaglia anti-ogm ma nel 2015 ha ottenuto il definitivo via libera alla vendita negli States, un passo importante per testare il futuro degli ogm nel rapporto con i consumatori.
Se dovesse riscuotere un discreto successo di pubblico aprirebbe la strada ad altri prodotti, se invece non ricevesse l'approvazione del mercato, rafforzerebbe la campagna contro i prodotti geneticamente modificati che chiedono a tutti gli Stati di seguire l'esempio del Vermont il quale dal 1° Luglio 2016 ha chiesto l'obbligo di etichettatura per gli ogm.
La mela che non imbrunisce mai è stata ribattezzata "artic" e viene prodotta dalla Okanagan Specialty Fruits con sede in Canada.
Per essere venduta verrà lanciata in 400 market del Midwest in sacchetti gialli semitrasparenti contenenti fette di mela perfettamente bianche o appena pallide, ma nessuna macchia di scuro da contatto con ossigeno.
L'idea è partita dal co-fondatore dell'azienda Neal Carter che nell'intento di rafforzare la vendita delle mele come snack, ha cercato soluzioni alternative per venire incontro alle esigenze dei consumatori.
Così dal 2003 è cominciata la produzione delle "mele artiche" geneticamente modificate, diventate il cavallo di battaglia dell'azienda.
Ora non resta che attendere la reazione dei consumatori. Certo, la mela è sempre stata simbolo di un frutto naturale ma importantissimo. Completo. Chissà se con le mele artiche geneticamente modificate varrà ancora quel: "An apple a day keeps the doctor away".
Per gli americani è il frutto simbolo di un popolo, l'ingrediente fondamentale alla base del più tipico dei dolci, l'Aple pie, e di altre innumerevoli ricette. Proprio la mela è stata scelta per testare la propensione degli States verso i prodotti ogm.
Infatti in America sta per approdare sugli scaffali dei supermercati la prima mela geneticamente modificata che non imbrunisce una volta tagliata.
Da anni teneva banco una battaglia anti-ogm ma nel 2015 ha ottenuto il definitivo via libera alla vendita negli States, un passo importante per testare il futuro degli ogm nel rapporto con i consumatori.
Se dovesse riscuotere un discreto successo di pubblico aprirebbe la strada ad altri prodotti, se invece non ricevesse l'approvazione del mercato, rafforzerebbe la campagna contro i prodotti geneticamente modificati che chiedono a tutti gli Stati di seguire l'esempio del Vermont il quale dal 1° Luglio 2016 ha chiesto l'obbligo di etichettatura per gli ogm.
La mela che non imbrunisce mai è stata ribattezzata "artic" e viene prodotta dalla Okanagan Specialty Fruits con sede in Canada.
Per essere venduta verrà lanciata in 400 market del Midwest in sacchetti gialli semitrasparenti contenenti fette di mela perfettamente bianche o appena pallide, ma nessuna macchia di scuro da contatto con ossigeno.
L'idea è partita dal co-fondatore dell'azienda Neal Carter che nell'intento di rafforzare la vendita delle mele come snack, ha cercato soluzioni alternative per venire incontro alle esigenze dei consumatori.
Così dal 2003 è cominciata la produzione delle "mele artiche" geneticamente modificate, diventate il cavallo di battaglia dell'azienda.
Ora non resta che attendere la reazione dei consumatori. Certo, la mela è sempre stata simbolo di un frutto naturale ma importantissimo. Completo. Chissà se con le mele artiche geneticamente modificate varrà ancora quel: "An apple a day keeps the doctor away".
Facebook censura il bacio di Rodin
L'opera d'arte ritenuta troppo osé in quanto: "Mostra eccessivamente il corpo e presenta contenuti allussivi". Così il social rifiuta di promuovere la mostra a Treviso.
Mah! L'arte è arte e davvero sui social network si vede molto di peggio. Eppure Facebook non farà promozione alla mostra di Treviso su August Rodin. Ad urtare la sensibilità della piattaforma è stata la scelta di usare la celeberrima statua del "Bacio" come immagine dell'esposizione.
Lo stesso social ha comunicato tramite comunicato stampa la controversa decisione, all'ufficio Linea d'Ombra, lo studio trevigiano specializzato in grandi mostre d'arte che aveva chiesto a Facebook di utilizzare l'immagine dell'episodio di Paolo e Francesca nel canto V dell'Inferno di Dante, per la promozione della mostra dedicata allo scultore francese tra i più rappresentativi e famosi del periodo storico a cavallo fra il XIX e XX secolo.
Nella nota inviata dagli addetti del social agli organizzatori, si può leggere: "Mostra eccessivamente il corpo e presenta contenuti allusivi, suggerendo inoltre di utilizzare contenuti che si concetrano sul prodotto o servizio, citando allusioni di natura sessuale".
Al che, il responsabile di Linea d'Ombra Marco Goldin ha risposto: "Più prodotto di così. Può un'immagine simbolo della Storia dell'Arte, vera e propria icona di bellezza senza tempo, essere paragonata a una qualsiasi immagine di carattere sessualmente esplicita? In una rete invasa da contenuti di orribile pornografia, vogliamo davvero equiparare i nudi rinascimentali o in questo caso il Bacio di Rodin, a immagini che invece circolano liberamente? È certamente il caso di riflettere sul fatto che l'arte, nei suoi esiti alti, proponga il canone della bellezza universale che nulla ha a che fare con la contingenza dell'allusione sessuale".
La mostra dedicata a Rodin, per la cura di Marco Goldin e con la collaborazione del Museè Rodin di Parigi si farà comunque. Verrà ospitata nel Museo Civico di Santa Caterina a Treviso e chiunque voglia andarci avrà l'onore di osservare dal 24 Febbraio le 50 sculture più famose dell'artista. E come immagine simbolo della mostra è rimasto il "Bacio".
L'ignoranza imperante sta facendo letteralmente perdere la bussola alle persone. Forse il rendere lecito e permissibile il troppo fa perdere un po' il valore alle cose. Non si riesce più a capire quando comincia il mal costume o quando si tratta veramente di arte.
Mah! L'arte è arte e davvero sui social network si vede molto di peggio. Eppure Facebook non farà promozione alla mostra di Treviso su August Rodin. Ad urtare la sensibilità della piattaforma è stata la scelta di usare la celeberrima statua del "Bacio" come immagine dell'esposizione.
Lo stesso social ha comunicato tramite comunicato stampa la controversa decisione, all'ufficio Linea d'Ombra, lo studio trevigiano specializzato in grandi mostre d'arte che aveva chiesto a Facebook di utilizzare l'immagine dell'episodio di Paolo e Francesca nel canto V dell'Inferno di Dante, per la promozione della mostra dedicata allo scultore francese tra i più rappresentativi e famosi del periodo storico a cavallo fra il XIX e XX secolo.
Nella nota inviata dagli addetti del social agli organizzatori, si può leggere: "Mostra eccessivamente il corpo e presenta contenuti allusivi, suggerendo inoltre di utilizzare contenuti che si concetrano sul prodotto o servizio, citando allusioni di natura sessuale".
Al che, il responsabile di Linea d'Ombra Marco Goldin ha risposto: "Più prodotto di così. Può un'immagine simbolo della Storia dell'Arte, vera e propria icona di bellezza senza tempo, essere paragonata a una qualsiasi immagine di carattere sessualmente esplicita? In una rete invasa da contenuti di orribile pornografia, vogliamo davvero equiparare i nudi rinascimentali o in questo caso il Bacio di Rodin, a immagini che invece circolano liberamente? È certamente il caso di riflettere sul fatto che l'arte, nei suoi esiti alti, proponga il canone della bellezza universale che nulla ha a che fare con la contingenza dell'allusione sessuale".
La mostra dedicata a Rodin, per la cura di Marco Goldin e con la collaborazione del Museè Rodin di Parigi si farà comunque. Verrà ospitata nel Museo Civico di Santa Caterina a Treviso e chiunque voglia andarci avrà l'onore di osservare dal 24 Febbraio le 50 sculture più famose dell'artista. E come immagine simbolo della mostra è rimasto il "Bacio".
L'ignoranza imperante sta facendo letteralmente perdere la bussola alle persone. Forse il rendere lecito e permissibile il troppo fa perdere un po' il valore alle cose. Non si riesce più a capire quando comincia il mal costume o quando si tratta veramente di arte.
martedì 9 gennaio 2018
Il peso corporeo influisce sulla percezione del cibo
Una ricerca tutta italiana rivela che chi ha chili in eccesso ha un'attività cerebrale più intensa quando vede alimenti succulenti ed elaborati, come pizza e dolci. Per i magri è vero il contrario: l'attenzione è riservata a tutto quello che è sano, come frutta e pesce crudo.
La rappresentazione mentale degli alimenti varia in base al peso corporeo così come la nostra valutazione nei confronti del cibo. Lo rivela una ricerca della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) che ha fatto luce sulla risposta cerebrale associata ad alcuni cibi, come un pezzo di torta alla crema o una mela rossa.
La valutazione di questi due alimenti sembra essere strettamente legata al nostro corpo, e soprattutto al nostro peso: le persone in sovrappeso sembrano prestare maggiore attenzione ai cibi elaborati, come dolci e pizza, invece, quelle sottopeso hanno un'attivazione cerebrale più orientata verso gli alimenti più semplici e naturali tipo la frutta.
Per la ricerca, gli studiosi hanno coinvolto partecipanti di peso diverso, considerando persone in sovrappeso, normopeso e sottopeso. Si sono combinati test comportamentali con un'elettroencefalografia, un'indagine che misura l'attività elettrica del cervello, per approfondire il modo con cui valutiamo alimenti non processati e cibi più elaborati. Su uno schermo venivano mostrate immagini dei cibi anticipate da frasi associate a quel dato cibo. Le frasi riguardavano caratteristiche percepite tramite i sensi, come per esempio: "Ha un sapore dolce", oppure una descrizione della loro funzione o del contesto in cui si consumano, tipo: "È ideale per una festa di matrimonio".
Quindi gli scienziati misuravano la risposta neurofisiologica allo stimolo, individuando tramite un parametro specifico, chiamato N 400, quanto le caratteristiche e le qualità contenute nella frase venissero associate, dal cervello dei partecipanti, all'alimento oggetto della frase. Fra gli alimenti selezionati frutta, come mele e ciliegie, frutta secca, ostriche, pizza, pasta al sugo, torta di mele.
Gli esperimenti hanno evidenziato che il gruppo di partecipanti con peso in eccesso presentavano segnali elettroencefalografici diversi rispetto a quelle in lieve sottopeso. In particolare, le persone con qualche chilo in più mostrerebbero una maggiore attività cerebrale nel caso di cibi elaborati.
Decisamente, nelle persone in sottopeso la risposta cerebrale era maggiormente sollecitato dalla vista di cibi più naturali, come la frutta.
Questo studio è interessante perché svela come il cervello sia strettamente legato ed influenzato dal corpo, in quanto alcune caratteristiche del nostro fisico possono essere associate ad elementi cognitivi.
Come dire, che anche nel campo dell'alimentazione, sciegliamo ciò che maggiormente preferiamo a livello dei sensi.
La rappresentazione mentale degli alimenti varia in base al peso corporeo così come la nostra valutazione nei confronti del cibo. Lo rivela una ricerca della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (Sissa) che ha fatto luce sulla risposta cerebrale associata ad alcuni cibi, come un pezzo di torta alla crema o una mela rossa.
La valutazione di questi due alimenti sembra essere strettamente legata al nostro corpo, e soprattutto al nostro peso: le persone in sovrappeso sembrano prestare maggiore attenzione ai cibi elaborati, come dolci e pizza, invece, quelle sottopeso hanno un'attivazione cerebrale più orientata verso gli alimenti più semplici e naturali tipo la frutta.
Per la ricerca, gli studiosi hanno coinvolto partecipanti di peso diverso, considerando persone in sovrappeso, normopeso e sottopeso. Si sono combinati test comportamentali con un'elettroencefalografia, un'indagine che misura l'attività elettrica del cervello, per approfondire il modo con cui valutiamo alimenti non processati e cibi più elaborati. Su uno schermo venivano mostrate immagini dei cibi anticipate da frasi associate a quel dato cibo. Le frasi riguardavano caratteristiche percepite tramite i sensi, come per esempio: "Ha un sapore dolce", oppure una descrizione della loro funzione o del contesto in cui si consumano, tipo: "È ideale per una festa di matrimonio".
Quindi gli scienziati misuravano la risposta neurofisiologica allo stimolo, individuando tramite un parametro specifico, chiamato N 400, quanto le caratteristiche e le qualità contenute nella frase venissero associate, dal cervello dei partecipanti, all'alimento oggetto della frase. Fra gli alimenti selezionati frutta, come mele e ciliegie, frutta secca, ostriche, pizza, pasta al sugo, torta di mele.
Gli esperimenti hanno evidenziato che il gruppo di partecipanti con peso in eccesso presentavano segnali elettroencefalografici diversi rispetto a quelle in lieve sottopeso. In particolare, le persone con qualche chilo in più mostrerebbero una maggiore attività cerebrale nel caso di cibi elaborati.
Decisamente, nelle persone in sottopeso la risposta cerebrale era maggiormente sollecitato dalla vista di cibi più naturali, come la frutta.
Questo studio è interessante perché svela come il cervello sia strettamente legato ed influenzato dal corpo, in quanto alcune caratteristiche del nostro fisico possono essere associate ad elementi cognitivi.
Come dire, che anche nel campo dell'alimentazione, sciegliamo ciò che maggiormente preferiamo a livello dei sensi.
"Gli uomini preferiscono le bionde ma sposano le more!"
La scienza conferma lo stereotipo. In particolare, alle castane e alle more è attribuita una migliore reputazione come madri.
Alla fine, forse, un po' tutte le persone scelgono sempre la risposta che da più sicurezza. E poco importa se è una sicurezza vera o solo presunta. È così anche per le donne. Uno studio rivela o meglio conferma ciò che quasi 50 anni fa, recitava la platinatissima Marylin: "Gli uomini preferiscono le bionde"... ma scelgono le more.
Gli uomini preferiscono le bionde, le reputano significativamente più giovani e dall'aspetto più sano, ma nel ruolo di future madri dei loro figli, vedono più le brune.
La ricerca che conferma il vecchio stereotipo è stato condotto dalla Augsburg University of Minnesota e successivamente pubblicato su Journal of Social Psychology.
Lo studio è stato eseguito testando 110 uomini, a cui sono state mostrate immagini create dal computer di donne brune, castane e bionde. Gli studiosi hanno rilevato che gli uomini valutavano le donne con capelli più chiari come più attraenti e con un maggiore potenziale di relazionarsi rispetto alle more. La differenza non era molto marcata nel complesso, ma dopo un solo istante in cui i partecipanti allo studio guardavano le foto delle donne dalle spalle in su, le bionde venivano considerate molto più giovani e più sane delle brune.
I partecipanti alla ricerca inoltre guardando le foto hanno asserito che le bionde sono maggiormente propense ad avere più relazioni nello stesso momento e i ricercatori suggeriscono che questo significa che sarebbero disposti a sciegliere per un appuntamento.
Forse, di conseguenza, proprio a causa di queste false credenze, di questo pregiudizio, gli stessi, opterebbero maggiormente per le brune come madri dei propri figli.
La ricerca ha evidenziato che altro elemento decisivo per la scelta, sia la lunghezza dei capelli, oltre il colore: le donne che li portano lunghi sono considerate meno sane e attraenti, mentre quelle con una lunghezza media vengono considerate con il miglior potenziale di relazione.
Che dire? In effetti può essere...i dati parlano chiaro. E del resto, sempre la stessa e per nulla stupida, Marylin diceva: "Diamonds are the best girl's friends". Quindi che gli uomini senza fantasia vadano pure alle brune, tanto le bionde si consoleranno con i diamanti!
Alla fine, forse, un po' tutte le persone scelgono sempre la risposta che da più sicurezza. E poco importa se è una sicurezza vera o solo presunta. È così anche per le donne. Uno studio rivela o meglio conferma ciò che quasi 50 anni fa, recitava la platinatissima Marylin: "Gli uomini preferiscono le bionde"... ma scelgono le more.
Gli uomini preferiscono le bionde, le reputano significativamente più giovani e dall'aspetto più sano, ma nel ruolo di future madri dei loro figli, vedono più le brune.
La ricerca che conferma il vecchio stereotipo è stato condotto dalla Augsburg University of Minnesota e successivamente pubblicato su Journal of Social Psychology.
Lo studio è stato eseguito testando 110 uomini, a cui sono state mostrate immagini create dal computer di donne brune, castane e bionde. Gli studiosi hanno rilevato che gli uomini valutavano le donne con capelli più chiari come più attraenti e con un maggiore potenziale di relazionarsi rispetto alle more. La differenza non era molto marcata nel complesso, ma dopo un solo istante in cui i partecipanti allo studio guardavano le foto delle donne dalle spalle in su, le bionde venivano considerate molto più giovani e più sane delle brune.
I partecipanti alla ricerca inoltre guardando le foto hanno asserito che le bionde sono maggiormente propense ad avere più relazioni nello stesso momento e i ricercatori suggeriscono che questo significa che sarebbero disposti a sciegliere per un appuntamento.
Forse, di conseguenza, proprio a causa di queste false credenze, di questo pregiudizio, gli stessi, opterebbero maggiormente per le brune come madri dei propri figli.
La ricerca ha evidenziato che altro elemento decisivo per la scelta, sia la lunghezza dei capelli, oltre il colore: le donne che li portano lunghi sono considerate meno sane e attraenti, mentre quelle con una lunghezza media vengono considerate con il miglior potenziale di relazione.
Che dire? In effetti può essere...i dati parlano chiaro. E del resto, sempre la stessa e per nulla stupida, Marylin diceva: "Diamonds are the best girl's friends". Quindi che gli uomini senza fantasia vadano pure alle brune, tanto le bionde si consoleranno con i diamanti!
lunedì 8 gennaio 2018
Ancora vivo l'incubo siccità
La neve non sconfigge la sete d'acqua. I laghi del Nord sono ancora al di sotto delle medie stagionali.
Dopo il caldo torrido esperito durante la scorsa estate e buona parte dell'autunno, davvero si spera in un po' di freddo. Perché non solo "sotto la neve c'è il pane" ma anche per risollevare le sorti di un po' tutta la natura. Così le nevicate di metà Dicembre e l'inizio del 2018 hanno rappresentato una boccata d'ossigeno per l'agricoltura.
Ma il livello della neve cambia da zona a zona ed è quasi assente al Sud. Quindi, i tecnici dell'Anbi, l'Associazione Nazionale Bonifiche, spiegano: "La situazione è radicalmente diversa da quanto registrato 12 mesi fa. Al momento ci sono abbondanti riserve d'acqua ma sarà l'andamento climatico delle prossime settimane a determinare la quantità e la qualità dell'approvvigionamento idrico".
Purtroppo, è tangibile che nonostante le grandi nevicate, tutti i grandi laghi del Nord restano abbondantemente sotto le medie stagionali. L'Anbi aggiunge ancora: "Non siamo più ai minimi assoluti di qualche settimana fa ma questa situazione dimostra la gravità della carenza idrica registrata nella scorsa estate. Se si dovessero registrare repentini aumenti di temperatura con conseguente scioglimento delle nevi ci sarebbero da affrontare problemi di gestione idraulica e, soprattutto, non ci sarebbero garanzie, stato l'insufficienza di invasi per lo stoccaggio della risorsa, di avere acqua per i periodi più caldi".
Naturalmente, la speranza è quella che il clima riprenda e rispetti l'andamento delle stagioni e che lo scioglimento delle nevi sia progressivo, solo così si avranno le risorse sufficienti per gestire i mesi caldi.
Anche perché questa situazione mette in evidenza l'urgenza di aumentare la capacità di trattenere le acque quando ci sono, attuando il Piano Nazionale Invasi, perché c'è il rischio che la gran parte delle nevi, quando si scioglieranno, finiranno nel mare senza essere utilizzate.
L'anno scorso sicuramente è stato un caso eccezionale. Le precipitazioni sono state circa 1/3 inferiori della media, l'anno più caldo in Italia, dal 1800. Un caldo eccessivo che ha avuto gravi ripercussioni nell'agricoltura, e l'economia in genere. Basti pensare al prezzo della frutta aumentato in media del 3%.
Strascichi di cui ancora si discute e per cui ancora si deve trovare una soluzione. Così grazie all'allarme lanciato dalla Cia-Agricoltori, il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha indetto per l'11 Gennaio un tavolo di crisi pte un confronto sull'andamento del mercato nazionale, sulle prospettive di breve e medil periodo e "per condividere nuove azioni di contrasto alle crisi del settore".
Dopo il caldo torrido esperito durante la scorsa estate e buona parte dell'autunno, davvero si spera in un po' di freddo. Perché non solo "sotto la neve c'è il pane" ma anche per risollevare le sorti di un po' tutta la natura. Così le nevicate di metà Dicembre e l'inizio del 2018 hanno rappresentato una boccata d'ossigeno per l'agricoltura.
Ma il livello della neve cambia da zona a zona ed è quasi assente al Sud. Quindi, i tecnici dell'Anbi, l'Associazione Nazionale Bonifiche, spiegano: "La situazione è radicalmente diversa da quanto registrato 12 mesi fa. Al momento ci sono abbondanti riserve d'acqua ma sarà l'andamento climatico delle prossime settimane a determinare la quantità e la qualità dell'approvvigionamento idrico".
Purtroppo, è tangibile che nonostante le grandi nevicate, tutti i grandi laghi del Nord restano abbondantemente sotto le medie stagionali. L'Anbi aggiunge ancora: "Non siamo più ai minimi assoluti di qualche settimana fa ma questa situazione dimostra la gravità della carenza idrica registrata nella scorsa estate. Se si dovessero registrare repentini aumenti di temperatura con conseguente scioglimento delle nevi ci sarebbero da affrontare problemi di gestione idraulica e, soprattutto, non ci sarebbero garanzie, stato l'insufficienza di invasi per lo stoccaggio della risorsa, di avere acqua per i periodi più caldi".
Naturalmente, la speranza è quella che il clima riprenda e rispetti l'andamento delle stagioni e che lo scioglimento delle nevi sia progressivo, solo così si avranno le risorse sufficienti per gestire i mesi caldi.
Anche perché questa situazione mette in evidenza l'urgenza di aumentare la capacità di trattenere le acque quando ci sono, attuando il Piano Nazionale Invasi, perché c'è il rischio che la gran parte delle nevi, quando si scioglieranno, finiranno nel mare senza essere utilizzate.
L'anno scorso sicuramente è stato un caso eccezionale. Le precipitazioni sono state circa 1/3 inferiori della media, l'anno più caldo in Italia, dal 1800. Un caldo eccessivo che ha avuto gravi ripercussioni nell'agricoltura, e l'economia in genere. Basti pensare al prezzo della frutta aumentato in media del 3%.
Strascichi di cui ancora si discute e per cui ancora si deve trovare una soluzione. Così grazie all'allarme lanciato dalla Cia-Agricoltori, il Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, ha indetto per l'11 Gennaio un tavolo di crisi pte un confronto sull'andamento del mercato nazionale, sulle prospettive di breve e medil periodo e "per condividere nuove azioni di contrasto alle crisi del settore".
- Insomma, il problema siccità è tutt'altro che risolto e si deve confidare nella benevolenza delle condizioni metereologiche, che facciano fioccare tanto, tanto freddo, come dovrebbe essere di stagione.
Simone, 5 anni, dona il suo salvadanaio per comprare un'ambulanza
Un cortocircuito aveva messo fuori uso l'unico mezzo della Croce Rossa. Simone, il piccolino che aveva assistito all'intervento dei Vigili del Fuoco decide di dare i suoi risparmi per la causa.
Quale modo migliore di cominciare l'anno nuovo, se non con una bella notizia. Una notizia di quelle che un po' fanno sorridere, in quanto cariche di speranza e di fiducia. Speranza e fiducia che solo le nuove generazioni, i bimbi, possono portare. Infatti il 2018 s'inaugura con una buona azione, quella fatta dal piccolo Simone. Lui era presente quando sono intervenuti i Vigili del Fuoco in soccorso dell'unica ambulanza che serve la Bassa Valle Scrivia (inutilizzabile dal 29 Dicembre a causa di un cortocircuito).
Simone non ci ha pensato sopra due volte, ha tirato fuori il suo salvadanaio e ha annunciato ai genitori, Cristina ed Antonio, che voleva donare i suoi risparmi ai volontari della Croce Rossa di Castelnuovo Scrivia.
La cosa sconvolgente è che Simone Mercurio ha solo 5 anni. Frequenta l'ultimo anno della materna. Da circa un anno si è trasferito con la famiglia in paese e dimora proprio accanto ai garage della sede Cri di via Lamarmora.
Il papà racconta: "Mio figlio sta crescendo con il mito dei Vigili del Fuoco e degli operatori di soccorso. Quando gli abbiamo chiesto di scegliere la sua cameretta, lui non ha avuto dubbi e ha voluto quella che si affaccia sull'insegna della Croce Rossa".
Quando Simone vide il mezzo andare a fuoco, chiese al padre: " Se questo mezzo che salva la vita a moltissime persone sarebbe guarito". Il padre gli rispose che era necessario comprarne uno nuovo e ci volevano i soldi.
A queste parole, Simone ha preso il suo salvadanaio di latta, dichiarando di volerlo donare per comprare la nuova ambulanza.
Ora Simone è diventato la mascotte della Cri della Bassa Valle Scrivia. Laura Solari, responsabile dell'ufficio territoriale, commossa dal gesto del bimbo, riporta: "Gli ho spiegato che ci vorrà del tempo prima di poter festeggiare l'arrivo della nuova ambulanza, ma lui sarà il primo a salirci e farla suonare".
Queste sono le notizie che ci fanno ben sperare! Queste sono le notizie che ci fanno capire che qualcosa di buono è ancora possibile, fino a quando ci saranno bambini capaci d'insegnare l'altruismo.
Quale modo migliore di cominciare l'anno nuovo, se non con una bella notizia. Una notizia di quelle che un po' fanno sorridere, in quanto cariche di speranza e di fiducia. Speranza e fiducia che solo le nuove generazioni, i bimbi, possono portare. Infatti il 2018 s'inaugura con una buona azione, quella fatta dal piccolo Simone. Lui era presente quando sono intervenuti i Vigili del Fuoco in soccorso dell'unica ambulanza che serve la Bassa Valle Scrivia (inutilizzabile dal 29 Dicembre a causa di un cortocircuito).
Simone non ci ha pensato sopra due volte, ha tirato fuori il suo salvadanaio e ha annunciato ai genitori, Cristina ed Antonio, che voleva donare i suoi risparmi ai volontari della Croce Rossa di Castelnuovo Scrivia.
La cosa sconvolgente è che Simone Mercurio ha solo 5 anni. Frequenta l'ultimo anno della materna. Da circa un anno si è trasferito con la famiglia in paese e dimora proprio accanto ai garage della sede Cri di via Lamarmora.
Il papà racconta: "Mio figlio sta crescendo con il mito dei Vigili del Fuoco e degli operatori di soccorso. Quando gli abbiamo chiesto di scegliere la sua cameretta, lui non ha avuto dubbi e ha voluto quella che si affaccia sull'insegna della Croce Rossa".
Quando Simone vide il mezzo andare a fuoco, chiese al padre: " Se questo mezzo che salva la vita a moltissime persone sarebbe guarito". Il padre gli rispose che era necessario comprarne uno nuovo e ci volevano i soldi.
A queste parole, Simone ha preso il suo salvadanaio di latta, dichiarando di volerlo donare per comprare la nuova ambulanza.
Ora Simone è diventato la mascotte della Cri della Bassa Valle Scrivia. Laura Solari, responsabile dell'ufficio territoriale, commossa dal gesto del bimbo, riporta: "Gli ho spiegato che ci vorrà del tempo prima di poter festeggiare l'arrivo della nuova ambulanza, ma lui sarà il primo a salirci e farla suonare".
Queste sono le notizie che ci fanno ben sperare! Queste sono le notizie che ci fanno capire che qualcosa di buono è ancora possibile, fino a quando ci saranno bambini capaci d'insegnare l'altruismo.
venerdì 5 gennaio 2018
Per vivere a lungo ci vuole carattere!
Lo dimostra il profilo psicologico dei super anziani del Cilento. Non è solo una questione di Dna.
C'è poco da fare. Ci sono persone che hanno quel quid in più che le differenzia dalle altre, che le fa emergere, che le fa ricordare, che le fa vivere più a lungo! È il carattere. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista International Psychogeriatrics e condotto in sincrono dai ricercatori dell'Università Sapienza di Roma e l'Università di San Diego in California.
I "Super Anziani" del Cilento hanno mostrato di avere un profilo psicologico vincente. In particolare, il loro segreto è dato da: tanto ottimismo, una buona dose di religiosità, un forte attaccamento alla propria terra e alla famiglia, etica del lavoro ed infine un pizzico di testardaggine. Ecco com'è composta la ricetta per vivere più a lungo mantenendo un cervello sempre giovane.
Questo è quanto si è evinto dalla ricerca che ha preso in esame 29 grandi anziani, di età compresa tra i 90 e 101 anni, residenti in 9 comuni del Cilento e arruolati nello studio Ciao (Cilento on Aging Outcomes Study). Ciascuno di loro è stato intervistato per avere un quadro dettagliato delle sue condizioni psico-fisiche e soprattutto per conoscere il suo mondo interiore, fatto di ricordi, religiosità ed esperienze personali come quelle della migrazione. La ricerca è stata poi estesa anche ai familiari più giovani per valutare la loro salute mentale e fisica e per conoscere le loro impressioni circa la personalità e il carattere dei loro anziani.
Si è potuto constatare che nonostante gli acciacchi e le malattie, i nonni del Cilento hanno un benessere mentale superiore a quello dei figli di età compresa fra i 51 e i 75 anni.
Anna Salzo, una delle autrici dello studio dichiara: "Ciò che accomuna questi anziani è l'amore per la loro terra, in cui trovano un motivo per continuare a vivere. Molti continuano a lavorare a casa o nei campi, e pensano questa è la mia vita, non voglio arrendermi".
Inoltre, gli studiosi hanno notato che questi "nonnetti" hanno un carattere tutto pepe, infatti: "Abbiamo scoperto che tendono ad essere dominanti, testardi e hanno bisogno di avere un senso di controllo. Questa tendenza a controllare l'ambiente evidenzia una certa determinazione che è bilanciata dalla necessità di adattarsi ai cambiamenti".
Forse è vero, per vivere più a lungo ci vuole soprattutto carattere. Quella voglia di non arrendersi, di affrontare le difficoltà e cercare di non spezzarsi mai. Di farsi forza. Se non altro, i nonni cilentani ci insegnano a vivere!
C'è poco da fare. Ci sono persone che hanno quel quid in più che le differenzia dalle altre, che le fa emergere, che le fa ricordare, che le fa vivere più a lungo! È il carattere. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista International Psychogeriatrics e condotto in sincrono dai ricercatori dell'Università Sapienza di Roma e l'Università di San Diego in California.
I "Super Anziani" del Cilento hanno mostrato di avere un profilo psicologico vincente. In particolare, il loro segreto è dato da: tanto ottimismo, una buona dose di religiosità, un forte attaccamento alla propria terra e alla famiglia, etica del lavoro ed infine un pizzico di testardaggine. Ecco com'è composta la ricetta per vivere più a lungo mantenendo un cervello sempre giovane.
Questo è quanto si è evinto dalla ricerca che ha preso in esame 29 grandi anziani, di età compresa tra i 90 e 101 anni, residenti in 9 comuni del Cilento e arruolati nello studio Ciao (Cilento on Aging Outcomes Study). Ciascuno di loro è stato intervistato per avere un quadro dettagliato delle sue condizioni psico-fisiche e soprattutto per conoscere il suo mondo interiore, fatto di ricordi, religiosità ed esperienze personali come quelle della migrazione. La ricerca è stata poi estesa anche ai familiari più giovani per valutare la loro salute mentale e fisica e per conoscere le loro impressioni circa la personalità e il carattere dei loro anziani.
Si è potuto constatare che nonostante gli acciacchi e le malattie, i nonni del Cilento hanno un benessere mentale superiore a quello dei figli di età compresa fra i 51 e i 75 anni.
Anna Salzo, una delle autrici dello studio dichiara: "Ciò che accomuna questi anziani è l'amore per la loro terra, in cui trovano un motivo per continuare a vivere. Molti continuano a lavorare a casa o nei campi, e pensano questa è la mia vita, non voglio arrendermi".
Inoltre, gli studiosi hanno notato che questi "nonnetti" hanno un carattere tutto pepe, infatti: "Abbiamo scoperto che tendono ad essere dominanti, testardi e hanno bisogno di avere un senso di controllo. Questa tendenza a controllare l'ambiente evidenzia una certa determinazione che è bilanciata dalla necessità di adattarsi ai cambiamenti".
Forse è vero, per vivere più a lungo ci vuole soprattutto carattere. Quella voglia di non arrendersi, di affrontare le difficoltà e cercare di non spezzarsi mai. Di farsi forza. Se non altro, i nonni cilentani ci insegnano a vivere!
Niente più cotton fioc
Dal 2019 i cotton fioc in plastica saranno messi al bando. Si potranno vendere solo quelli biodegradabili. Nel giro di un anno dovranno sparire anche alcuni prodotti come creme per il viso e dentifricio contenenti microplastiche.
I bastoncini per pulire le orecchie sono ormai parte integrante dell'arredamento dei bagni. Stanno lì, non troppo nascosti, spesso rimanendo proprio nella loro confezione, alla portata di mano ogni qualvolta debbano essere usati. Eppure i cotton fioc, quelli di plastica colorata, dal 2019 saranno vietati. Non si potrà più comprarli. Per esigenze soprattutto ecologiche, verranno sostituiti da quelli biodegradabili che non creano danni all'ambiente come invece avviene nel caso di smaltimento errato delle plastiche.
Il divieto dei cotton fioc è stato deciso con un emendamento alla manovra approvato dalla Camera e proposto da Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente di Montecitorio. Una mossa che si assesta come una delle tante battaglie intraprese per la guerra alla plastica iniziata da tempo dal Governo e Parlamento.
Il primo ad esultare per questo provvedimento è stato il Ministro dell'Ambiente GianLuca Galletti che commenta: "Uno straordinario segnale all'Europa per rispondere con i fatti a un fenomeno allarmante, che nuoce alla biodiversità e alla qualità delle acque".
L'emendamento, oltre a vietare la produzione e la vendita dei cotton fioc in plastica, dal 2019 vieta anche l'utilizzo di microplastiche per tutti i prodotti cosmetici. Dal 1° Gennaio 2020 il divieto verrà quindi esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergenti contenti microplastiche.
Dei provvedimenti ritenuti necessari se si considera che i cotton fioc sono il 3° rifiuto più presente nel mare (Adriatico e Ionio), secondo uno studio internazionale sviluppato su 31 siti costieri per un totale di oltre 18 chilometri di costa.
Con la nuova normativa, il divieto di commercializzazione scatterà a partire dal 2019 e sarà accompagnato da un finanziamento di 250 mila euro per una campagna pubblicitaria contro la dispersione di plastica nell'ambiente.
La norma prevede pure che sulle etichette vengano riportate con chiarezza le informazioni sul corretto smaltimento e una frase con la quale ricordare che è fatto "divieto di gettarli nei servizi igienici e negli scarichi".
Legambiente parla di "un'ottima notizia" e sottolinea che il divieto segue già altri provvedimenti, come quello di Agosto quando è stato deciso di bandire tutte le buste non biodegradabili nei reparti ortofrutta, gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria.
Quindi se ad esultare è l'ambiente, per buona pace, dovremo accettare di cambiare un po' le nostre abitudini, in modo da poter essere contenti, anche noi, perché in futuro avremmo un ambiente più sano.
I bastoncini per pulire le orecchie sono ormai parte integrante dell'arredamento dei bagni. Stanno lì, non troppo nascosti, spesso rimanendo proprio nella loro confezione, alla portata di mano ogni qualvolta debbano essere usati. Eppure i cotton fioc, quelli di plastica colorata, dal 2019 saranno vietati. Non si potrà più comprarli. Per esigenze soprattutto ecologiche, verranno sostituiti da quelli biodegradabili che non creano danni all'ambiente come invece avviene nel caso di smaltimento errato delle plastiche.
Il divieto dei cotton fioc è stato deciso con un emendamento alla manovra approvato dalla Camera e proposto da Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente di Montecitorio. Una mossa che si assesta come una delle tante battaglie intraprese per la guerra alla plastica iniziata da tempo dal Governo e Parlamento.
Il primo ad esultare per questo provvedimento è stato il Ministro dell'Ambiente GianLuca Galletti che commenta: "Uno straordinario segnale all'Europa per rispondere con i fatti a un fenomeno allarmante, che nuoce alla biodiversità e alla qualità delle acque".
L'emendamento, oltre a vietare la produzione e la vendita dei cotton fioc in plastica, dal 2019 vieta anche l'utilizzo di microplastiche per tutti i prodotti cosmetici. Dal 1° Gennaio 2020 il divieto verrà quindi esteso ai prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergenti contenti microplastiche.
Dei provvedimenti ritenuti necessari se si considera che i cotton fioc sono il 3° rifiuto più presente nel mare (Adriatico e Ionio), secondo uno studio internazionale sviluppato su 31 siti costieri per un totale di oltre 18 chilometri di costa.
Con la nuova normativa, il divieto di commercializzazione scatterà a partire dal 2019 e sarà accompagnato da un finanziamento di 250 mila euro per una campagna pubblicitaria contro la dispersione di plastica nell'ambiente.
La norma prevede pure che sulle etichette vengano riportate con chiarezza le informazioni sul corretto smaltimento e una frase con la quale ricordare che è fatto "divieto di gettarli nei servizi igienici e negli scarichi".
Legambiente parla di "un'ottima notizia" e sottolinea che il divieto segue già altri provvedimenti, come quello di Agosto quando è stato deciso di bandire tutte le buste non biodegradabili nei reparti ortofrutta, gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria.
Quindi se ad esultare è l'ambiente, per buona pace, dovremo accettare di cambiare un po' le nostre abitudini, in modo da poter essere contenti, anche noi, perché in futuro avremmo un ambiente più sano.