C'è un posto in Europa dove il tempo scorre ancora lentamente. Scandito dal messaggio di bellezza e l'innovazione lasciata dai più grandi intellettuali moderni.
Il Bodensee si trova al confine tra Germania, Svizzera, Principato del Liechtenstein e Austria. È una piacevole meta per fare soprattutto un tuffo nella cultura, immergersi nei musei dedicati a Heidegger e Hesse, antiche abbazie e traversate su navi a vapore o catamarani solari. Il Lago di Costanza (Bodensee in tedesco) è tutto questo. Bisogna solo decidere da cosa cominciare.
Una visita d'obbligo è sicuramente quella al villaggio di Gaienhofen, sulla penisola di Hori, qui c'è la casa-museo del Premio Nobel Herman Hesse, dove visse dal 1904 al 1907. Al primo piano dell'edificio sono conservate le prime edizioni, scritti, quadri, foto e oggetti personali, come la sua prima macchina da scrivere e due dei suoi tanti occhiali da vista.
A 70 km di distanza, a Mebkirch, si trova invece il Museo dedicato a Martin Heidegger dalla sua città natale. Nelle sale del palazzo sono esposte e rappresentate le diverse tappe della vita del filosofo, ricreandone lo sviluppo del suo pensiero. In questa cittadina si può visitare anche Campus Galli, un enorme cantiere dove si ricostruisce il "monastero ideale", secondo una piantina architettonica altomedioevale ritrovata nella biblioteca di San Gallo, che si dice ispirò Umberto Eco per le ambientazioni del suo Nome della Rosa. L'opera è da completare, ma i visitatori potranno vedere i vari operai intenti a lavorare il legno, tagliatori di pietra e capomastri in abiti d'epoca a lavoro utilizzando solo i mezzi e gli attrezzi disponibili nel Medioevo.
A un'ora di distanza s'approda sull'isola monastica di Reichenau, Patrimonio Mondiale dell'Umanità Unesco, conosciuta come "l'Isola delle verdure", dove crescono pomodori e insalata coltivati secondo i dettami contenuti nell'Hortulus, il primo manuale di giardinaggio d'Europa scritto circa 1200 anni fa dal monaco Walahfrid Strabo.
Tesoro Unesco assolutamente imperdibile è l'Abbazia di San Gallo, a 50 km. Offre un'immensa biblioteca, la cattedrale e il complesso monastico. L'origine è attribuibile al 612, ma già nel nel X secolo il monastero era uno dei centri spirituali più importanti dell'Occidente. Oggi è un baluardo dello stile rococò, dove sono conservati 150 mila volumi originali.
Ma il Lago di Costanza è anche giardini, tanti, 60 in tutto, tutti racchiusi nell'Isola dei fiori, dove fioriscono crochi, narcisi, tulipani, magnolie, camelie, un intero arboreto e c'è pure una casa delle farfalle e la casa delle palme Palmenhaus. Insomma, al visitatore si offrono infinite bellezze e infiniti spunti e paesaggi da vedere. Comunque, a mio avviso, il punto forte dell'isola rimane il Bubble Hotel del Cantone svizzero Thurgau (Turgovia) dove si dorme in bolle di plastica giganti immerse nel verde, equipaggiate con letto, comodini, tavolino, sgabelli e lampade.
Il Lago di Costanza è un luogo ameno non poi così lontano da raggiungere. Comunque se ha ispirato così tanti letterati, vuol dire che più di un motivo valido per essere visitato, ce l'ha.
Notizie curiose, psicologia, cultura, arte ed attualità,articoli interessanti e mai pesanti.
lunedì 31 luglio 2017
Rimandare a domani. Colpa del web e dei genitori assenti
Aumentano sempre di più tra i giovani i "procrastinatori", coloro che hanno il vizio di rimandare a domani. Secondo un recente congresso la colpa è del web e dei genitori assenti.
Conoscete anche voi, o siete proprio voi, una di quelle persone che rimandano ogni cosa all'ultimo momento? Sicuramente sì, perché nel mondo occidentale almeno una persona su cinque, quindi il 20% della popolazione, è un procrastinatore seriale. Cioè non solo non fa oggi quello che dovrebbe fare, ma non lo fa nemmeno domani e forse nemmeno dopo domani, rimanda tutto all'imminente scadenza.
Questi i curiosi dati emersi alla Procrastination Research Conference of Chicago, il Congresso Mondiale sul tema dell'arte del rinvio, conclusasi qualche giorno fa. Ne è emerso che 1 su 5 è un procrastinatore. Secondo il coordinatore degli studi Joseph Ferrari, della De Paul University, un importantissimo fattore è un immotivato terrore del giudizio degli altri. La paura di essere additato dagli altri come incapace, blocca il procrastinatore. Si blocca, preferisce crearsi degli incidenti, soprattutto ridursi all'ultimo minuto, così da avere una scusa per le cose che non riescono bene. Le persone che rimandano preferiscono passare più per svogliati che per incapaci. Inoltre, c'è pure chi rimanda fino all'ultimo, perché erroneamente ritiene che sotto pressione possa dare il meglio di sé. Ferrari sfata questa mito. È stato scientificamente dimostrato che i "leoni dell'ultimo minuto" hanno risultati inferiori degli altri ai test cognitivi, anche se, in fase di autovalutazione, sono convinti di aver svolto bene il compito.
Maria Sinatra, docente di psicologia generale all'Università Aldo Moro di Bari commenta:"Noi lo vediamo soprattutto nei ragazzi dalle superiori all'università. In termini strettamente freudiani, non fanno più "l'esame di realtà", ossia non sembrano capaci di valutare realisticamente il loro comportamento e preferiscono rimandare il confronto con quello che potrebbe rivelarsi un brutto voto. Tanti ragazzi non sono più capaci di fare l'esame di realtà perché i genitori, invece di seguirli, usano i regali come surrogati della loro presenza. Ma così ogni volta che si profila un qualsiasi ostacolo sul loro cammino, i ragazzi si paralizzano e rinviano il più possibile. Nelle facoltà universitarie delle regioni universitarie che stiamo osservando, Puglia e Sicilia, vediamo il fenomeno della procrastinazione in crescita quasi esponenziale: i ragazzi si prenotano agli esami, ma non si presentano più".
Dal Congresso di Chicago a cui era invitata anche la Sinatra, si evince pure che non è solo colpa dei genitori, è tutta la società che ci indirizza alla procrastinazione. I siti e-commerce ci premiano con forti sconti se compriamo qualcosa all'ultimo minuto, e gli incentivi che le istituzioni offrono per compilare in tempo le dichiarazioni dei redditi o la revisione dell'auto sono soltanto negativi:"Bisognerebbe sperimentare invece incentivi per chi fa le cose con largo anticipo".
Procrastinare può essere anche un comportamento in aumento, ma mai come in questo caso, allora è meglio differenziarsi dagli altri. Fare in tempo il proprio dovere così da raccogliere per tempo i buoni frutti.
Conoscete anche voi, o siete proprio voi, una di quelle persone che rimandano ogni cosa all'ultimo momento? Sicuramente sì, perché nel mondo occidentale almeno una persona su cinque, quindi il 20% della popolazione, è un procrastinatore seriale. Cioè non solo non fa oggi quello che dovrebbe fare, ma non lo fa nemmeno domani e forse nemmeno dopo domani, rimanda tutto all'imminente scadenza.
Questi i curiosi dati emersi alla Procrastination Research Conference of Chicago, il Congresso Mondiale sul tema dell'arte del rinvio, conclusasi qualche giorno fa. Ne è emerso che 1 su 5 è un procrastinatore. Secondo il coordinatore degli studi Joseph Ferrari, della De Paul University, un importantissimo fattore è un immotivato terrore del giudizio degli altri. La paura di essere additato dagli altri come incapace, blocca il procrastinatore. Si blocca, preferisce crearsi degli incidenti, soprattutto ridursi all'ultimo minuto, così da avere una scusa per le cose che non riescono bene. Le persone che rimandano preferiscono passare più per svogliati che per incapaci. Inoltre, c'è pure chi rimanda fino all'ultimo, perché erroneamente ritiene che sotto pressione possa dare il meglio di sé. Ferrari sfata questa mito. È stato scientificamente dimostrato che i "leoni dell'ultimo minuto" hanno risultati inferiori degli altri ai test cognitivi, anche se, in fase di autovalutazione, sono convinti di aver svolto bene il compito.
Maria Sinatra, docente di psicologia generale all'Università Aldo Moro di Bari commenta:"Noi lo vediamo soprattutto nei ragazzi dalle superiori all'università. In termini strettamente freudiani, non fanno più "l'esame di realtà", ossia non sembrano capaci di valutare realisticamente il loro comportamento e preferiscono rimandare il confronto con quello che potrebbe rivelarsi un brutto voto. Tanti ragazzi non sono più capaci di fare l'esame di realtà perché i genitori, invece di seguirli, usano i regali come surrogati della loro presenza. Ma così ogni volta che si profila un qualsiasi ostacolo sul loro cammino, i ragazzi si paralizzano e rinviano il più possibile. Nelle facoltà universitarie delle regioni universitarie che stiamo osservando, Puglia e Sicilia, vediamo il fenomeno della procrastinazione in crescita quasi esponenziale: i ragazzi si prenotano agli esami, ma non si presentano più".
Dal Congresso di Chicago a cui era invitata anche la Sinatra, si evince pure che non è solo colpa dei genitori, è tutta la società che ci indirizza alla procrastinazione. I siti e-commerce ci premiano con forti sconti se compriamo qualcosa all'ultimo minuto, e gli incentivi che le istituzioni offrono per compilare in tempo le dichiarazioni dei redditi o la revisione dell'auto sono soltanto negativi:"Bisognerebbe sperimentare invece incentivi per chi fa le cose con largo anticipo".
Procrastinare può essere anche un comportamento in aumento, ma mai come in questo caso, allora è meglio differenziarsi dagli altri. Fare in tempo il proprio dovere così da raccogliere per tempo i buoni frutti.
sabato 29 luglio 2017
Val Verzasca, le "Maldive" ad un'ora da Milano
Un gruppo di ragazzi brianzoli postano su Facebook le immagini di questa,finora, località poco conosciuta. Il video diventa virale e la zona viene invasa dai turisti.
"Con acque cristalline e sabbie dorate, un posto pazzesco". Così le descrive Marco Capredi, nickname Capedit, parlando di Val Verzasca, questo angolo di paradiso, sito nel Canton Ticino, sopra Locarno.
Ad un'ora di macchina da Milano, traffico permettendo, senza dover prendere aerei, senza dover fare i conti con il fuso orario, trovi le Maldive. Le ha scoperte un ragazzo brianzolo, Marco Capredi, che dopo una gita nella Valle Verzasca, ha postato un video su Facebook; definendo quell'angolo di Svizzera:"Un posto pazzesco", felicemente ribattezzato:"le Maldive di Milano". L'analogia con il più famoso e gettonato arcipelago Indiano, ha colto nel segno. Il filmato ha ottenuto qualcosa come 2 milioni e mezzo di visualizzazioni, mentre la zona è stata invasa dai turisti.
È cominciato così un assalto di massa a cui la zona e i pochi abitanti non erano pronti. Non pochi si lamentano dell'inaspettata invasione. Uno dei residenti afferma:"Altro che Maldive, sembra di essere a Rimini, ovunque ci sono auto, moto, camper sia con targa italiana che con targa elvetica, parcheggiati per ogni dove, pranti compresi.". Un altro verzaschese aggiunge:"Questi turisti del mordi e fuggi non hanno rispetto per nulla, dormono in auto, girano seminudi lungo le strade e trasformano la valle in un gabinetto a cielo aperto". A far infuriare ulteriormente gli abitanti del luogo, è l'enorme quantità di rifiuti che i visitatori lasciano lì, invece magari di riportarseli da dove sono venuti.
Qualche lamentela a parte, i sindaci della zona sono abbastanza soddisfatti e ringraziano il ragazzo per l'involontaria pubblicità che ha fatto alla Valle. La domenica lì, ormai c'è sempre il pienone, addirittura ora organizzano anche dei pullman di gite organizzate. La situazione rimane quindi sotto controllo.
D'altronde c'era da aspettarselo. Un paradiso così bello e così vicino. Però,i turisti dovrebbero magari, riflettere un po' di più sul fatto che i luoghi naturali così belli, ed incontaminati, sono tali perché c'è dietro sia un grande lavoro degli organizzatori che una grande educazione dei visitatori. La Natura già ha fatto tanto, ora tocca alle persone comportarsi bene.
"Con acque cristalline e sabbie dorate, un posto pazzesco". Così le descrive Marco Capredi, nickname Capedit, parlando di Val Verzasca, questo angolo di paradiso, sito nel Canton Ticino, sopra Locarno.
Ad un'ora di macchina da Milano, traffico permettendo, senza dover prendere aerei, senza dover fare i conti con il fuso orario, trovi le Maldive. Le ha scoperte un ragazzo brianzolo, Marco Capredi, che dopo una gita nella Valle Verzasca, ha postato un video su Facebook; definendo quell'angolo di Svizzera:"Un posto pazzesco", felicemente ribattezzato:"le Maldive di Milano". L'analogia con il più famoso e gettonato arcipelago Indiano, ha colto nel segno. Il filmato ha ottenuto qualcosa come 2 milioni e mezzo di visualizzazioni, mentre la zona è stata invasa dai turisti.
È cominciato così un assalto di massa a cui la zona e i pochi abitanti non erano pronti. Non pochi si lamentano dell'inaspettata invasione. Uno dei residenti afferma:"Altro che Maldive, sembra di essere a Rimini, ovunque ci sono auto, moto, camper sia con targa italiana che con targa elvetica, parcheggiati per ogni dove, pranti compresi.". Un altro verzaschese aggiunge:"Questi turisti del mordi e fuggi non hanno rispetto per nulla, dormono in auto, girano seminudi lungo le strade e trasformano la valle in un gabinetto a cielo aperto". A far infuriare ulteriormente gli abitanti del luogo, è l'enorme quantità di rifiuti che i visitatori lasciano lì, invece magari di riportarseli da dove sono venuti.
Qualche lamentela a parte, i sindaci della zona sono abbastanza soddisfatti e ringraziano il ragazzo per l'involontaria pubblicità che ha fatto alla Valle. La domenica lì, ormai c'è sempre il pienone, addirittura ora organizzano anche dei pullman di gite organizzate. La situazione rimane quindi sotto controllo.
D'altronde c'era da aspettarselo. Un paradiso così bello e così vicino. Però,i turisti dovrebbero magari, riflettere un po' di più sul fatto che i luoghi naturali così belli, ed incontaminati, sono tali perché c'è dietro sia un grande lavoro degli organizzatori che una grande educazione dei visitatori. La Natura già ha fatto tanto, ora tocca alle persone comportarsi bene.
Il ritmo della scrittura esiste nei bambini ancor prima d'imparare
Sono stati ossevati 298 infanti per uno studio interdisciplinare a cui ha partecipato anche l'Università Bicocca di Milano.
Mettete un gessetto in mano ad un bambino e vi colorera' il mondo. Ma non solo, lo scriverà pure. Il ritmo della scrittura a mano non lo si impara, ma sarebbe già presente nei bambini ancor prima che imparino a scrivere. Questa è la sorprendente scoperta dei ricercatori dell'Università degli Studi di Milano Bicocca, che con la collaborazione de l'Universitat Pampeu Fabra di Barcellona, l'Istituto Neurologico Casimiro Mondino e l'Università of Southampton hanno condotto la ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports.
298 bambini della scuola primaria, sono stati i protagonisti dello studio. A loro è stato chiesto di scrivere per 10 volte la parola "burle". Spontaneamente, l'hanno scritto in modo più grande, più piccola, più velocemente, più lentamente, sia in stampatello che in corsivo. I bimbi hanno scritto su un foglio di carta, su una lavagnetta elettronica finalizzata ad analizzare il movimento della scrittura. In particolare sono state analizzate due caratteristiche dello scrivere: l'omotetia e l'isocronia. Grazie alla prima caratteristica, si impiega lo stesso tempo a scrivere ciascuna lettera di un vocabolo. Grazie invece all'isocronia, si può misurare la durata costante che si ha nel gesto dello scrivere relazionato alla lunghezza della parola.
Dai risultati, i ricercatori hanno dedotto:"Lo studio dimostra che i bambini rispettano entrambi i principi del primo anno della scuola primaria. Questo suggerisce che una rappresentazione interna del ritmo della scrittura sia presente già prima dell'età in cui la scrittura a mano viene eseguita automaticamente. Nonostante si tratti di un'acquisizione culturale, la scrittura a mano sembra quindi essere condizionata da vincoli più generali, relativi alla pianificazione temporale dei movimenti".
Per me e per tanti la scrittura è un gesto indispensabile e fondamentale della vita. Buono a sapersi che è così fin da piccoli, e per tanti piccoli. Perché tra i tanti ritmi che la vita ci presenta questo è senz'altro uno dei più adatti ad esprimersi e unire le persone.
Mettete un gessetto in mano ad un bambino e vi colorera' il mondo. Ma non solo, lo scriverà pure. Il ritmo della scrittura a mano non lo si impara, ma sarebbe già presente nei bambini ancor prima che imparino a scrivere. Questa è la sorprendente scoperta dei ricercatori dell'Università degli Studi di Milano Bicocca, che con la collaborazione de l'Universitat Pampeu Fabra di Barcellona, l'Istituto Neurologico Casimiro Mondino e l'Università of Southampton hanno condotto la ricerca pubblicata sulla rivista Scientific Reports.
298 bambini della scuola primaria, sono stati i protagonisti dello studio. A loro è stato chiesto di scrivere per 10 volte la parola "burle". Spontaneamente, l'hanno scritto in modo più grande, più piccola, più velocemente, più lentamente, sia in stampatello che in corsivo. I bimbi hanno scritto su un foglio di carta, su una lavagnetta elettronica finalizzata ad analizzare il movimento della scrittura. In particolare sono state analizzate due caratteristiche dello scrivere: l'omotetia e l'isocronia. Grazie alla prima caratteristica, si impiega lo stesso tempo a scrivere ciascuna lettera di un vocabolo. Grazie invece all'isocronia, si può misurare la durata costante che si ha nel gesto dello scrivere relazionato alla lunghezza della parola.
Dai risultati, i ricercatori hanno dedotto:"Lo studio dimostra che i bambini rispettano entrambi i principi del primo anno della scuola primaria. Questo suggerisce che una rappresentazione interna del ritmo della scrittura sia presente già prima dell'età in cui la scrittura a mano viene eseguita automaticamente. Nonostante si tratti di un'acquisizione culturale, la scrittura a mano sembra quindi essere condizionata da vincoli più generali, relativi alla pianificazione temporale dei movimenti".
Per me e per tanti la scrittura è un gesto indispensabile e fondamentale della vita. Buono a sapersi che è così fin da piccoli, e per tanti piccoli. Perché tra i tanti ritmi che la vita ci presenta questo è senz'altro uno dei più adatti ad esprimersi e unire le persone.
venerdì 28 luglio 2017
Guidare troppo riduce l'intelligenza
Guidare per più di due ore al giorno rende meno intelligenti. La guida causa stress e fatica che marcano il declino cognitivo.
Non aiuta a essere tipi svegli avere per tanto tempo le mani sul volante e il piede inchiodato sull'acceleratore. In effetti, lo stesso accade anche quando si guarda a lungo la televisione. Il cervello fa retromarcia. Lo rivela uno studio della University of Leicester, avviato per indagare sulla sedentarietà. Guidare per più di 2 ore al giorno rende meno intelligenti.
Kishan Bakrania, coordinatore dello studio e il suo team, hanno osservato per anni gli stili di vita di circa 500 mila britannici di età compresa tra i 37 e i 73 anni ai quali venivano sottoposti quotidianamente test di intelligenza, relativi al QI, e di memoria. Di essi, le 93 mila persone che affermavano di guidare ogni giorno dalle due alle tre ore, hanno riportato punteggi inferiori nelle capacità intellettive e nei test successivi i punteggi si abbassavano ancor più velocemente rispetto a coloro che non guidano o passano poco tempo al volante. I più "addormentati" dalla guida, risultano essere le persone che passono tanto tempo in macchina, di mezz'età.
La ricerca era partita proprio per studiare l'effetto del comportamento sedentario sul cervello delle persone. Quindi si voleva vedere come reagiscono le persone che lavorano in ufficio o passano tanto tempo davanti alla televisione. Bakrania spiega così:"È noto che guidare per due o tre ore al giorno può essere negativo per il cuore. Questa ricerca suggerisce però che fa male anche al cervello: durante quelle ore la mente è meno attiva. La guida causa stress e fatica e i nostri studi dimostrano ciò che si collega anche al declino cognitivo. Lo stesso vale per chi guarda la Tv per più di tre ore al giorno. Il declino cognitivo è misurabile in 5 anni. Questo può essere associato a fattori di stile di vita, fra cui anche fumo e una cattiva dieta, che possono essere diversivi per far passare il tempo in auto". Lo stesso fenomeno però non vale, quando le stesse ore si trascorrono davanti al computer.
Chi lavora davanti a uno schermo, potrebbe sviluppare altri tipi di problemi o patologie, ma usare il computer in alcuni casi può addirittura aumentare le proprie abilità cognitive. "Vale per certe persone che lavorano o giocano davanti al computer in questo caso la mente è più stimolata. Quando si guarda la Tv il nostro cervello è meno attivo mentre utilizzando il computer viene automaticamente stimolato.
Allora, non ci resta che muoverci. Magari più a piedi che in macchina e invece di perderci ad ascoltare la Tv, perdiamoci ad ascoltare le persone dal vivo.
Non aiuta a essere tipi svegli avere per tanto tempo le mani sul volante e il piede inchiodato sull'acceleratore. In effetti, lo stesso accade anche quando si guarda a lungo la televisione. Il cervello fa retromarcia. Lo rivela uno studio della University of Leicester, avviato per indagare sulla sedentarietà. Guidare per più di 2 ore al giorno rende meno intelligenti.
Kishan Bakrania, coordinatore dello studio e il suo team, hanno osservato per anni gli stili di vita di circa 500 mila britannici di età compresa tra i 37 e i 73 anni ai quali venivano sottoposti quotidianamente test di intelligenza, relativi al QI, e di memoria. Di essi, le 93 mila persone che affermavano di guidare ogni giorno dalle due alle tre ore, hanno riportato punteggi inferiori nelle capacità intellettive e nei test successivi i punteggi si abbassavano ancor più velocemente rispetto a coloro che non guidano o passano poco tempo al volante. I più "addormentati" dalla guida, risultano essere le persone che passono tanto tempo in macchina, di mezz'età.
La ricerca era partita proprio per studiare l'effetto del comportamento sedentario sul cervello delle persone. Quindi si voleva vedere come reagiscono le persone che lavorano in ufficio o passano tanto tempo davanti alla televisione. Bakrania spiega così:"È noto che guidare per due o tre ore al giorno può essere negativo per il cuore. Questa ricerca suggerisce però che fa male anche al cervello: durante quelle ore la mente è meno attiva. La guida causa stress e fatica e i nostri studi dimostrano ciò che si collega anche al declino cognitivo. Lo stesso vale per chi guarda la Tv per più di tre ore al giorno. Il declino cognitivo è misurabile in 5 anni. Questo può essere associato a fattori di stile di vita, fra cui anche fumo e una cattiva dieta, che possono essere diversivi per far passare il tempo in auto". Lo stesso fenomeno però non vale, quando le stesse ore si trascorrono davanti al computer.
Chi lavora davanti a uno schermo, potrebbe sviluppare altri tipi di problemi o patologie, ma usare il computer in alcuni casi può addirittura aumentare le proprie abilità cognitive. "Vale per certe persone che lavorano o giocano davanti al computer in questo caso la mente è più stimolata. Quando si guarda la Tv il nostro cervello è meno attivo mentre utilizzando il computer viene automaticamente stimolato.
Allora, non ci resta che muoverci. Magari più a piedi che in macchina e invece di perderci ad ascoltare la Tv, perdiamoci ad ascoltare le persone dal vivo.
Per dimagrire fate attenzione a quando mangiate
È la dieta degli orari, per cui è importante non solo quanto si mangia ma anche a che ora ci si siede a tavola. Se ci si nutre di giorno gli effetti saranno migliori. E ci si saziera' di più.
La vecchia saggezza popolare, da un po' invitava a farlo. Ora la chiarisce Cell Metabolism. È meglio mangiare di giorno. Per il cibo non conta solo il quanto ma anche il quando. Possiamo mangiare pastasciutta, bistecca o gelato, gli effetti che susciteranno sul nostro peso, o negli esami del sangue, non saranno mai gli stessi se li mangiamo a colazione, pranzo, cena o cediamo allo spuntino di mezzanotte.
È una cosa seria. Lo afferma uno studio condotto su diversi gruppi di topolini che venivano alimentati ad libidum o a intervalli ben determinati. I topolini a cui veniva concesso di mangiare entro un numero ristretto di ore, 12 al giorno, è riuscito a perdere peso senza bisogno di ridurre le calorie.
Joseph Takahashi, coordinatore della ricerca, e dipendente della Southwestern Medical Center negli Stati Uniti chiarisce:"Tradotto sugli uomini, il nostro esperimento indica che una dieta è efficace solo se le calorie vengono assunte durante il giorno, quando siamo attivi e svegli". Così hanno mostrato i topolini "diligenti" a dieta; quelli che potevano mangiare il loro cibo solo in un determinato tempo (di giorno). Questo ha fatto aumentare in loro anche la voglia di muoversi, andavano a correre nella famosa ruota per criceti che è un "complemento d'arredo" immancabile nelle gabbie per cavie. Inoltre, gli esami del sangue erano praticamente perfetti.
Questo studio si va ad inserire in un filone di ricerca ben avviato negli ultimi anni che è la crono-nutrizione. L'assunto di base vuole che i ritmi cicardiani non regolino solo il ciclo sonno-veglia, il rilascio degli ormoni o i valori della pressione sanguigna; ma influiscano anche sul metabolismo. Il quando assumiamo cibo, incide su diversi fattori come: bruciare gli zuccheri attraverso l'insulina, l'attività del fegato, l'attivazione di alcuni enzimi e la presenza di alcuni batteri nell'intestino o perfino l'espressione di alcuni geni delle cellule del grasso, rendendole più o meno smaltibili. Questi parametri oscillano nel corso del giorno. Quindi mangiare al ritmo di questa sinfonia ci permette di metabolizzare gli alimenti più agevolmente.
Gli antichi già lo sapevano. Le stesse calorie assunte la mattina tendono a saziare di più rispetto a quelle della sera, ci lasciano più tempo senza sentire nuovamente la sensazione di fame. Poi, ai problemi di linea, per chi mangia in maniera "sfasata", si possono affiancare anche altre complicanze come il diabete, i trigliceridi, il colesterolo, il fegato grasso e alti livelli d'infiammazione dei tessuti.
Certo con i ritmi di vita di oggi, non è sempre facile seguire questi consigli. Si finisce con il mangiare di più la sera.Io sono la prima. Toccherà rivedere e appuntarsi prima di sedersi a tavola per la, il detto di Maimonide:"Una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da contadini".
La vecchia saggezza popolare, da un po' invitava a farlo. Ora la chiarisce Cell Metabolism. È meglio mangiare di giorno. Per il cibo non conta solo il quanto ma anche il quando. Possiamo mangiare pastasciutta, bistecca o gelato, gli effetti che susciteranno sul nostro peso, o negli esami del sangue, non saranno mai gli stessi se li mangiamo a colazione, pranzo, cena o cediamo allo spuntino di mezzanotte.
È una cosa seria. Lo afferma uno studio condotto su diversi gruppi di topolini che venivano alimentati ad libidum o a intervalli ben determinati. I topolini a cui veniva concesso di mangiare entro un numero ristretto di ore, 12 al giorno, è riuscito a perdere peso senza bisogno di ridurre le calorie.
Joseph Takahashi, coordinatore della ricerca, e dipendente della Southwestern Medical Center negli Stati Uniti chiarisce:"Tradotto sugli uomini, il nostro esperimento indica che una dieta è efficace solo se le calorie vengono assunte durante il giorno, quando siamo attivi e svegli". Così hanno mostrato i topolini "diligenti" a dieta; quelli che potevano mangiare il loro cibo solo in un determinato tempo (di giorno). Questo ha fatto aumentare in loro anche la voglia di muoversi, andavano a correre nella famosa ruota per criceti che è un "complemento d'arredo" immancabile nelle gabbie per cavie. Inoltre, gli esami del sangue erano praticamente perfetti.
Questo studio si va ad inserire in un filone di ricerca ben avviato negli ultimi anni che è la crono-nutrizione. L'assunto di base vuole che i ritmi cicardiani non regolino solo il ciclo sonno-veglia, il rilascio degli ormoni o i valori della pressione sanguigna; ma influiscano anche sul metabolismo. Il quando assumiamo cibo, incide su diversi fattori come: bruciare gli zuccheri attraverso l'insulina, l'attività del fegato, l'attivazione di alcuni enzimi e la presenza di alcuni batteri nell'intestino o perfino l'espressione di alcuni geni delle cellule del grasso, rendendole più o meno smaltibili. Questi parametri oscillano nel corso del giorno. Quindi mangiare al ritmo di questa sinfonia ci permette di metabolizzare gli alimenti più agevolmente.
Gli antichi già lo sapevano. Le stesse calorie assunte la mattina tendono a saziare di più rispetto a quelle della sera, ci lasciano più tempo senza sentire nuovamente la sensazione di fame. Poi, ai problemi di linea, per chi mangia in maniera "sfasata", si possono affiancare anche altre complicanze come il diabete, i trigliceridi, il colesterolo, il fegato grasso e alti livelli d'infiammazione dei tessuti.
Certo con i ritmi di vita di oggi, non è sempre facile seguire questi consigli. Si finisce con il mangiare di più la sera.Io sono la prima. Toccherà rivedere e appuntarsi prima di sedersi a tavola per la, il detto di Maimonide:"Una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da contadini".
giovedì 27 luglio 2017
Naturalia e Mirabilia, Jan Febre a Napoli
Dal 1° Luglio fino al 22 Ottobre il Museo Real Bosco di Capodimonte ospiterà la mostra del poliedrico artista belga. Tappa imperdibile del ciclo di esposizioni Incontri Sensibili.
Fabre aveva già dato il suo contributo a Napoli. Sul terrazzo del Museo Madre si erge un gigante di metallo lucente. L'uomo che misura le nuvole. Fabre ha realizzato il suo "operaio" con le mani sollevate al cielo mentre esse tengono rispettosamente un metro.
Tutto è partito da una frase del criminale Robert Stroud, noto come l'Ornitologo di Alcatraz. Nasce un inno all'immaginazione degli artisti; alla continua tensione verso il superamento dei limiti attraverso esperimenti audaci e delicati insieme. Per esteriorizzare l'insteriorizzabile senza tradirne, "l'intrinseca e fondativa bellezza".
Invece in questo periodo, Fabre è a Napoli con Naturalia e Mirabilia. Si potranno ammirare due lavori realizzati con gusci di scarabeo gioiello, materiale ricorrente e distintivo della sua ricerca. Spanish sword (Knight of modesty), Spada spagnola (Cavaliere di umiltà). È una spada in acciaio ricoperta di corazze naturali e iridescenti che evoca l'investitura cavalleresca, le armature cinquecentesche e la battaglia per l'arte. Una crescita che l'artista ha cominciato nel 2004 con il film Lancelot, per salvaguardare la fantasia e l'immaginazione come forme di conoscenza.
L'altra opera presente è Railway Tracks to Death, Binari verso la morte, appartenente al filone Tribute to Hieronymus Bosch in Congo, creata dall'artista per indagare la controversa storia coloniale del Belgio. La superficie dell'opera, dal ricco impatto e da mutevoli riflessi dovuti a una particolare tecnica con cui sono stati assemblati migliaia di ali di scarabeo di colori differenti su legno. L'autore ha interpretato lo stemma delle ferrovie del Congo belga, al cui centro si riconoscono figurine zoomorfe ricorrenti nel linguaggio del maestro fiammingo Bosh, dal riconosciuto tema surreale e mostruoso.
Annessa alle opere di Fabre c'è la "Camera delle meraviglie" WunderKamer, in cui sono riunite curiosità circa il sapore scientifico, il piacere estetico, la scoperta che fondano la concezione moderna di museo. Tutti questi cimeli, oggetti e quant'altro esprimono il naturalia (madreperla, rami di corallo, uova di struzzo e rostri di pesce sega) e mirabilia (oggetti d'arte realizzati in cristallo di rocca, bronzo, avorio, ambra, noci di cocco, corno di rinoceronte e corno di cervo).
L'Associazione Amici di Capodimonte, a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio ,con gli "Incontri Sensibili" intendono sensibilizzare ed affinare il gusto artistico dei tanti visitatori che stimano l'originale estro creativo di Jan Fabre.
Fabre aveva già dato il suo contributo a Napoli. Sul terrazzo del Museo Madre si erge un gigante di metallo lucente. L'uomo che misura le nuvole. Fabre ha realizzato il suo "operaio" con le mani sollevate al cielo mentre esse tengono rispettosamente un metro.
Tutto è partito da una frase del criminale Robert Stroud, noto come l'Ornitologo di Alcatraz. Nasce un inno all'immaginazione degli artisti; alla continua tensione verso il superamento dei limiti attraverso esperimenti audaci e delicati insieme. Per esteriorizzare l'insteriorizzabile senza tradirne, "l'intrinseca e fondativa bellezza".
Invece in questo periodo, Fabre è a Napoli con Naturalia e Mirabilia. Si potranno ammirare due lavori realizzati con gusci di scarabeo gioiello, materiale ricorrente e distintivo della sua ricerca. Spanish sword (Knight of modesty), Spada spagnola (Cavaliere di umiltà). È una spada in acciaio ricoperta di corazze naturali e iridescenti che evoca l'investitura cavalleresca, le armature cinquecentesche e la battaglia per l'arte. Una crescita che l'artista ha cominciato nel 2004 con il film Lancelot, per salvaguardare la fantasia e l'immaginazione come forme di conoscenza.
L'altra opera presente è Railway Tracks to Death, Binari verso la morte, appartenente al filone Tribute to Hieronymus Bosch in Congo, creata dall'artista per indagare la controversa storia coloniale del Belgio. La superficie dell'opera, dal ricco impatto e da mutevoli riflessi dovuti a una particolare tecnica con cui sono stati assemblati migliaia di ali di scarabeo di colori differenti su legno. L'autore ha interpretato lo stemma delle ferrovie del Congo belga, al cui centro si riconoscono figurine zoomorfe ricorrenti nel linguaggio del maestro fiammingo Bosh, dal riconosciuto tema surreale e mostruoso.
Annessa alle opere di Fabre c'è la "Camera delle meraviglie" WunderKamer, in cui sono riunite curiosità circa il sapore scientifico, il piacere estetico, la scoperta che fondano la concezione moderna di museo. Tutti questi cimeli, oggetti e quant'altro esprimono il naturalia (madreperla, rami di corallo, uova di struzzo e rostri di pesce sega) e mirabilia (oggetti d'arte realizzati in cristallo di rocca, bronzo, avorio, ambra, noci di cocco, corno di rinoceronte e corno di cervo).
L'Associazione Amici di Capodimonte, a cura di Sylvain Bellenger e Laura Trisorio ,con gli "Incontri Sensibili" intendono sensibilizzare ed affinare il gusto artistico dei tanti visitatori che stimano l'originale estro creativo di Jan Fabre.
"Quei sassi sono opere d'arte...che portano all'Unesco"
Da diversi paesi, i ragazzi del muretto a secco lanciano la candidatura per tutelare una tecnica antica. Intanto in Italia crescono vertiginosamente le richieste per iscriversi ai corsi dove si insegna come salvarli. Si creano posti di lavoro per muratori ad alto livello.
Carmelo Brugnara, alla veneranda età di 71 anni fa ancora vino a "Maso Spedenal" in val di Cembra. Da circa 60 anni costruisce muri a secco per evitare che le vigne, aggrappate alla montagna trentina, vadano giù. Ha cominciato a tenere su il mondo da bambino perché è nato, come lui stesso racconta, in un luogo "dove c'è sempre stato niente di tutto". "Per mangiare devi prima fare pulizia. Togli i sassi dalla terra e li metti in ordine per non perderla. La posizione delle cose: è questa, da sempre, che decide chi ce la fa e chi no".
Brugnara ha la poesia e la saggezza concreta di chi non ha mai aperto un libro, ha imparato da suo padre; che prima aveva osservato dal suo. Così è andato a occhio, sasso sopra sasso e senza rendersene conto ha costruito decine di chilometri di muri a secco. Ha dato vita ad un'anonima e unica opera d'arte, utile sia per il panorama che per l'economia del luogo.
Non è un'eccezione. I muretti costruiti con i sassi, dal Giappone alla Gran Bretagna, dall'Himalaya alle Ande, dopo anni caduti nel dimenticatoio rivivono un'insperata stagione di consapevolezza collettiva. Qui è giunto il regista Michele Trentini per presentare il documentario "Uomini e pietre" e dice:"All'improvviso anche i ragazzi capiscono che la bellezza conta. Anzi: che è decisiva per il destino di ogni comunità".
Dal mondo si alza una voce corale e Cipro, Grecia, Italia, Francia, Svizzera e Spagna hanno candidato la "tecnica dei muretti a secco in agricoltura" a patrimonio immateriale dell'umanità tutelato dall'Unesco. Il nostro paese è particolarmente coinvolto per salvare i terrazzamenti e le millenarie barriere di divisione che seguono il profilo naturale del Paese: in Liguria e nel Salento, lungo la costiera di Amalfi e sull'Etna, a Pantelleria e in Toscana, su tutto l'arco alpino e nel cuore dell'Appennino.
Il tesoro dei muretti a secco sembrava ormai finito,dimenticato. Invece, contadini, architetti, imprenditori, scienziati e promotori del turismo, lo rilanciano in tutto il mondo come un modello moderno, capace di generare lavoro e ricchezza senza impattare l'ambiente paesaggistico circostante. La Commissione Unesco visiterà i muretti a secco italiani fino all'anno prossimo, il responso per l'accettazione o meno dell'accogliere tra i beni essenziali della civiltà è attesa per il 2019.
L'Italia si erge anche grazie a uno scheletro di muretti a secco che si snoda per 170 mila km censiti mentre in realtà potrebbero essere oltre 3 mila. Altrettanto la natura terrazzata e sorretta. E la strada dei muretti a secco potrebbe essere anche la strada che conduce i giovani a trovare lavoro.
Così spera pure Carmelo Brugnara che un po' d'esperienza l'ha accumulata, afferma:"I sassi sono come gli uomini. Tutti possono essere buoni. Basta saperli vedere: allora te lo dicono loro in quale posto devono stare".
È bello immaginare un'Italia futura sorretta da tante piccole opere d'arte come possono essere le pietre e tanti altri giovani che hanno trovato il loro posto.
Carmelo Brugnara, alla veneranda età di 71 anni fa ancora vino a "Maso Spedenal" in val di Cembra. Da circa 60 anni costruisce muri a secco per evitare che le vigne, aggrappate alla montagna trentina, vadano giù. Ha cominciato a tenere su il mondo da bambino perché è nato, come lui stesso racconta, in un luogo "dove c'è sempre stato niente di tutto". "Per mangiare devi prima fare pulizia. Togli i sassi dalla terra e li metti in ordine per non perderla. La posizione delle cose: è questa, da sempre, che decide chi ce la fa e chi no".
Brugnara ha la poesia e la saggezza concreta di chi non ha mai aperto un libro, ha imparato da suo padre; che prima aveva osservato dal suo. Così è andato a occhio, sasso sopra sasso e senza rendersene conto ha costruito decine di chilometri di muri a secco. Ha dato vita ad un'anonima e unica opera d'arte, utile sia per il panorama che per l'economia del luogo.
Non è un'eccezione. I muretti costruiti con i sassi, dal Giappone alla Gran Bretagna, dall'Himalaya alle Ande, dopo anni caduti nel dimenticatoio rivivono un'insperata stagione di consapevolezza collettiva. Qui è giunto il regista Michele Trentini per presentare il documentario "Uomini e pietre" e dice:"All'improvviso anche i ragazzi capiscono che la bellezza conta. Anzi: che è decisiva per il destino di ogni comunità".
Dal mondo si alza una voce corale e Cipro, Grecia, Italia, Francia, Svizzera e Spagna hanno candidato la "tecnica dei muretti a secco in agricoltura" a patrimonio immateriale dell'umanità tutelato dall'Unesco. Il nostro paese è particolarmente coinvolto per salvare i terrazzamenti e le millenarie barriere di divisione che seguono il profilo naturale del Paese: in Liguria e nel Salento, lungo la costiera di Amalfi e sull'Etna, a Pantelleria e in Toscana, su tutto l'arco alpino e nel cuore dell'Appennino.
Il tesoro dei muretti a secco sembrava ormai finito,dimenticato. Invece, contadini, architetti, imprenditori, scienziati e promotori del turismo, lo rilanciano in tutto il mondo come un modello moderno, capace di generare lavoro e ricchezza senza impattare l'ambiente paesaggistico circostante. La Commissione Unesco visiterà i muretti a secco italiani fino all'anno prossimo, il responso per l'accettazione o meno dell'accogliere tra i beni essenziali della civiltà è attesa per il 2019.
L'Italia si erge anche grazie a uno scheletro di muretti a secco che si snoda per 170 mila km censiti mentre in realtà potrebbero essere oltre 3 mila. Altrettanto la natura terrazzata e sorretta. E la strada dei muretti a secco potrebbe essere anche la strada che conduce i giovani a trovare lavoro.
Così spera pure Carmelo Brugnara che un po' d'esperienza l'ha accumulata, afferma:"I sassi sono come gli uomini. Tutti possono essere buoni. Basta saperli vedere: allora te lo dicono loro in quale posto devono stare".
È bello immaginare un'Italia futura sorretta da tante piccole opere d'arte come possono essere le pietre e tanti altri giovani che hanno trovato il loro posto.
mercoledì 26 luglio 2017
I viaggiatori lenti, quelli per cui il percorso conta più della meta
Frequentano soprattutto percorsi storico-spirituali, sono stati censiti da Touring e Agenzia del Demanio per il progetto "Cammini e Percorsi".
Affermava Proust che "Il vero viaggio (di scoperta) non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". Certamente, così la pensano anche i viaggiatori lenti, coloro per cui la meta non è importante. Comunque non catalizza lo stesso interesse di chi o cosa si incontra lungo il cammino. Questi viandanti puntano a viaggiare dentro se stessi, per evadere dalla routine quotidiana e per conoscere nuove terre con le loro tradizioni e peculiarità.
I viaggiatori lenti preferiscono percorrere a piedi o in bicicletta i tanti percorsi storico-spirituali dell'Italia. Sono stati censiti nell'ambito del progetto "Cammini e Percorsi" dell'Agenzia del Demanio e del Touring Club che punta ad assegnare in gestione ad imprese, associazioni e cooperative in prevalenza under 40, immobili dello Stato lungo i percorsi come la via Francigena, la via Appia o le ciclovie del Vento o del Sole.
Sono stati coinvolti circa 25mila utenti. Tra i 18.600 italiani, quasi 12 mila hanno fatto viaggi "lenti" lungo percorsi storico-religiosi o ciclopedonali. Quasi 10 mila in Italia e 4.500 in Europa. Nel nostro Paese il percorso più frequentato è la via Francigena, percorso da circa 4.855 persone, poi la via Appia (2.857) o il cammino di San Francesco (2.721).
Tra gli utenti censiti circa 4.075, la maggior parte dichiara di aver viaggiato per un periodo ristretto di tempo compreso tra 1 e 3 giorni. Tremila lo hanno fatto solo per un giorno; 2.530 hanno camminato o fatto in bici questi percorsi per un periodo tra i 3 e i 7 giorni; oltre duemila per più di una settimana.
Il resoconto è quello di viaggiatori per lo più individuali, autonomi nell'organizzazione, che poco coinvolgono famiglie o bambini o le agenzie. Così, magari possono dedicarsi meglio a "momenti di meditazione", affinché il cammino possa essere anche spirituale, oppure dedicarsi alla conoscenza della storia del luogo che si visita.
Più la tecnologia va avanti e si globalizza e rimpicciolisce il mondo, più si è sempre connessi e allacciati virtualmente agli altri, più alcune persone cercano la quiete, la serenità di riuscire a stare da soli in mete ancora poco contaminate.
Affermava Proust che "Il vero viaggio (di scoperta) non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". Certamente, così la pensano anche i viaggiatori lenti, coloro per cui la meta non è importante. Comunque non catalizza lo stesso interesse di chi o cosa si incontra lungo il cammino. Questi viandanti puntano a viaggiare dentro se stessi, per evadere dalla routine quotidiana e per conoscere nuove terre con le loro tradizioni e peculiarità.
I viaggiatori lenti preferiscono percorrere a piedi o in bicicletta i tanti percorsi storico-spirituali dell'Italia. Sono stati censiti nell'ambito del progetto "Cammini e Percorsi" dell'Agenzia del Demanio e del Touring Club che punta ad assegnare in gestione ad imprese, associazioni e cooperative in prevalenza under 40, immobili dello Stato lungo i percorsi come la via Francigena, la via Appia o le ciclovie del Vento o del Sole.
Sono stati coinvolti circa 25mila utenti. Tra i 18.600 italiani, quasi 12 mila hanno fatto viaggi "lenti" lungo percorsi storico-religiosi o ciclopedonali. Quasi 10 mila in Italia e 4.500 in Europa. Nel nostro Paese il percorso più frequentato è la via Francigena, percorso da circa 4.855 persone, poi la via Appia (2.857) o il cammino di San Francesco (2.721).
Tra gli utenti censiti circa 4.075, la maggior parte dichiara di aver viaggiato per un periodo ristretto di tempo compreso tra 1 e 3 giorni. Tremila lo hanno fatto solo per un giorno; 2.530 hanno camminato o fatto in bici questi percorsi per un periodo tra i 3 e i 7 giorni; oltre duemila per più di una settimana.
Il resoconto è quello di viaggiatori per lo più individuali, autonomi nell'organizzazione, che poco coinvolgono famiglie o bambini o le agenzie. Così, magari possono dedicarsi meglio a "momenti di meditazione", affinché il cammino possa essere anche spirituale, oppure dedicarsi alla conoscenza della storia del luogo che si visita.
Più la tecnologia va avanti e si globalizza e rimpicciolisce il mondo, più si è sempre connessi e allacciati virtualmente agli altri, più alcune persone cercano la quiete, la serenità di riuscire a stare da soli in mete ancora poco contaminate.
Cortonantiquaria, la più antica mostra d'antiquariato in Italia
Giunge alla cinquantacinquesima edizione Cortonantiquaria l'esposizione d'antiquariato più datata, insieme alla Biennale di Firenze, del Bel Paese.
I nostalgici del passato possono stare tranquilli, dal 19 Agosto 3 Settembre potranno tuffarsi nell'atmosfera d'epoche ormai passate, a Cortona, nell'aretino, dove verrà allestita la più prestigiosa kermesse dedicata all'antiquariato.
Furio Velona, curatore scientifico dell'evento e già presidente della Furio Velona Antichità, annuncia:"Gli espositori previsti quest'anno sono circa 35. Vengono da tutte le parti d'Italia: chi dal Veneto, chi dalla Lombardia, chi dalla Toscana, senza dimenticare Napoli, il Lazio, l'Umbria. Per quanto riguarda i nomi, Roberto Ducci da Pescara porterà dipinti di grandissima qualità.
Sempre nell'ambito dei dipinti e degli argenti antichi avremo MR Antichità di Genova. Fabbri Arte dalla provincia di Modena sarà con noi per la prima volta, mentre l'unico straniero sarà Antiquidades Carrettero che arriverà da Madrid".
L'evento è promosso dal Comune di Cortona con il sostegno di Banca Popolare di Cortona, Camera di Commercio, Fondazione Nicodemo Settembrini, con la dirigenza della Cortona Sviluppo Srl e la partnership di Furio Velona Antichità.
Un appuntamento imperdibile e atteso, sia dai tanti appassionati dell'antiquariato, sia dai tanti altri curiosi che non vogliono perdersi uno degli eventi più importanti nel panorama toscano di fine estate. Oltre alla mostra, ci saranno rarità esclusive, approfondimenti con specialisti, conversazioni d'autore, fino ad arrivare al Premio Cortonantiquaria, che quest'anno è stato meritato dalla Scuola Normale di Pisa grazie al rapporto decennale di collaborazione con la città di Cortona.
Per l'occasione, verrà riaperto pure il Palazzo Vagnotti, gioiello settecentesco dell'architettura cortonese, le sue sale saranno punti chiave dell'esposizione, racchiudendo monili antichi, fascino di storie e stili per tanti gusti diversi. Si potranno ammirare e acquistare mobili di varie epoche e provenienza, preziosi argenti, complementi d'arredo, dipinti, tappeti, gioielli e molti altri oggetti d'alto valore. Inoltre dichiarano gli organizzatori:"Gli acquisti potranno essere effettuati in completa tranquillità, una commissione d'esperti sarà incaricata di supervisionare ogni settore".
Tante idee e nuovi spunti daranno vita alla 55esima edizione. Sempre dentro Palazzo Vagnotti, verrà esposta una mostra collaterale d'eccezione, il cui pezzo forte è una bacheca con alcuni documenti originali di Giacomo Leopardi, tra cui il manoscritto originale de L'Infinito. "In un momento in cui il mercato dell'arte sta tornando agli antichi fasti, Cortonantiquaria vuole essere una proposta fatta per il pubblico, sempre crescente, capace di apprezzare le opere d'antiquariato in coniugazione con le migliori espressioni di modernità".
Il fascino dell'antiquariato non è mai fuori moda. Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che sia dedicato esclusivamente alle tasche più abbienti. Non è così. Ci sono diverse offerte e soprattutto l'arte, la storia, la bellezza di alcune opere, il fascino di questi oggetti sono lì per essere ascoltati da tutti.
I nostalgici del passato possono stare tranquilli, dal 19 Agosto 3 Settembre potranno tuffarsi nell'atmosfera d'epoche ormai passate, a Cortona, nell'aretino, dove verrà allestita la più prestigiosa kermesse dedicata all'antiquariato.
Furio Velona, curatore scientifico dell'evento e già presidente della Furio Velona Antichità, annuncia:"Gli espositori previsti quest'anno sono circa 35. Vengono da tutte le parti d'Italia: chi dal Veneto, chi dalla Lombardia, chi dalla Toscana, senza dimenticare Napoli, il Lazio, l'Umbria. Per quanto riguarda i nomi, Roberto Ducci da Pescara porterà dipinti di grandissima qualità.
Sempre nell'ambito dei dipinti e degli argenti antichi avremo MR Antichità di Genova. Fabbri Arte dalla provincia di Modena sarà con noi per la prima volta, mentre l'unico straniero sarà Antiquidades Carrettero che arriverà da Madrid".
L'evento è promosso dal Comune di Cortona con il sostegno di Banca Popolare di Cortona, Camera di Commercio, Fondazione Nicodemo Settembrini, con la dirigenza della Cortona Sviluppo Srl e la partnership di Furio Velona Antichità.
Un appuntamento imperdibile e atteso, sia dai tanti appassionati dell'antiquariato, sia dai tanti altri curiosi che non vogliono perdersi uno degli eventi più importanti nel panorama toscano di fine estate. Oltre alla mostra, ci saranno rarità esclusive, approfondimenti con specialisti, conversazioni d'autore, fino ad arrivare al Premio Cortonantiquaria, che quest'anno è stato meritato dalla Scuola Normale di Pisa grazie al rapporto decennale di collaborazione con la città di Cortona.
Per l'occasione, verrà riaperto pure il Palazzo Vagnotti, gioiello settecentesco dell'architettura cortonese, le sue sale saranno punti chiave dell'esposizione, racchiudendo monili antichi, fascino di storie e stili per tanti gusti diversi. Si potranno ammirare e acquistare mobili di varie epoche e provenienza, preziosi argenti, complementi d'arredo, dipinti, tappeti, gioielli e molti altri oggetti d'alto valore. Inoltre dichiarano gli organizzatori:"Gli acquisti potranno essere effettuati in completa tranquillità, una commissione d'esperti sarà incaricata di supervisionare ogni settore".
Tante idee e nuovi spunti daranno vita alla 55esima edizione. Sempre dentro Palazzo Vagnotti, verrà esposta una mostra collaterale d'eccezione, il cui pezzo forte è una bacheca con alcuni documenti originali di Giacomo Leopardi, tra cui il manoscritto originale de L'Infinito. "In un momento in cui il mercato dell'arte sta tornando agli antichi fasti, Cortonantiquaria vuole essere una proposta fatta per il pubblico, sempre crescente, capace di apprezzare le opere d'antiquariato in coniugazione con le migliori espressioni di modernità".
Il fascino dell'antiquariato non è mai fuori moda. Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che sia dedicato esclusivamente alle tasche più abbienti. Non è così. Ci sono diverse offerte e soprattutto l'arte, la storia, la bellezza di alcune opere, il fascino di questi oggetti sono lì per essere ascoltati da tutti.
martedì 25 luglio 2017
Baci da destro o da mancino?
Uno studio rivela che anche quando ci si bacia e si inclina la testa, si predilige un lato a sfavore dell'altro. La maggior parte preferisce quello destro.
Ora tutti a ripensare da che lato s'è inclinato il capo l'ultima volta che si è dato un bacio. Perché anche in questa (si spera) romantica azione si è destrimani o mancini. Come nello scrivere, nel dipingere o nel tirare un calcio al pallone, ognuno ha il suo lato preferito. Solitamente, si inclina più frequentemente la testa a destra invece che a sinistra.
L'affermazione è scientificamente provata da una ricerca condotta dall'Università di Bath, nel Regno Unito, che ha individuato alcune basi biologiche di questo comportamento. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Lo studio è quantomeno intrigante, ma la ragione per cui questo avviene non è ancora chiara, anche se il meccanismo per cui si usa più la mano destra, l'essere destrimani, o la sinistra, il cosiddetto mancinismo, potrebbe essere collegato. Ci potrebbe essere correlazione tra lato preferito nel baciare e mano preferita per scrivere.
Lo studio è stato seguito da un team di ricercatori dell'Università di Bath e dell'Università di Dacca, capitale del Bangladesh. Sono state monitorate 48 coppie sposate bengalesi, invitate a baciarsi in privato nelle loro case e poi a rispondere singolarmente ad un questionario su quest'azione. Una delle domande tipo era: "Chi dava via al bacio? L'inclinazione della testa?".
Dai risultati è emerso che ad iniziare a baciare sono soprattutto gli uomini, loro solitamente danno il via, 8 volte su 10, è il partner di sesso maschile a prendere l'iniziativa. Poi, è stato inoltre riscontrato che 7 protagonisti su 10 piegavano il capo verso destra. Spesso chi inizia a baciare decide anche da che lato inclinare la testa, mentre il partner si adegua. Di fatto, 8 partecipanti su 10 trovano scomodo baciarsi tenendo le teste parallele, orientate lungo la stessa linea spaziale (ossia un partner con la testa piegata a sinistra e l'altro a destra).
Secondo i ricercatori l'essere destrimani o mancini potrebbe essere associato alla tendenza a piegare la testa verso un lato o dall'altro. Anche perché si sa che quando si è mancini o destrimani, poi prevale tutta quella parte del corpo a discapito dell'altra. Per esempio, se io sono destrimana, preferiro' fare qualunque azione con la parte destra del mio corpo, e questo da quando ho avuto all'incirca 4 anni di età.
Alla preferenza di lato per baciare però gli studiosi ancora non hanno dato una risposta certa. Si ipotizza che ciò sia dovuto alla presenza di dopamina, che sembra essere più presente in un lato o nell'altro a seconda che la persona prediliga l'uso della destra o della sinistra. Oppure un'altra ipotesi è quella legata agli aspetti culturali dello studio. Le coppie coinvolte erano del Bangladesh, quindi avevano l'abitudine di leggere e scrivere da destra a sinistra mentre in Occidente accade il contrario. Tale scorrimento potrebbe essere una delle ragioni alla base dell'inclinazione del capo durante il bacio.
Quindi le spiegazioni biologiche di tale fenomeno devono ancora essere effettivamente chiarite.
Rimane l'osservazione che in effetti, il bacio come il leggere o lo scrivere è e dev'essere un'azione naturale. È pure bello che non ci si rifletta troppo sopra e si lasci fare semplicemente ai sentimenti.
Ora tutti a ripensare da che lato s'è inclinato il capo l'ultima volta che si è dato un bacio. Perché anche in questa (si spera) romantica azione si è destrimani o mancini. Come nello scrivere, nel dipingere o nel tirare un calcio al pallone, ognuno ha il suo lato preferito. Solitamente, si inclina più frequentemente la testa a destra invece che a sinistra.
L'affermazione è scientificamente provata da una ricerca condotta dall'Università di Bath, nel Regno Unito, che ha individuato alcune basi biologiche di questo comportamento. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Lo studio è quantomeno intrigante, ma la ragione per cui questo avviene non è ancora chiara, anche se il meccanismo per cui si usa più la mano destra, l'essere destrimani, o la sinistra, il cosiddetto mancinismo, potrebbe essere collegato. Ci potrebbe essere correlazione tra lato preferito nel baciare e mano preferita per scrivere.
Lo studio è stato seguito da un team di ricercatori dell'Università di Bath e dell'Università di Dacca, capitale del Bangladesh. Sono state monitorate 48 coppie sposate bengalesi, invitate a baciarsi in privato nelle loro case e poi a rispondere singolarmente ad un questionario su quest'azione. Una delle domande tipo era: "Chi dava via al bacio? L'inclinazione della testa?".
Dai risultati è emerso che ad iniziare a baciare sono soprattutto gli uomini, loro solitamente danno il via, 8 volte su 10, è il partner di sesso maschile a prendere l'iniziativa. Poi, è stato inoltre riscontrato che 7 protagonisti su 10 piegavano il capo verso destra. Spesso chi inizia a baciare decide anche da che lato inclinare la testa, mentre il partner si adegua. Di fatto, 8 partecipanti su 10 trovano scomodo baciarsi tenendo le teste parallele, orientate lungo la stessa linea spaziale (ossia un partner con la testa piegata a sinistra e l'altro a destra).
Secondo i ricercatori l'essere destrimani o mancini potrebbe essere associato alla tendenza a piegare la testa verso un lato o dall'altro. Anche perché si sa che quando si è mancini o destrimani, poi prevale tutta quella parte del corpo a discapito dell'altra. Per esempio, se io sono destrimana, preferiro' fare qualunque azione con la parte destra del mio corpo, e questo da quando ho avuto all'incirca 4 anni di età.
Alla preferenza di lato per baciare però gli studiosi ancora non hanno dato una risposta certa. Si ipotizza che ciò sia dovuto alla presenza di dopamina, che sembra essere più presente in un lato o nell'altro a seconda che la persona prediliga l'uso della destra o della sinistra. Oppure un'altra ipotesi è quella legata agli aspetti culturali dello studio. Le coppie coinvolte erano del Bangladesh, quindi avevano l'abitudine di leggere e scrivere da destra a sinistra mentre in Occidente accade il contrario. Tale scorrimento potrebbe essere una delle ragioni alla base dell'inclinazione del capo durante il bacio.
Quindi le spiegazioni biologiche di tale fenomeno devono ancora essere effettivamente chiarite.
Rimane l'osservazione che in effetti, il bacio come il leggere o lo scrivere è e dev'essere un'azione naturale. È pure bello che non ci si rifletta troppo sopra e si lasci fare semplicemente ai sentimenti.
Lavazza porta l'antico Egitto in Russia in una mostra all'Ermitage
A San Pietroburgo si potrà ammirare la mostra"Nefertari e la Valle delle Regine".
Non è la prima volta che Lavazza collabora con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. Questa volta ad introdurre lo storico marchio nel salotto buono fella Russia e l'esposizione:"Nefertari e la Valle delle Regine". Mostra sponsorizzata dall'azienda torinese e realizzata con l'ausilio de il Museo Egizio di Torino.
La Lavazza non è nuova a queste iniziative, precedentemente ha reso omaggio al visionario artista e designer spagnolo profondissimo amatore di Venezia, "Mariano Fortuny: The Magician of Venice", con una mostra allestita proprio nella laguna veneta. Ma l'unione con il Museo russo è diversa. Dichiara Francesca Lavazza, consigliere dell'azienda piemontese nata nel 1895:"Quando Lavazza ha iniziato la collaborazione con il Museo Statale dell'Ermitage, lo scorso dicembre, avevo già intuito che eravamo destinati a fare grandi cose insieme. E, a distanza di pochi mesi, sono fiera di vedere il nostro autentico caffè italiano presso un'istituzione così prestigiosa, ma anche, cosa più importante, l'inaugurazione di un'esposizione di tale rilievo realizzata in collaborazione con il Museo Egizio di Torino. Un museo che mi è particolarmente caro. È davvero emozionante vedere Nefertari e la Valle delle Regine prendere vita qui, a San Pietroburgo con il sostegno di Lavazza".
Un parallelismo quello tra l'Ermitage e Lavazza, ormai consolidato e avviatissimo. L'espediente su Nefertari rappresenta il secondo step della collaborazione pluriennale tra il Museo russo e Lavazza. Due istituzioni nel loro settore e due icone riconosciute a livello internazionale. L'Ermitage è considerato un museo universale, capace di attrarre un pubblico internazionale, altrettanto la Lavazza, marchio famosissimo che interpreta il caffè facendone un'icona dello stile italiano nel mondo.
Francesca Lavazza, già presidente pure de "Gli Scarabei", associazione che accorpa i sostenitori privati del Museo di Torino, afferma:"Questa collaborazione triennale ci permetterà di comunicare i nostri valori e di sviluppare ulteriormente il nostro percorso nel mondo dell'arte e della cultura".
Un percorso culturale che ha annoverato già diverse tappe importanti come le collaborazioni con: il Guggenheim Museum of New York, I Musei Civici Veneziani e il Museo delle Culture di Milano.
La giornata è fatta di pause ricreative. Sia che esse consistano nell'ammirare un'antica opera d'arte o sorseggiare uno splendido ed evocativo caffè o fare entrambe le cose insieme, l'importante è che si facciano azioni che poi arricchiscono di ulteriore cultura la persona.
Non è la prima volta che Lavazza collabora con il Museo Statale Ermitage di San Pietroburgo. Questa volta ad introdurre lo storico marchio nel salotto buono fella Russia e l'esposizione:"Nefertari e la Valle delle Regine". Mostra sponsorizzata dall'azienda torinese e realizzata con l'ausilio de il Museo Egizio di Torino.
La Lavazza non è nuova a queste iniziative, precedentemente ha reso omaggio al visionario artista e designer spagnolo profondissimo amatore di Venezia, "Mariano Fortuny: The Magician of Venice", con una mostra allestita proprio nella laguna veneta. Ma l'unione con il Museo russo è diversa. Dichiara Francesca Lavazza, consigliere dell'azienda piemontese nata nel 1895:"Quando Lavazza ha iniziato la collaborazione con il Museo Statale dell'Ermitage, lo scorso dicembre, avevo già intuito che eravamo destinati a fare grandi cose insieme. E, a distanza di pochi mesi, sono fiera di vedere il nostro autentico caffè italiano presso un'istituzione così prestigiosa, ma anche, cosa più importante, l'inaugurazione di un'esposizione di tale rilievo realizzata in collaborazione con il Museo Egizio di Torino. Un museo che mi è particolarmente caro. È davvero emozionante vedere Nefertari e la Valle delle Regine prendere vita qui, a San Pietroburgo con il sostegno di Lavazza".
Un parallelismo quello tra l'Ermitage e Lavazza, ormai consolidato e avviatissimo. L'espediente su Nefertari rappresenta il secondo step della collaborazione pluriennale tra il Museo russo e Lavazza. Due istituzioni nel loro settore e due icone riconosciute a livello internazionale. L'Ermitage è considerato un museo universale, capace di attrarre un pubblico internazionale, altrettanto la Lavazza, marchio famosissimo che interpreta il caffè facendone un'icona dello stile italiano nel mondo.
Francesca Lavazza, già presidente pure de "Gli Scarabei", associazione che accorpa i sostenitori privati del Museo di Torino, afferma:"Questa collaborazione triennale ci permetterà di comunicare i nostri valori e di sviluppare ulteriormente il nostro percorso nel mondo dell'arte e della cultura".
Un percorso culturale che ha annoverato già diverse tappe importanti come le collaborazioni con: il Guggenheim Museum of New York, I Musei Civici Veneziani e il Museo delle Culture di Milano.
La giornata è fatta di pause ricreative. Sia che esse consistano nell'ammirare un'antica opera d'arte o sorseggiare uno splendido ed evocativo caffè o fare entrambe le cose insieme, l'importante è che si facciano azioni che poi arricchiscono di ulteriore cultura la persona.
lunedì 24 luglio 2017
Franco Pepe, il miglior pizzaiolo al mondo, svela la sua ricetta
"La pizza è gavetta e umiltà". Questo è il segreto del maestro pizzaiolo più bravo al mondo.
Prendete farina, formazione e gioco di squadra. Ecco gli ingredienti base della mitica pizza di Franco Pepe, incoronato re dalla classifica 50 Top Pizza. Un apprezzamento riconosciuto a livello planetario, tanto da far eleggere la sua Pepe in Grani di Caiazzo come miglior pizzeria al mondo. La motivazione?:"Per essere stato un apripista nel panorama contemporaneo per l'approccio alla qualità dei prodotti e alla contemporaneità del lavoro".
La strada percorsa è stata tanta, la fatica superata ancor di più, Franco ha cominciato nella pizzeria di famiglia per mettersi da adulto in proprio. Attualmente oltre alla pizzeria nell'alto casertano cura anche il menù de La Filiale all'Albereta. Quando ha saputo del premio, il suo primo pensiero è andato al padre:"Penso a lui ogni giorno, ai suoi occhi quando sono andato via per seguire la mia idea di pizza. È stata una strada fatta di testardaggine e sofferenza, ma oggi siamo qui e ne è valsa la pena. Spero mi abbia perdonato".
Subito dopo le parole sono state dedicate ai suoi ragazzi, alla sua sala e la sua crew. Finita la premiazione è tornato a Caiazzo per festeggiare con loro, i suoi collaboratori. "Una volta si pensava che bastasse un pizzaiolo per fare una pizzeria, anche il fornaio non era considerato importante e invece ognuno lo è. Io sono orgoglioso e commosso quando, come è successo pochi giorni fa, i clienti mi dicono che vengono da me non solo per l'ottima pizza, ma anche per la gentilezza e il savoir faire dei ragazzi in sala." Sorridere e guardare negli occhi non è affatto banale".
Franco Pepe svela che il segreto di tutto è la formazione. Quando si è messo in proprio ha studiato i grandi chef nelle loro cucine. Si è messo in gioco e oggi manda i suoi allievi a regolari corsi di approfondimento presso importanti ristoranti. "È fondamentale per la mia idea di cucina e di pizza, che vanno a pari passo. Ho rischiato, ormai dieci anni fa, scegliendo di destrutturare la figura del pizzaiolo come la si conosceva: ho suddiviso una sola figura in tante altre professionalità" almeno dieci, creando squadre che si alternano fra pranzo e cena. L'unico futuro della pizza attraverso il lavoro sul team, sui giovani e sulla loro formazione".
Franco Pepe è chiaro. Per lui è importante dare emozioni al palato. Non solo "ammacco e inforna". Inoltre, è anche contrario al mondo della pizza di oggi continuamente divisa tra stili e litigi. Si dichiara rammaricato per le polemiche, le tante rivalità soprattutto delle nuove generazioni. Afferma che ai giovani manca la voglia di confrontarsi:" Vogliono tutto e subito e in alcuni casi sono arroganti. Nelle vecchie generazioni c'è più rispetto anche per chi la pensa diversamente".
Invece auspica che con la serata di premiazione, Luciano Pignataro, Albert Sapere e Barbara Guerra abbiano dato una buona sferzata verso il dialogo.
Perché non ben sperare se anche nel mondo della pizza è stata premiata oltre la bontà e la qualità, anche l'umiltà e l'educazione.
Prendete farina, formazione e gioco di squadra. Ecco gli ingredienti base della mitica pizza di Franco Pepe, incoronato re dalla classifica 50 Top Pizza. Un apprezzamento riconosciuto a livello planetario, tanto da far eleggere la sua Pepe in Grani di Caiazzo come miglior pizzeria al mondo. La motivazione?:"Per essere stato un apripista nel panorama contemporaneo per l'approccio alla qualità dei prodotti e alla contemporaneità del lavoro".
La strada percorsa è stata tanta, la fatica superata ancor di più, Franco ha cominciato nella pizzeria di famiglia per mettersi da adulto in proprio. Attualmente oltre alla pizzeria nell'alto casertano cura anche il menù de La Filiale all'Albereta. Quando ha saputo del premio, il suo primo pensiero è andato al padre:"Penso a lui ogni giorno, ai suoi occhi quando sono andato via per seguire la mia idea di pizza. È stata una strada fatta di testardaggine e sofferenza, ma oggi siamo qui e ne è valsa la pena. Spero mi abbia perdonato".
Subito dopo le parole sono state dedicate ai suoi ragazzi, alla sua sala e la sua crew. Finita la premiazione è tornato a Caiazzo per festeggiare con loro, i suoi collaboratori. "Una volta si pensava che bastasse un pizzaiolo per fare una pizzeria, anche il fornaio non era considerato importante e invece ognuno lo è. Io sono orgoglioso e commosso quando, come è successo pochi giorni fa, i clienti mi dicono che vengono da me non solo per l'ottima pizza, ma anche per la gentilezza e il savoir faire dei ragazzi in sala." Sorridere e guardare negli occhi non è affatto banale".
Franco Pepe svela che il segreto di tutto è la formazione. Quando si è messo in proprio ha studiato i grandi chef nelle loro cucine. Si è messo in gioco e oggi manda i suoi allievi a regolari corsi di approfondimento presso importanti ristoranti. "È fondamentale per la mia idea di cucina e di pizza, che vanno a pari passo. Ho rischiato, ormai dieci anni fa, scegliendo di destrutturare la figura del pizzaiolo come la si conosceva: ho suddiviso una sola figura in tante altre professionalità" almeno dieci, creando squadre che si alternano fra pranzo e cena. L'unico futuro della pizza attraverso il lavoro sul team, sui giovani e sulla loro formazione".
Franco Pepe è chiaro. Per lui è importante dare emozioni al palato. Non solo "ammacco e inforna". Inoltre, è anche contrario al mondo della pizza di oggi continuamente divisa tra stili e litigi. Si dichiara rammaricato per le polemiche, le tante rivalità soprattutto delle nuove generazioni. Afferma che ai giovani manca la voglia di confrontarsi:" Vogliono tutto e subito e in alcuni casi sono arroganti. Nelle vecchie generazioni c'è più rispetto anche per chi la pensa diversamente".
Invece auspica che con la serata di premiazione, Luciano Pignataro, Albert Sapere e Barbara Guerra abbiano dato una buona sferzata verso il dialogo.
Perché non ben sperare se anche nel mondo della pizza è stata premiata oltre la bontà e la qualità, anche l'umiltà e l'educazione.
Passo indietro del Sun: Napoli non è più tra le 10 città più pericolose del mondo
Il tabloid inglese ci ripensa e toglie Napoli dalla mappa delle 10 città più pericolose al mondo.
In vista dell'estate, forse nel maldestro tentativo di dare qualche suggerimento circa le mete turistiche consigliate o meno, o cercando di trovare nuovi argomenti per riempire pagine che altrimenti sarebbero restate (meglio) vuote, i giornalisti del Sun, l'11 luglio, se ne sono usciti con la pubblicazione di una mappa delle 10 città più pericolose al mondo. I dipendenti del tabloid inglese, di proprietà del magnate Rupert Murdoch, che sforna qualcosa come 1,7 milioni di copie, hanno pensato bene di inserire pure Napoli in questa arbitraria classifica da loro redatta.
Apriti cielo! Giustamente! La risposta non si è fatta attendere ed immediatamente l'Ambasciata italiana a Londra ha replicato aprendo un hastag "Fakenews" per rimarcare che Napoli "non è inserita in nessuna lista ufficiale delle 50 città più pericolose al mondo".
È sicuramente una megalopoli sovraffollata e quindi porta con sé tutti i pro e i contro di questa condizione, ma chi l'ha vissuta, l'ha visitata, o c'è stato solo di passaggio capisce benissimo che è una città né più ne meno pericolosa di tante altre città sovrappopolate dell'Italia e del resto del mondo intero. È particolare, caotica e colorata ma da tempo, molto da prima pure della giunta De Magistris che gli stereotipi e i pregiudizi circa questa città sono e sono rimasti solo tali. Infondati. Ed ingiustificabili.
Quindi, grandissima gaffe per il Sun che questo weekend ha dovuto ripubblicare la mappa aggiornata, togliendo definitivamente la città partenopea. Napoli non compare più nella lista stilata in base a vari fattori di pericolosità, dal terrorismo alla droga, dalla guerra alle mafie e bande criminali, dalle violazioni dei diritti umani alle violenze razziste.
Vien da sé che poco centra la nostra città con questo marasma di variabili. Il giornale aveva considerato Napoli la città più pericolsa dell'Europa occidentale, in una mappa che includeva città come Raqqa (in Siria, roccaforte e capitale del Califfato Isis), Mogadiscio, Caracas e Grozny (Cecenia).
La smentita sotto forma di pubblicazione di una nuova mappa, è davvero il minimo che il Sun abbia fatto. Sinceramente si attendono chiare e forti scuse per una città, come quella di Napoli, di cui non può parlare se non la conosci.
In vista dell'estate, forse nel maldestro tentativo di dare qualche suggerimento circa le mete turistiche consigliate o meno, o cercando di trovare nuovi argomenti per riempire pagine che altrimenti sarebbero restate (meglio) vuote, i giornalisti del Sun, l'11 luglio, se ne sono usciti con la pubblicazione di una mappa delle 10 città più pericolose al mondo. I dipendenti del tabloid inglese, di proprietà del magnate Rupert Murdoch, che sforna qualcosa come 1,7 milioni di copie, hanno pensato bene di inserire pure Napoli in questa arbitraria classifica da loro redatta.
Apriti cielo! Giustamente! La risposta non si è fatta attendere ed immediatamente l'Ambasciata italiana a Londra ha replicato aprendo un hastag "Fakenews" per rimarcare che Napoli "non è inserita in nessuna lista ufficiale delle 50 città più pericolose al mondo".
È sicuramente una megalopoli sovraffollata e quindi porta con sé tutti i pro e i contro di questa condizione, ma chi l'ha vissuta, l'ha visitata, o c'è stato solo di passaggio capisce benissimo che è una città né più ne meno pericolosa di tante altre città sovrappopolate dell'Italia e del resto del mondo intero. È particolare, caotica e colorata ma da tempo, molto da prima pure della giunta De Magistris che gli stereotipi e i pregiudizi circa questa città sono e sono rimasti solo tali. Infondati. Ed ingiustificabili.
Quindi, grandissima gaffe per il Sun che questo weekend ha dovuto ripubblicare la mappa aggiornata, togliendo definitivamente la città partenopea. Napoli non compare più nella lista stilata in base a vari fattori di pericolosità, dal terrorismo alla droga, dalla guerra alle mafie e bande criminali, dalle violazioni dei diritti umani alle violenze razziste.
Vien da sé che poco centra la nostra città con questo marasma di variabili. Il giornale aveva considerato Napoli la città più pericolsa dell'Europa occidentale, in una mappa che includeva città come Raqqa (in Siria, roccaforte e capitale del Califfato Isis), Mogadiscio, Caracas e Grozny (Cecenia).
La smentita sotto forma di pubblicazione di una nuova mappa, è davvero il minimo che il Sun abbia fatto. Sinceramente si attendono chiare e forti scuse per una città, come quella di Napoli, di cui non può parlare se non la conosci.
domenica 23 luglio 2017
A Holy Island, le barche diventano abitazioni
Esiste un'isoletta popolata da un villaggio di pescatori dove le barche capovolte diventano capanni.
In realtà, si chiama Lindisforme ed è una piccola isola inglese collegata alla terraferma da un lembo di asfalto. È meglio conosciuta come l'Isola Santa, Holy Island appunto, ed arricchisce la contea di Northumberland, situata nell'estremo nord dell'Inghilterra. La rendono viva un centinaio di anime che ne accrescono e curano il misterioso fascino.
Gli abitanti sono soprattutto pescatori. Loro ben conoscono l'arte dell'ingegno e del riciclaggio, tramandata lì, come risposta evolutiva per la sopravvivenza, da generazione in generazione e quando le vecchie barche devono essere ormai ritirate dal mare, loro le trasformano in capanni. Conferendo così, al paesaggio un aspetto ancor più particolare.
Le chiglie vengono rivolte al cielo, poi le piccole imbarcazioni vengono ricoperte e rese impermeabili con il catrame per accogliere gli attrezzi necessari per la pesca. Quando il visitatore approda su quest'isola si trova dinanzi ad un paesaggio davvero unico nel suo genere. Un'isola verde incorniciata dal mare che ne disegna i confini. Il silenzio che avvolge la costa puntellata di barche capovolte, creando un atmosfera suggestiva, quasi magica.
È singolare come da civiltà così lontane e particolari arrivino testimonianze dell'incredibile ingegno dell'uomo.
In realtà, si chiama Lindisforme ed è una piccola isola inglese collegata alla terraferma da un lembo di asfalto. È meglio conosciuta come l'Isola Santa, Holy Island appunto, ed arricchisce la contea di Northumberland, situata nell'estremo nord dell'Inghilterra. La rendono viva un centinaio di anime che ne accrescono e curano il misterioso fascino.
Gli abitanti sono soprattutto pescatori. Loro ben conoscono l'arte dell'ingegno e del riciclaggio, tramandata lì, come risposta evolutiva per la sopravvivenza, da generazione in generazione e quando le vecchie barche devono essere ormai ritirate dal mare, loro le trasformano in capanni. Conferendo così, al paesaggio un aspetto ancor più particolare.
Le chiglie vengono rivolte al cielo, poi le piccole imbarcazioni vengono ricoperte e rese impermeabili con il catrame per accogliere gli attrezzi necessari per la pesca. Quando il visitatore approda su quest'isola si trova dinanzi ad un paesaggio davvero unico nel suo genere. Un'isola verde incorniciata dal mare che ne disegna i confini. Il silenzio che avvolge la costa puntellata di barche capovolte, creando un atmosfera suggestiva, quasi magica.
È singolare come da civiltà così lontane e particolari arrivino testimonianze dell'incredibile ingegno dell'uomo.
I single spaventano la Cina
In Cina, gli adulti non sposati sono almeno 200 milioni e per ovviare alla "questione" scende in campo addirittura il Partito.
Quando sei single, come se non bastasse la mortificante domanda "Sei fidanzato/a?", le pressioni di parenti, amici e genitori, la proclamazione dell'intero album delle domande indesiderate e tutti che si ergono ad espertoni nel dare consigli; per i single cinesi è sceso in campo addirittura il Partito Comunista. Deciso ad aiutare i giovani cinesi a trovare l'anima gemella.
He Junke, dirigente della Lega per la Gioventù Comunista ha dichiarato che Pechino vuole risolvere il problema degli appuntamenti romantici e dello scarso numero di matrimoni. Per questo, la Lega della Gioventù Comunista organizzerà eventi per promuovere occasioni d'incontri e di usare i media per arginare l'immagine negativa del matrimonio.
In effetti, questa macchina informativa non proprio a favore dei single, è cominciata già da qualche anno. Lì giornali e tv hanno intrapreso una campagna per far aumentare il numero di matrimoni tra i giovani, coniando termini dispregiativi come " sheng-nu", letteralmente "donna di scarto", per descrivere una ragazza che ha superato i 27 anni ed è ancora single. Sebbene per diverse decadi in Cina si sia imposta la politica del figlio unico per limitare le nascite, oggi si spinge da tutt'altra parte.
Dal 2016 Pechino ha optato per la politica di due figli per coppia, e in alcune aree rurali è stato necessario imporre incentivi per spronarli a procreare. I risultati sono stati però piuttosto deludenti, sul portale Zhaopin è apparso un sondaggio che rivela che due terzi delle donne che lavora e che già ha un figlio, non ne vuole un secondo. In gran parte delle megalopoli cinesi l'alto costo delle spese per l'istruzione, i lunghi orari di lavoro e l'assenza di un sistema di welfare divengono un forte deterrente per la donna a diventare mogli e madri troppo presto.
Qualche anno fa, l'età media in Cina, per il matrimonio era di 26 anni. Oggi, invece, soprattutto nelle grandi città, i giovani non vogliono sentir parlare di matrimonio fino ai 30 anni. In questo Paese ci sono 200 milioni di adulti single, pari al 14,6% della popolazione. Il matrimonio continua a essere un momento sacro per la maggior parte delle famiglie, così pure chi è momentaneamente single, ritarda ma non rimanda la scelta di sposarsi, magari dopo essersi realizzati professionalmente.
"Come potrei essere così egoista dal non mettere su una famiglia?" dice Zhou Mianmian, che a 28 anni non si è ancora sposata, ma che aspetta il "momento giusto". Per gli uomini è diverso. "Una casa di proprietà,un'automobile e un buon conto in banca: se non hai questi requisiti nessuna madre è disposta a dare il via libera al matrimonio della figlia", dice Bo Shenyuan arrivato single a 32 anni. All'inizio degli anni '50 Mao Zedong ha riscritto la legge e proibito, sulla carta, i matrimoni combinati. Ancora oggi però il ruolo delle famiglie nell'organizzazione dei matrimoni in Cina è piuttosto forte, nel combinare occasioni d'incontro e nel trovare un "buon partito". "In Cina il matrimonio rimane l'unione di due famiglie, non solo di due persone", chiosa Bo Shenyuan.
Ogni Paese ha una sua cultura e va rispettata, ma c'è da dire che se uno si deve sposare per forza, perché è usanza farlo, che lo fa a fare? E che evoluzione di cultura è?
Quando sei single, come se non bastasse la mortificante domanda "Sei fidanzato/a?", le pressioni di parenti, amici e genitori, la proclamazione dell'intero album delle domande indesiderate e tutti che si ergono ad espertoni nel dare consigli; per i single cinesi è sceso in campo addirittura il Partito Comunista. Deciso ad aiutare i giovani cinesi a trovare l'anima gemella.
He Junke, dirigente della Lega per la Gioventù Comunista ha dichiarato che Pechino vuole risolvere il problema degli appuntamenti romantici e dello scarso numero di matrimoni. Per questo, la Lega della Gioventù Comunista organizzerà eventi per promuovere occasioni d'incontri e di usare i media per arginare l'immagine negativa del matrimonio.
In effetti, questa macchina informativa non proprio a favore dei single, è cominciata già da qualche anno. Lì giornali e tv hanno intrapreso una campagna per far aumentare il numero di matrimoni tra i giovani, coniando termini dispregiativi come " sheng-nu", letteralmente "donna di scarto", per descrivere una ragazza che ha superato i 27 anni ed è ancora single. Sebbene per diverse decadi in Cina si sia imposta la politica del figlio unico per limitare le nascite, oggi si spinge da tutt'altra parte.
Dal 2016 Pechino ha optato per la politica di due figli per coppia, e in alcune aree rurali è stato necessario imporre incentivi per spronarli a procreare. I risultati sono stati però piuttosto deludenti, sul portale Zhaopin è apparso un sondaggio che rivela che due terzi delle donne che lavora e che già ha un figlio, non ne vuole un secondo. In gran parte delle megalopoli cinesi l'alto costo delle spese per l'istruzione, i lunghi orari di lavoro e l'assenza di un sistema di welfare divengono un forte deterrente per la donna a diventare mogli e madri troppo presto.
Qualche anno fa, l'età media in Cina, per il matrimonio era di 26 anni. Oggi, invece, soprattutto nelle grandi città, i giovani non vogliono sentir parlare di matrimonio fino ai 30 anni. In questo Paese ci sono 200 milioni di adulti single, pari al 14,6% della popolazione. Il matrimonio continua a essere un momento sacro per la maggior parte delle famiglie, così pure chi è momentaneamente single, ritarda ma non rimanda la scelta di sposarsi, magari dopo essersi realizzati professionalmente.
"Come potrei essere così egoista dal non mettere su una famiglia?" dice Zhou Mianmian, che a 28 anni non si è ancora sposata, ma che aspetta il "momento giusto". Per gli uomini è diverso. "Una casa di proprietà,un'automobile e un buon conto in banca: se non hai questi requisiti nessuna madre è disposta a dare il via libera al matrimonio della figlia", dice Bo Shenyuan arrivato single a 32 anni. All'inizio degli anni '50 Mao Zedong ha riscritto la legge e proibito, sulla carta, i matrimoni combinati. Ancora oggi però il ruolo delle famiglie nell'organizzazione dei matrimoni in Cina è piuttosto forte, nel combinare occasioni d'incontro e nel trovare un "buon partito". "In Cina il matrimonio rimane l'unione di due famiglie, non solo di due persone", chiosa Bo Shenyuan.
Ogni Paese ha una sua cultura e va rispettata, ma c'è da dire che se uno si deve sposare per forza, perché è usanza farlo, che lo fa a fare? E che evoluzione di cultura è?
sabato 22 luglio 2017
Buon 30° compleanno Ferrari F40
Per il suo debutto ne furono realizzati 1337 esemplari. Fu l'antesignana delle "hypecar", pesava poco più di 1100 kg a fronte di 470 cv di potenza.
Un anno pieno di ricorrenze questo in corso, per casa Ferrari. Dopo aver ufficialmente cominciato a Marzo i festeggiamenti dei 70 anni dalla nascita del marchio automobilistico con il cavallino rampante, oggi si festeggia pure il 30° compleanno della leggendaria Ferrari F40, nata per celebrare il 40° anniversario della scuderia.
Per gli appassionati sembra ieri , ma ne è passato di tempo da quando fu presentata per la prima volta al Centro Civico di Maranello: attuale Museo Ferrari. Ernesto Bonfiglioli, Responsabile Progetti speciali e allora responsabile di motori sovralimentati ricorda:" Non ho mai vissuto una presentazione come quella della F40. Quando fu tolto il telo dalla vettura, la sala fu percorsa da un brusio seguito da un fragoroso applauso. Nessuno, se non gli stretti collaboratori di Enzo Ferrari, l'aveva ancora vista. L'iter di sviluppo e sperimentazione era stato avvolto infatti da una segretezza insolita all'interno dell'azienda. E la sorpresa per un simile salto stilistico fu quasi uno shock. Insolita fu anche la tempistica del progetto, che nell'arco brevissimo di 13 mesi vide telaio e carrozzeria progredire rapidamente e di pari passo con il motopropulsore".
Quando nacque la F40 era la massima espressione della capacità dei tecnici di Maranello, un'icona. Alcune sue caratteristiche sono state poi riprese in altri gioiellini come la F50, la Enzo e LaFerrari. Pensata per sostituire la 288GTO (e del suo prototipo da corsa poi tramutato in auto-laboratorio, la 288GTO Evoluzione, un mostro da 650 cv di potenza).
Per qualche anno fu l'automobile stradale più veloce del mondo, poteva raggiungere una velocità di 324 km/h. Grazie anche al motore, tramandato poi nella produzione attuale, V8 2.910biturbo, l'ultimo sovralimentato ad essere prodotto fino al 2014, quando poi è subentrata la Ferrari California T che ha riportato il turbo del cofano alle Rosse.
Una furia della strada con un peso inferiore ai 1115 kg. Oggi la F40 è esposta al Museo Ferrari di Maranello per la mostra "Under the Skin" pensata per rendere omaggio ai 70 anni di innovazione, stile e storia della casa. Un'innovazione a cui la F40 ha dato sicuramente una forte spinta grazie anche alle sue forme aerodinamiche.
Tanti auguri a questo gioiellino automobilistico che con il suo innovativo ed elegante stile ha aperto le porte ad altre e continuee idee nella casa del Cavallino Rampante.
Un anno pieno di ricorrenze questo in corso, per casa Ferrari. Dopo aver ufficialmente cominciato a Marzo i festeggiamenti dei 70 anni dalla nascita del marchio automobilistico con il cavallino rampante, oggi si festeggia pure il 30° compleanno della leggendaria Ferrari F40, nata per celebrare il 40° anniversario della scuderia.
Per gli appassionati sembra ieri , ma ne è passato di tempo da quando fu presentata per la prima volta al Centro Civico di Maranello: attuale Museo Ferrari. Ernesto Bonfiglioli, Responsabile Progetti speciali e allora responsabile di motori sovralimentati ricorda:" Non ho mai vissuto una presentazione come quella della F40. Quando fu tolto il telo dalla vettura, la sala fu percorsa da un brusio seguito da un fragoroso applauso. Nessuno, se non gli stretti collaboratori di Enzo Ferrari, l'aveva ancora vista. L'iter di sviluppo e sperimentazione era stato avvolto infatti da una segretezza insolita all'interno dell'azienda. E la sorpresa per un simile salto stilistico fu quasi uno shock. Insolita fu anche la tempistica del progetto, che nell'arco brevissimo di 13 mesi vide telaio e carrozzeria progredire rapidamente e di pari passo con il motopropulsore".
Quando nacque la F40 era la massima espressione della capacità dei tecnici di Maranello, un'icona. Alcune sue caratteristiche sono state poi riprese in altri gioiellini come la F50, la Enzo e LaFerrari. Pensata per sostituire la 288GTO (e del suo prototipo da corsa poi tramutato in auto-laboratorio, la 288GTO Evoluzione, un mostro da 650 cv di potenza).
Per qualche anno fu l'automobile stradale più veloce del mondo, poteva raggiungere una velocità di 324 km/h. Grazie anche al motore, tramandato poi nella produzione attuale, V8 2.910biturbo, l'ultimo sovralimentato ad essere prodotto fino al 2014, quando poi è subentrata la Ferrari California T che ha riportato il turbo del cofano alle Rosse.
Una furia della strada con un peso inferiore ai 1115 kg. Oggi la F40 è esposta al Museo Ferrari di Maranello per la mostra "Under the Skin" pensata per rendere omaggio ai 70 anni di innovazione, stile e storia della casa. Un'innovazione a cui la F40 ha dato sicuramente una forte spinta grazie anche alle sue forme aerodinamiche.
Tanti auguri a questo gioiellino automobilistico che con il suo innovativo ed elegante stile ha aperto le porte ad altre e continuee idee nella casa del Cavallino Rampante.
Sua maestà la bistecca!
Gli italiani si riscoprono innamorati della bistecca. I dati parlano del +52% dei consumi in 15 anni.
I piaceri della carne. Una tentazione a cui non si può resistere. Coldiretti annuncia che gli italiani si riscoprono innamorati della carne, dalla chianina alla piemontese, anche poca purché buona. In particolare, il boom è per la bistecca. Negli ultimi 15 anni, i consumi sono aumentati del 52%.
È l'ingrediente irrinunciabile nello street food, nelle hamburgherie, fino alla carta delle carni nei menù dei ristoranti. La bistecca spopola, ma non di una qualità qualunque, gli italiani hanno imparato ad apprezzare le storiche razze nazionali che dopo aver rischiato l'estinzione, sono tornate a ripopolare le campagne. Un alimento che risponde alla crescente domanda di qualità e di garanzia dell'origine.
Questo quadro è stato stilato da un'analisi di Coldiretti e presentata in occasione dell'indagine "Il popolo dei No Vegan", rifacendosi anche al recente riconoscimento comunitario Igp ai "Vitelloni Piemontesi della Coscia". Ma in Italia, sono tantissime le razze nazionali di qualità, per un totale di 415 mila capi allevati, di cui la piemontese ha più diffusione con 276 mila animali, la marchigiana con oltre 51 mila unità, la chianina con 45 mila, la romagnola con 12 mila, la maremmana con 10 mila e la podolica con 32 mila.
Un patrimonio consolidato soprattutto grazie alla passione e l'impegno e le iniziative di valorizzazione attuate dagli allevatori, conforme di alimentazione controllata, disciplinari e allevamento restrittivi e sistemi di rintracciabilità elettronica.
Così l'Italia ha da offrire e mette sul mercato un'ampia gamma di carne paesana di qualità, dalla macelleria, al supermercato, al ristorante dove la conoscenza delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi delle razze è diventato un valore aggiunto.
Una pesante sferzata verso la qualità. Le stime dicono: il 45% degli italiani privilegia la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% opta per carni locali, il 20% sceglie quella con marchio Dop, Igp o con altre certificazioni di origine. Il presidente della Coldiretti Roberto Monalvo ricorda che arriva anche la carne bovina dall'estero, circa il 20%, ma non ha il valore aggiunto della sicurezza e della sostenibilità garantita dall'italianità.
Che sia cotta o che sia al sangue, la bistecca è ottima e quella nostrana fa pure bene!
I piaceri della carne. Una tentazione a cui non si può resistere. Coldiretti annuncia che gli italiani si riscoprono innamorati della carne, dalla chianina alla piemontese, anche poca purché buona. In particolare, il boom è per la bistecca. Negli ultimi 15 anni, i consumi sono aumentati del 52%.
È l'ingrediente irrinunciabile nello street food, nelle hamburgherie, fino alla carta delle carni nei menù dei ristoranti. La bistecca spopola, ma non di una qualità qualunque, gli italiani hanno imparato ad apprezzare le storiche razze nazionali che dopo aver rischiato l'estinzione, sono tornate a ripopolare le campagne. Un alimento che risponde alla crescente domanda di qualità e di garanzia dell'origine.
Questo quadro è stato stilato da un'analisi di Coldiretti e presentata in occasione dell'indagine "Il popolo dei No Vegan", rifacendosi anche al recente riconoscimento comunitario Igp ai "Vitelloni Piemontesi della Coscia". Ma in Italia, sono tantissime le razze nazionali di qualità, per un totale di 415 mila capi allevati, di cui la piemontese ha più diffusione con 276 mila animali, la marchigiana con oltre 51 mila unità, la chianina con 45 mila, la romagnola con 12 mila, la maremmana con 10 mila e la podolica con 32 mila.
Un patrimonio consolidato soprattutto grazie alla passione e l'impegno e le iniziative di valorizzazione attuate dagli allevatori, conforme di alimentazione controllata, disciplinari e allevamento restrittivi e sistemi di rintracciabilità elettronica.
Così l'Italia ha da offrire e mette sul mercato un'ampia gamma di carne paesana di qualità, dalla macelleria, al supermercato, al ristorante dove la conoscenza delle caratteristiche specifiche dei diversi tipi delle razze è diventato un valore aggiunto.
Una pesante sferzata verso la qualità. Le stime dicono: il 45% degli italiani privilegia la carne proveniente da allevamenti italiani, il 29% opta per carni locali, il 20% sceglie quella con marchio Dop, Igp o con altre certificazioni di origine. Il presidente della Coldiretti Roberto Monalvo ricorda che arriva anche la carne bovina dall'estero, circa il 20%, ma non ha il valore aggiunto della sicurezza e della sostenibilità garantita dall'italianità.
Che sia cotta o che sia al sangue, la bistecca è ottima e quella nostrana fa pure bene!
venerdì 21 luglio 2017
In Italia spopola l'hoverboard
Mezzo milione di italiani sulle ruote elettriche, se ne vendono 50 mila al mese. Da 199 euro a salire e rigorosamente appartenenti ad un brand.
Gli italiani sono innamorati pazzi degli hoverboard, gli skateboard elettrici a due ruote. È il gadget dell'anno, tanto che le stime parlano di oltre cinquantamila esemplari venduti ogni mese. I grandi rivenditori non possono che essere soddisfatti, gli affari vanno a gonfie vele e Rosario Carro di Go!Smart proclama:"Il mercato italiano potrebbe arrivare al milione di pezzi venduti entro Natale. Ce ne sono già almeno la metà. Un hoverboard costa da 199 euro in su, e il business si aggira sugli 8 milioni al mese, cento all'anno, solo in Italia".
La passione per questi skateboard elettrici potrebbe essere spiegata come un'evoluzione del mito delle due ruote. Oggi si cerca l'esperienza del viaggio su piccole ruote elettriche ed ecologiche sia esso uno skateboard orizzontale, verticale e a batteria. Guidarne uno è un po' come amplificare le capacità del nostro corpo, l'hoverboard diventa quasi un'estensione fisica, si muove seguendo l'inclinazione e il bilanciamento del pilota, la sensazione è quella di planare fluidi sulla strada.
La richiesta sul mercato di piccoli mezzi elettrici personali, è talmente ampia che sono sorte pure: le ruote elettriche "mono" e "bi", i monopattini, il segway, la "biga" 2.0. Tutti mezzi moderni che possono correre a 10 km/h, vietati però nelle carreggiate stradali. Anche se ormai si vedono sfrecciare persone su questi trabiccoli un po' dovunque. La moda è esplosa negli States due anni fa, d'allora è dilagata nel resto del mondo, fino ad arrivare in Italia. Dove sta spopolando.
Nel nostro Paese però, i marchi riconosciuti vendono solo prodotti certificati. È sconsigliato per un fattore di sicurezza i no-brand anche se più economici. Anche perché già per guidarne uno ben prodotto, comunque serve una certa destrezza. Bisogna avere equilibrio e capacità di controllo muscolare. Altrimenti è un attimo e ci si ritrova per terra con le ginocchia sbucciate.
Se con qualche lieve e doveroso accorgimento, gli italiani comunque non rinunciano a questo gioiellino. La passione per le due ruote elettriche dell'hoverboard per il momento è nel pieno della sua vampata e non accenna a smettere. D'altronde è un modo ecologico per unire la serenità di una passeggiata al disimpegno di un mezzo elettrico che ci solleva dalla fatica.
Gli italiani sono innamorati pazzi degli hoverboard, gli skateboard elettrici a due ruote. È il gadget dell'anno, tanto che le stime parlano di oltre cinquantamila esemplari venduti ogni mese. I grandi rivenditori non possono che essere soddisfatti, gli affari vanno a gonfie vele e Rosario Carro di Go!Smart proclama:"Il mercato italiano potrebbe arrivare al milione di pezzi venduti entro Natale. Ce ne sono già almeno la metà. Un hoverboard costa da 199 euro in su, e il business si aggira sugli 8 milioni al mese, cento all'anno, solo in Italia".
La passione per questi skateboard elettrici potrebbe essere spiegata come un'evoluzione del mito delle due ruote. Oggi si cerca l'esperienza del viaggio su piccole ruote elettriche ed ecologiche sia esso uno skateboard orizzontale, verticale e a batteria. Guidarne uno è un po' come amplificare le capacità del nostro corpo, l'hoverboard diventa quasi un'estensione fisica, si muove seguendo l'inclinazione e il bilanciamento del pilota, la sensazione è quella di planare fluidi sulla strada.
La richiesta sul mercato di piccoli mezzi elettrici personali, è talmente ampia che sono sorte pure: le ruote elettriche "mono" e "bi", i monopattini, il segway, la "biga" 2.0. Tutti mezzi moderni che possono correre a 10 km/h, vietati però nelle carreggiate stradali. Anche se ormai si vedono sfrecciare persone su questi trabiccoli un po' dovunque. La moda è esplosa negli States due anni fa, d'allora è dilagata nel resto del mondo, fino ad arrivare in Italia. Dove sta spopolando.
Nel nostro Paese però, i marchi riconosciuti vendono solo prodotti certificati. È sconsigliato per un fattore di sicurezza i no-brand anche se più economici. Anche perché già per guidarne uno ben prodotto, comunque serve una certa destrezza. Bisogna avere equilibrio e capacità di controllo muscolare. Altrimenti è un attimo e ci si ritrova per terra con le ginocchia sbucciate.
Se con qualche lieve e doveroso accorgimento, gli italiani comunque non rinunciano a questo gioiellino. La passione per le due ruote elettriche dell'hoverboard per il momento è nel pieno della sua vampata e non accenna a smettere. D'altronde è un modo ecologico per unire la serenità di una passeggiata al disimpegno di un mezzo elettrico che ci solleva dalla fatica.
Quando mangiamo siamo come i fuochi d'artificio
È scientificamente provato. Quando assumiamo cibo, nel nostro organismo avviene lo stesso processo che si innesca con la polvere pirica.
E non pensate subito ai fagioli! Qualsiasi cosa si mangi, siamo tutti tipi esplosivi. I fuochi d'artificio e il nostro corpo utilizzano lo stesso processo chimico per produrre energia. Per la scienza noi siamo fuochi d'artificio. Si sono presi la briga di analizzare questo quantomeno curioso fenomeno, quelli di Network Npr nella video rubrica Skunk bear.
Sono partiti proprio dal 4 Luglio, giorno dell'Indipendenza americana, in cui negli States, si fa grande festa appunto. A base di tanti, tantissimi fuochi d'artificio e tanto, tantissimo cibo consumato magari in lauti banchetti in compagnia. In questo giorno, uno dei piatti tipici più consumati è l'hotdog.
E non pensate subito ai fagioli! Qualsiasi cosa si mangi, siamo tutti tipi esplosivi. I fuochi d'artificio e il nostro corpo utilizzano lo stesso processo chimico per produrre energia. Per la scienza noi siamo fuochi d'artificio. Si sono presi la briga di analizzare questo quantomeno curioso fenomeno, quelli di Network Npr nella video rubrica Skunk bear.
Sono partiti proprio dal 4 Luglio, giorno dell'Indipendenza americana, in cui negli States, si fa grande festa appunto. A base di tanti, tantissimi fuochi d'artificio e tanto, tantissimo cibo consumato magari in lauti banchetti in compagnia. In questo giorno, uno dei piatti tipici più consumati è l'hotdog.
Quindi si è preso in considerazione ciò che avviene quando si incamera un hotdog. La stessa quantità di potenziale energia contenuta dalla polvere pirica è infatti quella che si può trovare in un panino ben imbottito.
Skunk bear ha fatto un parallelismo tra i fuochi artificiali che abbelliscono i cieli in quel giorno e cosa succede in un umano quando mangia un panino.
I fuochi d'artificio sono degli esplosivi composti da polvere pirica e elementi chimici come i nitrati ed altri. La polvere è sostanzialmente l'insieme di atomi di carbonio: quando viene combinato con l'ossigeno contenuto dagli elementi chimici in forma solida e brucia, quello che viene rilasciato durante la combustione è CO2, anidride carbonica.
I fuochi d'artificio sono degli esplosivi composti da polvere pirica e elementi chimici come i nitrati ed altri. La polvere è sostanzialmente l'insieme di atomi di carbonio: quando viene combinato con l'ossigeno contenuto dagli elementi chimici in forma solida e brucia, quello che viene rilasciato durante la combustione è CO2, anidride carbonica.
Così viene prodotta l'energia in grado di generare gli splendidi fuochi che a seconda dell'intensità della combustione e degli elementi chimici di cui sono fatti possono variare di forma, colore ed effetto luminoso.
Con la polvera piretica questo processo avviene molto velocemente, in pochi secondi e in tale lasso di tempo viene pure rilasciata tutta l'energia. Mentre, più lentamente e con effetti meno esplosivi, la stessa medesima reazione avviene nel nostro organismo.
Con la polvera piretica questo processo avviene molto velocemente, in pochi secondi e in tale lasso di tempo viene pure rilasciata tutta l'energia. Mentre, più lentamente e con effetti meno esplosivi, la stessa medesima reazione avviene nel nostro organismo.
L'esplosione di un singolo fuoco contiene infatti la stessa quantità di energia, nel processo chimico, sviluppata nel nostro corpo, che è pari a quello di un hot dog. Anche questo panino è pieno di atomi di carbonio e anche in questo caso il processo richiede ossigeno.
Con l'ossigeno che respiriamo avviene la combustione e quello che rilasciamo è anidride carbonica. Proprio come accade per gli esplosivi anche qui si produce calore (anche se in diverse proporzioni). "Ed esattamente come per i fuochi, questo processo produce energia".
Pensare che quando ci perdiamo, assorti nel guardare lo splendido spettacolo che i fuochi d'artificio disegnano nel cielo, stiamo assistendo allo stesso spettacolo che, di certo più lentamente, sta avvenendo nel nostro corpo. Dopo aver mangiato.
Con l'ossigeno che respiriamo avviene la combustione e quello che rilasciamo è anidride carbonica. Proprio come accade per gli esplosivi anche qui si produce calore (anche se in diverse proporzioni). "Ed esattamente come per i fuochi, questo processo produce energia".
Pensare che quando ci perdiamo, assorti nel guardare lo splendido spettacolo che i fuochi d'artificio disegnano nel cielo, stiamo assistendo allo stesso spettacolo che, di certo più lentamente, sta avvenendo nel nostro corpo. Dopo aver mangiato.
giovedì 20 luglio 2017
Perché mangiare poco non fa dimagrire
Il cervello brucia i grassi in base alle calorie che incameriamo, anche se riduciamo le quantità di cibo non riusciamo a dimagrire quanto vorremmo.
Quante volte è capitato di sentir dire o pensare noi stessi:"mangio poco eppure non dimagrisco!" C'è da crederci. Uno studio spiega il perché anche se riduciamo le quantità di cibo non si riesce a dimagrire. La responsabilità è nel cervello.
Verrebbe da dire che non sempre quando il cervello funziona troppo, aiuta. Almeno non in questo caso, quando mangiamo poco il cervello decide quanti grassi bruciare in relazione alle calorie che consumiamo. Nell'organismo privato del "carburante" di cui avrebbe bisogno si innesca uno strano meccanismo per cui non riusciamo a perdere peso quanto vorremmo, solo mangiando di meno.
I ricercatori della University of Cambridge si sono interessati al fenomeno e ne hanno fatto oggetto di ricerca nel loro studio intitolato:" mTORC1 in AGRP neurons integrates exteroceptive and interoceptive food-related cues in the modulation of adaptive energy expenditure in mice". La ricerca è stata condotta sperimentalmente sui topi ed è stata pubblicata su eLife.
A tutti capita che quando si vuole perdere peso, solitamente la cosa più ovvia che si fa è cercare di ridurre le calorie ingerite, mettendosi a dieta. Però, spesso per dieta si intende, erroneamente, meno cibo quando si dovrebbe scegliere più correttamente un regime alimentare completo ed equilibrato. Anche per questo si osserva che dopo una prima fase di riduzione degli alimenti che porta al dimagrimento poi ne segue un'altra di stasi. Il peso non si smuove più.
Bene. I ricercatori hanno analizzato il cervello dei topi e hanno scoperto che ad impedire al nostro organismo di continuare a perdere peso è un meccanismo specifico regolato dai neuroni "AGRP" che gestiscono l'appetito e che quando sono attivi ci fanno mangiare, mentre quando sono completamente inibiti possono portarci all'anoressia.
Oggetto di studio è stata l'analisi di questi neuroni, si è visto che quando mangiamo sono attivi, ma quando non introduciamo cibo nel nostro corpo, modifichiamo il loro comportamento facendoci risparmiare energia e limitando quindi le calorie da bruciare. Questa è la spiegazione del perché non si perde peso. Per questo vale sempre la regola che per dimagrire si deve seguire una dieta sana ed equilibrata e praticare sport.
Inoltre, ironicamente, aggiungerei che se proprio dobbiamo avere qualche chilo di più, forse, è sintomo del possesso di un cervello che funziona più di quello degli altri.
Quante volte è capitato di sentir dire o pensare noi stessi:"mangio poco eppure non dimagrisco!" C'è da crederci. Uno studio spiega il perché anche se riduciamo le quantità di cibo non si riesce a dimagrire. La responsabilità è nel cervello.
Verrebbe da dire che non sempre quando il cervello funziona troppo, aiuta. Almeno non in questo caso, quando mangiamo poco il cervello decide quanti grassi bruciare in relazione alle calorie che consumiamo. Nell'organismo privato del "carburante" di cui avrebbe bisogno si innesca uno strano meccanismo per cui non riusciamo a perdere peso quanto vorremmo, solo mangiando di meno.
I ricercatori della University of Cambridge si sono interessati al fenomeno e ne hanno fatto oggetto di ricerca nel loro studio intitolato:" mTORC1 in AGRP neurons integrates exteroceptive and interoceptive food-related cues in the modulation of adaptive energy expenditure in mice". La ricerca è stata condotta sperimentalmente sui topi ed è stata pubblicata su eLife.
A tutti capita che quando si vuole perdere peso, solitamente la cosa più ovvia che si fa è cercare di ridurre le calorie ingerite, mettendosi a dieta. Però, spesso per dieta si intende, erroneamente, meno cibo quando si dovrebbe scegliere più correttamente un regime alimentare completo ed equilibrato. Anche per questo si osserva che dopo una prima fase di riduzione degli alimenti che porta al dimagrimento poi ne segue un'altra di stasi. Il peso non si smuove più.
Bene. I ricercatori hanno analizzato il cervello dei topi e hanno scoperto che ad impedire al nostro organismo di continuare a perdere peso è un meccanismo specifico regolato dai neuroni "AGRP" che gestiscono l'appetito e che quando sono attivi ci fanno mangiare, mentre quando sono completamente inibiti possono portarci all'anoressia.
Oggetto di studio è stata l'analisi di questi neuroni, si è visto che quando mangiamo sono attivi, ma quando non introduciamo cibo nel nostro corpo, modifichiamo il loro comportamento facendoci risparmiare energia e limitando quindi le calorie da bruciare. Questa è la spiegazione del perché non si perde peso. Per questo vale sempre la regola che per dimagrire si deve seguire una dieta sana ed equilibrata e praticare sport.
Inoltre, ironicamente, aggiungerei che se proprio dobbiamo avere qualche chilo di più, forse, è sintomo del possesso di un cervello che funziona più di quello degli altri.
Esiste anche il gusto per l'acqua
Incredibile. Eppure esiste anche il gusto per l'acqua. Lo ha scoperto un'equipe di neuroscienziati del California Institute of Technology, sulla lingua sono presenti dei recettori sensibili al gusto dell'acqua.
Chi ha ritenuto che le acque fossero tutte uguali e che essa fosse un liquido insapore, si dovrà ricredere. Oltre ad essere "utile et humile et pretiosa et casta", l'acqua è anche saporita. Dopo i gusti di: dolce, salato, amaro, acido, grasso, esiste il sesto gusto dell'acqua. Lo afferma un recente studio condotto dal California Institute of Technology di Pasadina, che ha individuato sulla lingua dei topi dei recettori in grado di distinguere il sapore dell'acqua da quello degli altri liquidi. La rivista Nature Neuroscience riporta lo studio.
Nel mondo scientifico, il dibattito sull'esistenza o meno del gusto dell'acqua è sempre stata una questione aperta. Dall'antica Grecia è stata ritenuta "insapore", ma già dal 300 a.C. era cosa nota che alcuni animali come gli insetti e gli anfibi (e forse pure qualche mammifero) avessero delle cellule nervose nel cervello sensibili al suo "gusto".
Oggi, grazie a studi più recenti condotti con strumenti di imaging che permettono di scansionare l'attività cerebrale, hanno evidenziato che una regione della corteccia cerebrale degli esseri umani "s'accende" quando la lingua viene a contatto con l'acqua. Sebbene questo fenomeno non convince tutyi, poiché qualcuno afferma che tale riscontro possa essere dovuto a ciò che abbiamo mangiato prima di bere acqua.
Il neuroscienziato della University of California di San Francisco, Zachary Knight delucida:"Ancora si sa pochissimo sui meccanismi molecolari e cellulari che regolano la percezione dell'acqua in bocca e in gola e dei percorsi neurali che trasmettono tale segnale al cervello". Di certo, Knight e alcuni suoi colleghi anni addietro, avevano identificato una popolazione di neuroni, nell'ipotalamo, responsabile dell'invio dei segnali che indicano quando smettere di bere. L'unico tassello che rimaneva aperto è quello di comprendere come facesse il cervello a capire che si stesse bevendo acqua.
Oggi si scopre che il bene più prezioso che abbiamo sulla Terra è pure saporito o comunque esiste un sesto gusto per meglio assaporarla e apprezzarla.
Chi ha ritenuto che le acque fossero tutte uguali e che essa fosse un liquido insapore, si dovrà ricredere. Oltre ad essere "utile et humile et pretiosa et casta", l'acqua è anche saporita. Dopo i gusti di: dolce, salato, amaro, acido, grasso, esiste il sesto gusto dell'acqua. Lo afferma un recente studio condotto dal California Institute of Technology di Pasadina, che ha individuato sulla lingua dei topi dei recettori in grado di distinguere il sapore dell'acqua da quello degli altri liquidi. La rivista Nature Neuroscience riporta lo studio.
Nel mondo scientifico, il dibattito sull'esistenza o meno del gusto dell'acqua è sempre stata una questione aperta. Dall'antica Grecia è stata ritenuta "insapore", ma già dal 300 a.C. era cosa nota che alcuni animali come gli insetti e gli anfibi (e forse pure qualche mammifero) avessero delle cellule nervose nel cervello sensibili al suo "gusto".
Oggi, grazie a studi più recenti condotti con strumenti di imaging che permettono di scansionare l'attività cerebrale, hanno evidenziato che una regione della corteccia cerebrale degli esseri umani "s'accende" quando la lingua viene a contatto con l'acqua. Sebbene questo fenomeno non convince tutyi, poiché qualcuno afferma che tale riscontro possa essere dovuto a ciò che abbiamo mangiato prima di bere acqua.
Il neuroscienziato della University of California di San Francisco, Zachary Knight delucida:"Ancora si sa pochissimo sui meccanismi molecolari e cellulari che regolano la percezione dell'acqua in bocca e in gola e dei percorsi neurali che trasmettono tale segnale al cervello". Di certo, Knight e alcuni suoi colleghi anni addietro, avevano identificato una popolazione di neuroni, nell'ipotalamo, responsabile dell'invio dei segnali che indicano quando smettere di bere. L'unico tassello che rimaneva aperto è quello di comprendere come facesse il cervello a capire che si stesse bevendo acqua.
- Da qui si è partiti per la nuova ricerca. Il team di Yuki Oka, ha analizzato da vicino la lingua dei topi, "selezionando" geneticamente recettori di tipo diverso ( i cosiddetti TRC, acronimo di taste, recepto cell) per capire quali di questi rispondessero al contatto con l'acqua. Cosa particolare, i ricercatori hanno notato che i recettori responsabili del gusto acido si accendevano significativamente quando venivano toccati dall'acqua. Forse automaticamente si sono sviluppati i recettori dell'acqua vicino a quelli dell'acido per una sorta di ulteriore aiuto per la sopravvivenza.
Oggi si scopre che il bene più prezioso che abbiamo sulla Terra è pure saporito o comunque esiste un sesto gusto per meglio assaporarla e apprezzarla.
mercoledì 19 luglio 2017
Nozze andate a monte, la "sposa" offre il pranzo ai senzatetto
È accaduto in Indiana. Saltano le nozze e il ricevimento da 30 mila dollari diviene un party per i senzatetto.
Luglio non è un mese che porta bene a tutte le spose. Mentre c'è chi si perde tra preparativi faraonici, torte sontuose, damigelle, lunghi strascichi in pizzo e pranzi luculliani, c'è pure chi viene abbandonato all'altare proprio nel fatidico giorno del sì. Era già successo pochi giorni fa, in Sardegna a Nadia Murineddu, è accaduto ancora, questa volta negli Usa a Sarah Cummins.
Lei, una ragazza dell'Indiana ha ricevuto davanti all'altare il diniego del suo futuro sposo, Logan. Era tutto ormai pronto. Il ricevimento già pagato e nel lussuosissimo Ritz Charles a Carmel, fuori Indianapolis. Il servizio non sarebbe stato nemmeno rimborsato se non a costo di penali salatissime. Ma lei ha dato una lezione di vita! Ha trasformato il giorno della sua tragedia d'amore in una bellissima pagina di solidarietà. Ha offerto il pranzo ai senzatetto, 170 persone invitate a mangiare nella sala che aveva affittato per l'occasione.
Eppure Sarah, quel matrimonio, quel ricevimento l'aveva davvero sudato. Per due anni, questa bella venticinquenne ha lavorato dopo le lezioni alla facoltà di Farmacia all'Università di Purdea per mettere da parte i 30mila dollari necessari a realizzare la festa dei suoi sogni. Tutto infranto dal rifiuto del suo promesso.
Invece, Sarah dopo qualche momento di comprensibile disperazione iniziale, si è rimboccata le maniche e ha deciso di donare un momento di felicità a chi ne aveva più bisogno. Grazie all'aiuto della sua wedding planner Maddie La Dow, ha contattato diversi centri di accoglienza per homless di Indianapolis, per invitare quegli sfortunati ospiti alla festa del non-matrimonio. La non sposa ha messo a disposizione pure due autobus per accompagnare gli ospiti della comunità al ricevimento.
A chi le chiede come mai questa scelta e comunque le fa i complimenti per il coraggio dimostrato, dichiara:"Almeno c'è qualcuno che avrà bei ricordi. Ero anche molto arrabbiata per tutto quel cibo che sarebbe stato gettato nella spazzatura". Domenica, Sarah partirà pure da sola per la Repubblica Dominicana che sarebbe dovuto essere il viaggio di nozze.
In realtà, non è cosa poi così rara che un matrimonio sfumi all'ultimo momento. È diverso il modo di reagire delle persone. Anche quando sarebbe più naturale abbattersi e demoralizzarsi per il disastro accaduto, c'è chi come questa ragazza americana o come l'altra sposa mancata italiana, che invece hanno trasformato il "dolore" momentaneo in gioia (per altri), dando grandi lezioni di vita.
Luglio non è un mese che porta bene a tutte le spose. Mentre c'è chi si perde tra preparativi faraonici, torte sontuose, damigelle, lunghi strascichi in pizzo e pranzi luculliani, c'è pure chi viene abbandonato all'altare proprio nel fatidico giorno del sì. Era già successo pochi giorni fa, in Sardegna a Nadia Murineddu, è accaduto ancora, questa volta negli Usa a Sarah Cummins.
Lei, una ragazza dell'Indiana ha ricevuto davanti all'altare il diniego del suo futuro sposo, Logan. Era tutto ormai pronto. Il ricevimento già pagato e nel lussuosissimo Ritz Charles a Carmel, fuori Indianapolis. Il servizio non sarebbe stato nemmeno rimborsato se non a costo di penali salatissime. Ma lei ha dato una lezione di vita! Ha trasformato il giorno della sua tragedia d'amore in una bellissima pagina di solidarietà. Ha offerto il pranzo ai senzatetto, 170 persone invitate a mangiare nella sala che aveva affittato per l'occasione.
Eppure Sarah, quel matrimonio, quel ricevimento l'aveva davvero sudato. Per due anni, questa bella venticinquenne ha lavorato dopo le lezioni alla facoltà di Farmacia all'Università di Purdea per mettere da parte i 30mila dollari necessari a realizzare la festa dei suoi sogni. Tutto infranto dal rifiuto del suo promesso.
Invece, Sarah dopo qualche momento di comprensibile disperazione iniziale, si è rimboccata le maniche e ha deciso di donare un momento di felicità a chi ne aveva più bisogno. Grazie all'aiuto della sua wedding planner Maddie La Dow, ha contattato diversi centri di accoglienza per homless di Indianapolis, per invitare quegli sfortunati ospiti alla festa del non-matrimonio. La non sposa ha messo a disposizione pure due autobus per accompagnare gli ospiti della comunità al ricevimento.
A chi le chiede come mai questa scelta e comunque le fa i complimenti per il coraggio dimostrato, dichiara:"Almeno c'è qualcuno che avrà bei ricordi. Ero anche molto arrabbiata per tutto quel cibo che sarebbe stato gettato nella spazzatura". Domenica, Sarah partirà pure da sola per la Repubblica Dominicana che sarebbe dovuto essere il viaggio di nozze.
In realtà, non è cosa poi così rara che un matrimonio sfumi all'ultimo momento. È diverso il modo di reagire delle persone. Anche quando sarebbe più naturale abbattersi e demoralizzarsi per il disastro accaduto, c'è chi come questa ragazza americana o come l'altra sposa mancata italiana, che invece hanno trasformato il "dolore" momentaneo in gioia (per altri), dando grandi lezioni di vita.
Quando il telefonino cambia anche il nostro modo di camminare
Lo smartphone ha cambiato il nostro modo di comunicare e anche di camminare.
Lo hanno notato un po' tutti. Pure le vecchiette che sulle strisce pedonali ci guardano in modo stranito, beffandosi del modo sbilenco con cui camminiamo. Sì, perché un po' tutti ormai, pure mentre camminiamo, siamo tutti assorti a sbirciare sul telefonino. Camminiamo più lentamente e in modo distratto. Senza fare attenzione a dove e come mettiamo i piedi.
Ora, a sostenerlo c'è anche uno studio della Anglia Ruskin University, che in verità ha monitorato ciò che realmente accade ogni giorno a chiunque. I ricercatori londinesi hanno monitorato 21 persone in 252 episodi di vita in cui i soggetti dovevano camminare e, contemporaneamente, leggere messaggi, chattare o comunque usare lo smartphone.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Plus One e mostrano che quando si usa il cellulare, si guarda per terra di meno e il più delle volte per meno tempo. Inoltre, quando si scrive un messaggio, il piede "guida" è più alto del 18% e il 40% più lento.
Il dottor Matthew Tinnis, uno degli autori dello studio, commenta così quest'evidenza:"Usando lo smartphone, adattiamo il nostro stile di camminata in modo da poter affrontare gli ostacoli statici in modo sicuro. Gli incidenti sono probabilmente il risultato di oggetti che improvvisamente appaiono e di cui chi utilizza il telefono non era a conoscenza. La Cina ha già iniziato a fare percorsi pedonali con corsie speciali per coloro che utilizzano i cellulari".
Quindi, l'uso del cellulare non solo ha cambiato il nostro modo di interagire, ma anche di camminare. Sarà, che invece di adattare il mondo della tecnologia alle esigenze umane, stiamo adattando le nostre esigenze all'uso della tecnologia?
Lo hanno notato un po' tutti. Pure le vecchiette che sulle strisce pedonali ci guardano in modo stranito, beffandosi del modo sbilenco con cui camminiamo. Sì, perché un po' tutti ormai, pure mentre camminiamo, siamo tutti assorti a sbirciare sul telefonino. Camminiamo più lentamente e in modo distratto. Senza fare attenzione a dove e come mettiamo i piedi.
Ora, a sostenerlo c'è anche uno studio della Anglia Ruskin University, che in verità ha monitorato ciò che realmente accade ogni giorno a chiunque. I ricercatori londinesi hanno monitorato 21 persone in 252 episodi di vita in cui i soggetti dovevano camminare e, contemporaneamente, leggere messaggi, chattare o comunque usare lo smartphone.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Plus One e mostrano che quando si usa il cellulare, si guarda per terra di meno e il più delle volte per meno tempo. Inoltre, quando si scrive un messaggio, il piede "guida" è più alto del 18% e il 40% più lento.
Il dottor Matthew Tinnis, uno degli autori dello studio, commenta così quest'evidenza:"Usando lo smartphone, adattiamo il nostro stile di camminata in modo da poter affrontare gli ostacoli statici in modo sicuro. Gli incidenti sono probabilmente il risultato di oggetti che improvvisamente appaiono e di cui chi utilizza il telefono non era a conoscenza. La Cina ha già iniziato a fare percorsi pedonali con corsie speciali per coloro che utilizzano i cellulari".
Quindi, l'uso del cellulare non solo ha cambiato il nostro modo di interagire, ma anche di camminare. Sarà, che invece di adattare il mondo della tecnologia alle esigenze umane, stiamo adattando le nostre esigenze all'uso della tecnologia?
martedì 18 luglio 2017
Hyperloop il treno del futuro arriva in Europa
Si potrà percorrere la distanza da Londra ad Edimburgo, ben 600 chilometri, in 50 minuti. Perola di Hyperloop: il treno del futuro.
"Noi non vendiamo un sistema di trasporto, noi vendiamo il tempo". Questo è lo slogan della Hyperloop one, l'azienda di Los Angeles arrivata in Europa per promuovere il suo super treno, anzi la sua macchina del tempi. E c'è da credergli e strabuzzare gli occhi se si pensa che la distanza Madrid-Tangeri, 630 km, sarà percorsa in 50 minuti appena. Oppure per arrivare da Cagliari a Bestia,451 km, basteranno 40 minuti. Oppure recarsi a lavoro da Tallin, in Estonia, a Helsinki, in Finlandia, in 8 minuti coprendo 90 km. Un mezzo di trasporto rivoluzionario! Perché quando per 300 chilometri serve meno di mezz'ora, la media per recarsi in ufficio, cambia l' idea stessa di città. Cambia pure quella di area produttiva ed economica legata alla rete urbana.
Tutto questo è possibile grazie a Hyperloop.Promosso da Rob Lloyd già presidente della Cisco , che vide il web espandersi. Questo super treno muoverà i passi nel 2021 a Las Vegas, negli Emirati Arabi e in Olanda. E nasce dal sogno visionario di Elon Musk che nel 2013 pensò a delle capsule che viaggiano a 1000 e cento chilometri all'ora,
Sospeso grazie a dei magneti presenti all'interno di un tubo dove la densità dell' aria è molto minore rispetto a quella dell' atmosfera.
Hanno contribuito alla realizzazione del progetto le aziende Tesla e SpaceX e soprattutto la compagnia Hyperloop Transportation Technologies e Hyperloop One.Una massiccia operazione ( anche economica) per creare una nuova infrastruttura a banda larga che cambierà il modo di viaggiare delle persone.
Un tratto è stato già costruito in Nevada e a breve ci sarà la prima prova pubblica.La valutazione dei costi fa ben sperare, un terzo in meno rispetto all' alta velocità e un impatto ambientale molto ridotto, poiché è tutto elettrico. All' idea hanno aderito immediatamente gli Emirati Arabi e gli Stati Uniti. Mentre, per l' Italia i costi per creare una nuova via di comunicazione sono abbastanza proibitivi.
La macchina del tempo è stata creata. Se non altro in pochissimi minuti accorcera' la distanza tra le città e con esse i confini geografici e metaforici degli abitanti. Il futuro è già qui e con Hyperloop potremmo agevolmente viaggiarci dentro.
"Noi non vendiamo un sistema di trasporto, noi vendiamo il tempo". Questo è lo slogan della Hyperloop one, l'azienda di Los Angeles arrivata in Europa per promuovere il suo super treno, anzi la sua macchina del tempi. E c'è da credergli e strabuzzare gli occhi se si pensa che la distanza Madrid-Tangeri, 630 km, sarà percorsa in 50 minuti appena. Oppure per arrivare da Cagliari a Bestia,451 km, basteranno 40 minuti. Oppure recarsi a lavoro da Tallin, in Estonia, a Helsinki, in Finlandia, in 8 minuti coprendo 90 km. Un mezzo di trasporto rivoluzionario! Perché quando per 300 chilometri serve meno di mezz'ora, la media per recarsi in ufficio, cambia l' idea stessa di città. Cambia pure quella di area produttiva ed economica legata alla rete urbana.
Tutto questo è possibile grazie a Hyperloop.Promosso da Rob Lloyd già presidente della Cisco , che vide il web espandersi. Questo super treno muoverà i passi nel 2021 a Las Vegas, negli Emirati Arabi e in Olanda. E nasce dal sogno visionario di Elon Musk che nel 2013 pensò a delle capsule che viaggiano a 1000 e cento chilometri all'ora,
Sospeso grazie a dei magneti presenti all'interno di un tubo dove la densità dell' aria è molto minore rispetto a quella dell' atmosfera.
Hanno contribuito alla realizzazione del progetto le aziende Tesla e SpaceX e soprattutto la compagnia Hyperloop Transportation Technologies e Hyperloop One.Una massiccia operazione ( anche economica) per creare una nuova infrastruttura a banda larga che cambierà il modo di viaggiare delle persone.
Un tratto è stato già costruito in Nevada e a breve ci sarà la prima prova pubblica.La valutazione dei costi fa ben sperare, un terzo in meno rispetto all' alta velocità e un impatto ambientale molto ridotto, poiché è tutto elettrico. All' idea hanno aderito immediatamente gli Emirati Arabi e gli Stati Uniti. Mentre, per l' Italia i costi per creare una nuova via di comunicazione sono abbastanza proibitivi.
La macchina del tempo è stata creata. Se non altro in pochissimi minuti accorcera' la distanza tra le città e con esse i confini geografici e metaforici degli abitanti. Il futuro è già qui e con Hyperloop potremmo agevolmente viaggiarci dentro.
Le mani dicono quanto siamo impulsivi
Una ricerca rivela che l'autocontrollo si vede dalle mani, secondo l'Ohio State University esse possono rivelare quanto siamo bravi a rimanere concentrati su un obiettivo.
Cosa vogliamo veramente? Spesso tra quello che diciamo di volere e poi ciò che realmente facciamo c' è un abisso. Un recente studio molto interessante, rivela che a mostrare le nostre reali intenzioni, non è (solo) il viso o la postura, ma sono le mani. La decisione è del cervello, ma le nostre falangi mostrano quanto una scelta possa essere difficile. Questo è quanto affermano i ricercatori della Ohio State University che hanno studiato sulla lotta interna messa in scena in ognuno di noi quando ci troviamo di fronte ad un bivio e dobbiamo scegliere tra un obiettivo a lungo termine e una tentazione da soddisfare nell'immediato.
L'esperimento è condotto usando diversi esperimenti in grado di misurare l'autocontrollo. Sono stati coinvolti 81 studenti universitari che per ben 100 volte, hanno visionato sugli angoli opposti dello schermo di un pc due opzioni raffiguranti cibi con caratteristiche diverse: una prima (la mela) più salutistica e una seconda (un dolcino) più golosa. Il loro compito, dopo aver ricevuto l'indicazione di preferire un alimento adatto a una dieta salutare, era di utilizzare il mouse per effettuare una scelta, nel più breve tempo possibile.
Quindi, gli studenti dapprima muovevano il cursore vicino all'alternativa più golosa, quella in grado di soddisfare la gola, poi, però sceglievano il cibo obiettivamente più sano.
Cosa vogliamo veramente? Spesso tra quello che diciamo di volere e poi ciò che realmente facciamo c' è un abisso. Un recente studio molto interessante, rivela che a mostrare le nostre reali intenzioni, non è (solo) il viso o la postura, ma sono le mani. La decisione è del cervello, ma le nostre falangi mostrano quanto una scelta possa essere difficile. Questo è quanto affermano i ricercatori della Ohio State University che hanno studiato sulla lotta interna messa in scena in ognuno di noi quando ci troviamo di fronte ad un bivio e dobbiamo scegliere tra un obiettivo a lungo termine e una tentazione da soddisfare nell'immediato.
L'esperimento è condotto usando diversi esperimenti in grado di misurare l'autocontrollo. Sono stati coinvolti 81 studenti universitari che per ben 100 volte, hanno visionato sugli angoli opposti dello schermo di un pc due opzioni raffiguranti cibi con caratteristiche diverse: una prima (la mela) più salutistica e una seconda (un dolcino) più golosa. Il loro compito, dopo aver ricevuto l'indicazione di preferire un alimento adatto a una dieta salutare, era di utilizzare il mouse per effettuare una scelta, nel più breve tempo possibile.
Quindi, gli studenti dapprima muovevano il cursore vicino all'alternativa più golosa, quella in grado di soddisfare la gola, poi, però sceglievano il cibo obiettivamente più sano.
Si è visto, che alla lunga questi studenti dimostravano un autocontrollo minore di chi senza esitazioni, da subito, aveva cliccato sull'alimento più salutare.
Tra l'altro, prima che l'esperimento cominciasse, ai soggetti era stato promesso il cibo prescelto durante la sessione di test, anche se alla fine è andata diversamente e tutti hanno ottenuto una mela o un pacchetto di caramelle a seconda del loro gusti. Si è notato che chi ha scelto le caramelle aveva avvicinato molto il cursore del mouse verso il cibo salutare.
Ciò potrebbe far pensare che queste persone più inclini a cedere alle tentazioni in qualche modo hanno fallito il test dell'autocontrollo. Invece, chi con meno tentennamenti si è diretto verso l'alternativa giusta, ha dimostrato di avere self control più sviluppato.
Le mani di una persona dicono tanto di essa. Dopo questa ricerca sappiamo che indicano anche il grado d' impulsivita' o la capacità di autocontrollo che qualcuno può possedere.
Le mani di una persona dicono tanto di essa. Dopo questa ricerca sappiamo che indicano anche il grado d' impulsivita' o la capacità di autocontrollo che qualcuno può possedere.
lunedì 17 luglio 2017
Il successo di un'azienda che ha abolito gli orari fissi di lavoro
La Graphistudio ad Arba in quel di Pordenone ha 200 dipendenti, tutto funziona perfettamente senza sindacati e senza orari fissi di lavoro. Il tutto funziona con l'autorganizzazione degli impiegati.
Per un'azienda manifatturiera è un esempio del tutto nuovo. In provincia di Pordenone, ad Arba esiste una fabbrica la Graphistudio che produce album fotografici per matrimoni, i cui dipendenti si autogestiscono in termini di orari lavorativi. E non stiamo parlando di poche teste da mettere d'accordo ma di 200 impiegati di cui il 70% sono donne. Tutti rispettano le scadenze, la vita personale funziona meglio e la produzione va alla grande anche all'estero. La Graphistudio ha sposato questa linea di condotta già dagli anni Novanta.
I dipendenti lavorano con sapienza artigianale e competenza per un design di alta qualità, avvalendosi anche dell'innovazione tecnologica. In più, sono un esempio di organizzazione aziendale, mancano gli orari fissi lavorativi e loro si autogestiscono.
Il presidente dell'azienda Tullio Tramantina chiarisce:"Lavoravo e questa cosa dell'orario, del cartellino, il suono della sirena che suona, mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che ti limita, sono catene. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso. Non c'è stato un calcolo è stato casuale: è partito tutto da lì, da quel fastidio. Se lavori libero, lavori meglio e dai di più. E si lavora più in team, gli obiettivi sono di tutti".
Così è nata la Graphistudio, dove l'unico settore soggetto ad orari prestabiliti, causa forza maggiore, è quello amministrativo: gli interlocutori sono gli sportelli di banche e uffici esterni. Per il resto si organizzano i dipendenti, avendo molta responsabilità e rispetto per l'azienda e gli altri colleghi. I sindacati non esistono. C'è la flessibilità degli orari e delle mansioni. Ognuno fa il proprio, ma ci si sposta pure di ruolo, anche perché cambiano i prodotti.
Non si timbra neanche il cartellino, ognuno segna le proprie ore e quelle si contano. Modelli del genere, finora esiste solo nella Sylicon Valley. Invece, in Italia questa è un'azienda leader nel campo, tutto funziona benissimo anche grazie alla serenità del luogo. L'idea vincente di Tramontana, sembra premiarlo anche sul mercato. Perché lo spirito creativo dei dipendenti che qui si sentono liberi, è espresso al massimo. Si inventa, si crea e si propongono idee che spesso vengono poi presentate ed accettate dal fondatore. La scelta di questa filosofia aziendale è molto importante perché invoglia gli impiegati a produrre e soprattutto a farlo con qualità. In un mercato esacerbato da tutto, l'unico segreto per emergere è la competenza, il saper fare.
E pensare che invece tutto è partito mettendo al centro del lavoro, l'uomo, la persona e i suoi ritmi, e non quelli di un tempo tiranno volto al guadagno.
Per un'azienda manifatturiera è un esempio del tutto nuovo. In provincia di Pordenone, ad Arba esiste una fabbrica la Graphistudio che produce album fotografici per matrimoni, i cui dipendenti si autogestiscono in termini di orari lavorativi. E non stiamo parlando di poche teste da mettere d'accordo ma di 200 impiegati di cui il 70% sono donne. Tutti rispettano le scadenze, la vita personale funziona meglio e la produzione va alla grande anche all'estero. La Graphistudio ha sposato questa linea di condotta già dagli anni Novanta.
I dipendenti lavorano con sapienza artigianale e competenza per un design di alta qualità, avvalendosi anche dell'innovazione tecnologica. In più, sono un esempio di organizzazione aziendale, mancano gli orari fissi lavorativi e loro si autogestiscono.
Il presidente dell'azienda Tullio Tramantina chiarisce:"Lavoravo e questa cosa dell'orario, del cartellino, il suono della sirena che suona, mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che ti limita, sono catene. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso. Non c'è stato un calcolo è stato casuale: è partito tutto da lì, da quel fastidio. Se lavori libero, lavori meglio e dai di più. E si lavora più in team, gli obiettivi sono di tutti".
Così è nata la Graphistudio, dove l'unico settore soggetto ad orari prestabiliti, causa forza maggiore, è quello amministrativo: gli interlocutori sono gli sportelli di banche e uffici esterni. Per il resto si organizzano i dipendenti, avendo molta responsabilità e rispetto per l'azienda e gli altri colleghi. I sindacati non esistono. C'è la flessibilità degli orari e delle mansioni. Ognuno fa il proprio, ma ci si sposta pure di ruolo, anche perché cambiano i prodotti.
Non si timbra neanche il cartellino, ognuno segna le proprie ore e quelle si contano. Modelli del genere, finora esiste solo nella Sylicon Valley. Invece, in Italia questa è un'azienda leader nel campo, tutto funziona benissimo anche grazie alla serenità del luogo. L'idea vincente di Tramontana, sembra premiarlo anche sul mercato. Perché lo spirito creativo dei dipendenti che qui si sentono liberi, è espresso al massimo. Si inventa, si crea e si propongono idee che spesso vengono poi presentate ed accettate dal fondatore. La scelta di questa filosofia aziendale è molto importante perché invoglia gli impiegati a produrre e soprattutto a farlo con qualità. In un mercato esacerbato da tutto, l'unico segreto per emergere è la competenza, il saper fare.
E pensare che invece tutto è partito mettendo al centro del lavoro, l'uomo, la persona e i suoi ritmi, e non quelli di un tempo tiranno volto al guadagno.
In Cina la laurea per diventare social star
Allo Yiwu College è stato istituto un corso triennale per diventare "wang hong", ovvero una social star.
In effetti qualsiasi professione per diventare un lavoro di successo deve essere svolto con perizia, dovere e preparazione. Così un'università cinese ha aperto un corso triennale, dove si studiano i più svariati argomenti, dalla fotografia, al gusto estetico fino all'e-commerce per formare gli influencer del futuro. Sarà una nuova figura professionale capace di far circolare milioni di dollari grazie anche alla collaborazione di Alibaba e simili.
Quindi se qualcuno volesse diventare una star sui social media si deve trasferire in Cina. Qui, vicino Shanghai, può seguire il corso di diploma di laurea triennale "Modelling and Etiquette" allo Yiwu Industrial and Commercial College per acquisire tutta quella serie di qualità e caratteristiche tipiche delle celebrità nate online.
Il fatto che questa iniziativa sia sorta in un Paese non sempre aperto al mondo del web, non deve essere fraintesa. Questa nazione conta oltre 700 milioni di utenti e possessori di smartphone, e quindi diventare una "wang hong", può rivelarsi davvero molto, molto redditizio. Si parla addirittura di decine di milioni di dollari. È il caso delle famose superstar del web con Zhang Linhao, Ling Ling e Zhany Dayi, ma anche altri influencer che spesso, sottoscrivono patti con la piattaforma come Alibaba, portando followers verso il pilastro dell'e-commerce per vedere sovente anche le proprie linee di moda o di cosmetici o semplicemente promuovono qualche prodotto o certe collezioni.
Così il corso dello Yiwu College abbraccia varie materie , puntando tutto sul "social business" che è ormai una certezza (di tutto rispetto) economica. Gli argomenti di studio riguardano:lezioni di moda, make up, abilità estetica e nella moda, conoscenza delle pubbliche relazioni, mobile e-commerce, visual marketing, fotografia, grafica e tutti quegli altri spunti che ruotano intorno ad Internet. Il diploma fornirà tutta una serie di nozioni e capacità per cercare di aumentare rapidamente il proprio seguito online e trasformare una passione in un lavoro con cui guadagnare. Secondo un rapporto della società di consulenza Analysis International, il giro d'affari dei "wang hong" si muove intorno ai 10 milioni di dollari e raddoppierà nel 2018.
I corsi di laurea, in genere dovrebbero offrire anche diplomi che poi possono spalancare le porte del mondo del lavoro e renderlo redditizio, l'austera (nel campo del web) Cina si è aperta all'idea di lavorare sui social, fiutando il grosso affare che ciò comporta.
domenica 16 luglio 2017
A Cetara il Tempio della sacra colatura di alici
Nel paese della colatura di alici brilla la stella (Michelin) dell'originale chef Pasquale Torrente.
A vederlo, ha più l'aspetto di un Pulcinella-hippy; ma Pasquale Torrente è uno chef di prim'ordine che si è battuto tanto per far conoscere quel gioiello nascosto che è la colatura di alici. Nonché un apprezzato imprenditore della ristorazione.
Professionalmente parlando, è nato dal Convento di Cetara, trattoria dell'Anno della Guida Ristoranti, fondata dai suoi genitori alla fine degli anni '60. Poi, grazie alla collaborazione con Olitalia (il colosso dell'olio) e Eataly ha portato e fatto conoscere al mondo prodotti come la colatura, le alici e i fritti.
Ma il porto sicuro a cui approdare e ritrovarsi, rimane Cetara. Solo qui, al suo "Convento" si possono gustare gli originali sapori dei suoi piatti: pane, burro e alici, d'obbligo per iniziare e poi il blasonato spaghetto con colatura. Cavalli di battaglia culinari che l'hanno reso famoso a livello internazionale.
Ma si possono apprezzare anche gli ziti spezzati con la genovese di tonno o la sua memorabile parmigiana di melanzane o cedere alla tentazione di "cuoppo fritto" , con sole alici per i puristi o con l'aggiunta della paranza del giorno. Altro piatto forte è lo scannaro: un tortino di spaghetti, capperi, olive, colatura e pane aromatizzato.
"Al Convento" è il tempio dei sapori. Una grande trattoria, fornita d'un imponente scelta di qualità di cantina. Le stesse prelibatezze in forma ancor più disimpegnate si possono gustare, passeggiando alla Copperia del Convento, il chiosco nella piazza di Cetara vicino alla spiaggia, e a Pane e Coc cos' (Pane e qualcosa, per chi non mastica il dialetto del Sud); tutto all'insegna del cibo da strada. Tutte idee passate, garantite e firmate da Pasquale Torrente, il Pulcinella-hippy di Cetara.
La sacra alice di Cetara ha trovato il suo sacerdote più fervente nelle vesti di questo chef Pulcinella-hippy che con il suo estro l'ha fatta conoscere in tutto il mondo.
A vederlo, ha più l'aspetto di un Pulcinella-hippy; ma Pasquale Torrente è uno chef di prim'ordine che si è battuto tanto per far conoscere quel gioiello nascosto che è la colatura di alici. Nonché un apprezzato imprenditore della ristorazione.
Professionalmente parlando, è nato dal Convento di Cetara, trattoria dell'Anno della Guida Ristoranti, fondata dai suoi genitori alla fine degli anni '60. Poi, grazie alla collaborazione con Olitalia (il colosso dell'olio) e Eataly ha portato e fatto conoscere al mondo prodotti come la colatura, le alici e i fritti.
Ma il porto sicuro a cui approdare e ritrovarsi, rimane Cetara. Solo qui, al suo "Convento" si possono gustare gli originali sapori dei suoi piatti: pane, burro e alici, d'obbligo per iniziare e poi il blasonato spaghetto con colatura. Cavalli di battaglia culinari che l'hanno reso famoso a livello internazionale.
Ma si possono apprezzare anche gli ziti spezzati con la genovese di tonno o la sua memorabile parmigiana di melanzane o cedere alla tentazione di "cuoppo fritto" , con sole alici per i puristi o con l'aggiunta della paranza del giorno. Altro piatto forte è lo scannaro: un tortino di spaghetti, capperi, olive, colatura e pane aromatizzato.
"Al Convento" è il tempio dei sapori. Una grande trattoria, fornita d'un imponente scelta di qualità di cantina. Le stesse prelibatezze in forma ancor più disimpegnate si possono gustare, passeggiando alla Copperia del Convento, il chiosco nella piazza di Cetara vicino alla spiaggia, e a Pane e Coc cos' (Pane e qualcosa, per chi non mastica il dialetto del Sud); tutto all'insegna del cibo da strada. Tutte idee passate, garantite e firmate da Pasquale Torrente, il Pulcinella-hippy di Cetara.
La sacra alice di Cetara ha trovato il suo sacerdote più fervente nelle vesti di questo chef Pulcinella-hippy che con il suo estro l'ha fatta conoscere in tutto il mondo.