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lunedì 7 maggio 2018

"Salva grazie a Basaglia"

La storia di Antonella, l'ultima paziente del manicomio di Trieste, chiuso come tutti gli altri 40 anni fa grazie alla "Legge Basaglia".

Oggi la signora Antonella vive insieme ad altri due ex internati in una casa con nome e cognome. Dentro ci sono i ricordi di una vita, un quadro realizzato durante un laboratorio di pittura, degli album fotografici che ripercorrono le vacanze fatte: in Maremma, l'Isola d'Elba e le estati al mare in Croazia. Un ambiente familiare che parla di vita, quella iniziata dopo il manicomio.

Antonella è stata l'ultima a lasciare la città dei matti. Così ancora oggi, viene ricordato l'ex manicomio di Trieste, fulcro della rivoluzione guidata da Franco Basaglia e conclusasi 40 anni fa, con l'approvazione della legge sulla chiusura degli ospedali psichiatrici in Italia. Lei è salva grazie alla famosa legge.

L'inizio della storia di Antonella è simile al triste destino di tanti altri "pazienti psichiatrici" che in quella situazione, semplicemente vissero sulla propria pelle "l'annientamento dell'individuo".

La signora Antonella non fu riconosciuta alla nascita. Nel 1951 finì in un orfanotrofio, dove a poco più di un anno il pediatra certifica: che la bambina ha qualche difficoltà di sviluppo del linguaggio ma se inserita in un ambiente idoneo può recuperare. Nessuno l'ha seguita e tre anni dopo il medico dichiara: Antonella è affetta da frenostesia di grado elevato, la sua intelligenza viene valutata prossima alla zero.

Quindi il suo destino è quello di varcare a soli 9 anni le porte del manicomio di Trieste. Il suo posto al Ralli è quello del padiglione dei bambini, al reparto dell'infanzia perduta, povera e abbandonata dove spesso finivano anche i profughi istriani e figli di nessuno.

A 13 anni, viene quindi trasferita al padiglione delle "donne agitate", il famoso "O". Dove le terapie previste per le pazienti erano: elettrodi, camicie di forza e celle di isolamento. Lei viene sottoposta a tutto questo e poi lei risulta essere ancora aggressiva per se stessa e gli altri, la spediscono per un breve periodo anche a Torino, dove viene lobotizzata.

Nel 1971 arriva a Trieste a dirigere il manicomio, Franco Basaglia, chiamato dal presidente della Regione per completare l'opera di smantellamento dell'istituto psichiatrico già avviata dal medico veneziano a Gorizia. Comincia così in quel luogo una lenta opera di restituzione dell'identità a partire dagli affetti personali, gli abiti, le fotografie, le spazzole per i capelli. Basaglia chiede ai medici ed infermieri di liberarsi del camice e del loro ruolo di carcerieri, e di diventare tutori della tranquillità sociale.

Qui, nel 1973, Basaglia rilascia un certificato su Antonella, alloea 22enne che aveva smesso di parlare: "La paziente non può restare in cattività nel padiglione agitats. Bisogna iniziare con lei un graduale percorso di recupero". Viene così trasferita in una casetta all'interno del parco San Giovanni insieme ad altri casi difficili.

Con il tempo Antonella ha recuperato il coordinamento motorio, l'uso della parola e ha partecipato ad attività e laboratori. Oggi conduce una vita definibile normale.

Con il pecorso terapeutico basato sul recupero della persona, oggi diventato modello di riferimento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, Basaglia ha salvato Antonella, tanti come lei venuti anche dopo.

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